Muti: «Io orgoglioso di Napoli, ma torni capitale»

Muti: «Io orgoglioso di Napoli, ma torni capitale»
il grande Maestro Napoletano ha compiuto 70 anni

In occasione del suo genetliaco, Riccardo Muti ha concesso un’intervista a “Il Mattino” da cui sono tratti i seguenti stralci in cui si auspica il ritorno di Napoli a ruolo di Capitale, spaziando dalla storia del Sud all’orgoglio, dalle ombre che interessano più delle fulgide luci della città al teatro più bello del mondo (il “San Carlo”). Finendo con una battuta che dimostra tutto il grande rispetto per uno strumento musicale della nostra cultura che è patrimonio mondiale e che invece l’Italia ha ridotto a simbolo oleografico, quasi denigratorio.

La sua Itaca sono le sue radici, pensa di più a Napoli, dov’è nato, o alla Puglia, dov’è cresciuto?
«Penso a un mio Sud. Un luogo ideale della memoria. Ho comprato un pezzo di terra vicino a Castel Del Monte, tutto ulivi, qualche trullo povero povero, mi piace nutrirmi della visione di questo luogo magico e misterioso che mi ha sempre affascinato. Quella struttura ottagonale che s’alza sulla collina è una delle prime immagini che mi si sono stampate dentro. Da ragazzino ci andavo in bicicletta, da Molfetta, dove abitavo con la mia famiglia, cominciai a studiarne la storia, Federico II è diventato un mio punto di riferimento».

Perché rappresenta un legame tra le sue «due terre»?
«Forse anche per questo. Io mi sento profondamente italiano e napoletano, e lo dico con grande orgoglio».

Un napoletano del mondo che ovunque rappresenta Napoli, anche pochi giorni fa a Nairobi, ultimo concerto delle Vie dell’Amizizia del Ravenna Festival.
«Aveva ragione mia madre che con una preveggenza straordinaria volle che tutti noi figli nascessimo a Napoli. Quando s’avvicinava il momento del parto si metteva in viaggio e tornava a casa di sua madre, in via Cavallerizza a Chiaia 14. Sono nato lì, al primo piano. Diceva: “Se da adulti girerete il mondo e direte che siete nati a Napoli vi rispetteranno”, marcava apposta la cadenza dialettale».

E lei si è sentito rispettato?

«Veramente negli ultimi tempi ovunque vada, da New York a Vienna, mi chiedono solo dell’immondizia. Io non so che rispondere perché non ci vivo, le cose locali non le conosco bene, ricordo una città in cui dai bassi uscivano i profumi delle cucine. Mi affretto a spiegare che i cittadini sono degli eroi, delle vittime. Però poi mi auguro che finalmente si inverta questa tendenza e che i napoletani si riapproprino dell’orgoglio di vivere in una grande capitale della cultura. Napoli è altro: grandi immaginazioni, pensatori, filosofi, musicisti, compositori».

La città di cui lei ha mostrato i tesori al Festival di Pentecoste, a Salisburgo, per cinque anni.
«Ora il progetto continua con l’Opera di Madrid dove l’anno prossimo dirigerò “I due Figaro” di Mercadante, un vero capolavoro visto già a Salisburgo e Ravenna. Il sovrintendente Mortier vuole raccogliere il testimone e ha aperto le porte del suo teatro, d’altronde i rapporti tra Napoli e la Spagna sono stati intensissimi».

E Napoli, il San Carlo?
«Ci sono discorsi, progetti, ma bisogna trovare tempi e modi. Io sono sempre impegnatissimo, lavoro dodici mesi all’anno ma al San Carlo sono vicino e guardo con apprensione e affetto. E tornerò, come promesso, a dicembre. Mi auguro che il commissario Nastasi, la sovrintendente Purchia, chi amministra e chi lavora nel teatro più bello del mondo, trovino insieme il modo di guardare al futuro con positività. Il San Carlo è un tesoro, uno dei tanti tesori di una città che, per dirla Roberto De Simone, non è solo canzonette, cibo e certi strumenti. Non li nomino apposta perché poi il mandolinista può dire: perché te la prendi con me?».

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