
Angelo Forgione – Carnevale a Napoli non è solo e lasagne, zeppole/graffe e migliaccio ma anche chiacchiere intinte nel sanguinaccio, in quell’antichissima crema speziata di cioccolata preparata con sangue di suino che oggi si replica in altra maniera.
Con l’introduzione del cacao, nel Settecento, i napoletani divennero grandi amanti di cioccolata calda, che batteva per consumo il caffé. Ne venne fuori anche una preparazione del periodo di Carnevale addensata a fuoco lento con il sangue di maiale, tradizionalmente ucciso a gennaio senza che se ne sprecasse nulla. Si iniziava a preparare dal 17 gennaio, giorno di sant’Antonio Abate, figura raffigurata in compagnia di un maiale, animale il cui allevamento era stato recuperato proprio dai monaci antoniani, sfatando il tabù che lo descriveva come animale del demonio e ricavandone svariati prodotti anche medicamentosi per l’uomo, tra cui l’herpes zoster, il cosidetto “fuoco di sant’Antonio”.
Perché il sangue di porco con la cioccolata? Lo scopo era esclusivamente terapeutico, per ovviare alla carenza di ferro in un tempo in cui l’alimentazione non era sempre sufficiente a coprirne il fabbisogno. Nelle campagne napoletane, veniva aromatizzato, rimestato lungamente per evitarne la coagulazione e filtrato, prima di essere unito alla crema di cacao, cotta in pentoloni di rame sulla legna.
Vincenzo Corrado, ne Il Cuoco Galante del 1773, presentò la ricetta Al Sangue di Porco nel capitolo De’ Budin, indicando di mescolare il sangue di maiale “con panna di latte, grasso e cervella di Porco trite, cedro ed aranci canditi triti, cioccolata rapata, spezie, e poco zucchero”, per poi aggiungere “le budella del Porco” e cuocere tutto con “foglie d’alloro, sale, e cannella in stecchi”. Qualcosa di molto più rustico rispetto a quanto illustrato circa settant’anni dopo nell’appendice dialettale Cucina casarinola all’uso nuosto napolitano, una sorta di compendio della gastronomia popolare di Napoli, inserita da Ippolito Cavalcanti nella prima edizione del suo ampio trattato didattico Cucina teorico-pratica: nella ricetta per il Sanguinaccio, scritta in napoletano, l’aristocratico napoletano indicò di mischiare “sanco de puorco” con cioccolata, zucchero, cannella, cedro, cocozzata e mostacciolo pestato, da cuocere con continuo mescolamento fino a stringere “comme si fa la sauza de le pommadore”, e poi conservare “dint’ a le stentina de puorco”, ovvero nelle budella del maiale, per farne insaccato da mettere a bollire in acqua calda prima di servirlo.
Una tradizione di Carnevale che sopravvive al divieto d’uso del poco igienico sangue suino, che nel 1992 ha spinto i pasticceri napoletani a rielaborare la ricetta per tenere in vita la tradizione: solo cacao mescolato con zucchero, latte, farina, cannella, cedro, uvetta e pezzi di cioccolato fondente. Niente retrogusto ferroso del sangue suino per quella che, a ben pensarci, può tranquillamente definirsi “cioccolata alla napoletana”.
Per approfondimenti: Napoli svelata (A. Forgione, 2022)
caro angelo non dovrai mai temere, io sono la prova provata di ciò che diffondi su carta (e notizia lieta per i fan accaniti tuoianche nell’ etere tramite onde elettromagnetiche o onde radio che dir si voglia) prova provata poiché da sempre Napolitano con madre posillipina e padre chiajese di Mergellina oltre che navigatore attento di internet e grande lettore di testi e documenti dei grandi secoli della nostra città e civiltà, forse sarò aracnofobico ed allergico alla polvere, ma ambedue allergie sono superabili quando ti spinge la necessità insaziabile del sapere, io non mi sono mai arreso grazie alla progenie di un popolo delizioso ed intraprendente, iper civile ed iper illuminato, noi che gridiamo al serra-serra mentre un popolo codardo a cui forzatamente annessi hanno come mantra lo scappa-scappa al grido di “mammamia” con l’ abbandono dell’ arma di ordinanza e l’ equipaggiamento verso luoghi sereni e dove il cannone non tuona, virtù quest’ del popolo italiano, arrendevole e codardo per il quale la loro antica alleata ha reso il suo humor ancora più piccante con barzellette ad National persino più cattiva di quelle contro francesi e spagnoli.. detto e stabilito questo non ti nascondo che avrei voluto morire da eroe popolare nelle 4 giornate di Napoli e non da vivo nelle 5 giornate di Milano dove i milanesi videro soltanto un esercito sconfitto rientrare in patria a rotta di collo e senza aver sparato un solo colpo, non per nulla da noi fini ben un anno e mezzo prima delle 5 giornate di Milano con un esercito tedesco ancora temibilissimo e capace di rovesciare le sorti della guerra, soprattutto per il fatto che i nostri ragazzi si immolavano contro il famoso panzer “tigre” definito miglior tank del conflitto. {E lo era, anche più del successivo panther)