salvò i vitigni d’origine greco-romana del Vesuvio dalla scomparsa
Angelo Forgione – Se ne va Antonio Mastroberardino, Cavaliere del Lavoro, l’uomo dell’eccellenza vinicola campana, colui che nella sua azienda di Atripalda ha puntato sui vitigni autoctoni e ha contribuito a portare i vini della Campania nel gotha mondiale, primi fra tutti, ma non unici, il Greco di Tufo, il Fiano di Avellino, il Taurasi e il Lacryma Christi, di cui ha curato i relativi disciplinari di produzione. Nato ad Avellino nel 1928 e laureatosi in chimica a Napoli nel 1954, ha dedicato la sua vita al recupero e alla rivalutazione dei vitigni autoctoni d’origine greco-romana. A lui si deve la riscoperta e la sopravvivenza degli antichissimi vitigni del Vesuvio, salvati dall’assalto del cemento e della perdita di ricchezza storico-agraria del vulcano, per fortuna oggi recuperata. Quando negli anni Sessanta gli ispettorati agrari iniziarono a sponsorizzare vitigni più redditizi come il Trebbiano, il Montepulciano, il Sangiovese e il Barbera, Antonio continuò a restare fedeli alle uve locali, senza tentennamenti. Oggi, soprattutto per merito suo, i vini campani sono di tendenza nel mondo, e la Campania ha ancora la sua identità enologica. La sua antichissima azienda irpina, la più antica della Campania, che è Storia della viticoltura regionale, è ora nelle buonissime mani dei figli Piero (che ho avuto il piacere di conoscere in un evento comune) e Carlo, cui vanno le mie più sentite condoglianze.