Angelo Forgione – La sfera è simbolo di perfezione, concetto che ben si può applicare anche all’enologia campana, in cui spiccava nel Settecento un’uva detta la pallarella proprio per la sfericità degli acini. Quell’uva non è scomparsa ma è ancora coltivata nel Casertano sotto altro nome, che è una trasformazione di quello antico: da pallarella a pallagrello.
Uva eccellente di bacca bianca e rossa, delle migliori, blasonata, per vini nobili da portare insieme a quelli francesi sulla tavola reale di Ferdinando di Borbone, che lo selezionava dai menu di casa reale con una certa fierezza e preferenza. Fu lui stesso a volere l’uva pallarella, l’unica italiana, nella storica Vigna del Ventaglio a San Leucio, in cui si lavoravano le più pregiate del Regno. Un semicerchio diviso in dieci raggi per dieci viti di diversa specie, dove la pallarella era contrassegnata col nome del vino che dava: Piedimonte Rosso e Piedimonte Bianco. Il Pallagrello era offerto anche in dono pregiato ai diplomatici e plenipotenziari stranieri. Poi, nel primo Novecento, con la decadenza e l’abbandono dei territori meridionali e la filossera, di quest’uva si sono perse le tracce, per poi tornare in auge qualche anno fa, riscoperta e ben rilanciata fino a diventare improvvisamente di tendenza.
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