Attacco al caffè napoletano

Un esperto triestino prova a demolire la “tazzulella”. Cosa c’è dietro?

Angelo Forgione – Andrej Godina è un triestino che vive a Firenze, dottore di ricerca in Scienza, Tecnologia ed Economia dell’Industria del caffè, e dall’alto di questa qualifica sta provando a sfatare il mito del caffè napoletano. Quando un triestino si occupa di caffè per professione è facile che sulla sua strada incroci uno studioso di cultura napoletana che ha scritto nel suo ultimo libro un intero capitolo dedicato alla storia del caffè napoletano. Perché si sa, Napoli e Trieste rappresentano due scuole e due filosofie in tema, capitali italiane della bevanda nera, legate a doppio filo dal retaggio viennese di Maria Teresa d’Austria, il cui impero aveva in Trieste un importante porto e la cui figlia Maria Carolina portò a Napoli il costume asburgico. Il gusto dei triestini predilige un infuso delicato, fruttato, acido e dolce nel retrogusto. I napoletani preferiscono invece un caffè corposo, intenso, forte, deciso nel retrogusto dal tono amaro e non acido, e lo ottengono con una tostatura controllata e una piccola aggiunta di robusta di buona qualità alla pregiata arabica.
Andrej Godina ha fatto di recente una puntatina a Napoli per verificare la qualità del caffè partenopeo e ne ha scritto un articolo distruttivo (clicca qui per leggere), poco credibile, che è stato pubblicato su un manciata di portali tematici. Il suo viaggio alla volta del caffè di Napoli, a quanto si apprende dall’incipit dello scritto, è stato il primo della sua vita, dettato da quell’opinione diffusa sulla superiorità partenopea rispetto a tutte le scuole italiane, compreso la triestina, ascoltata dai tempi dell’università. Il racconto personale degli assaggi di Godina e del suo accompagnatore Andrea Matarangolo, trainer barista romano, nel titolo, apostrofa come “presunto” il mito del caffè di Napoli, e in effetti lo demolisce senza appello. L’esperto, secondo la sua cronaca, parte da Firenze con il sapore in bocca di un buon caffè Illy 100% Arabica preparato con perizia ineccepibile. Lo raggiunge sul treno il barista Andrea, salito a Roma Tiburtina dopo aver anch’egli bevuto un 100% Arabica preparato secondo una propria ricetta. Giungono a Napoli e subito la loro bocca si guasta con un caffè di un bar della stazione. Ma c’è il tempo di passare alla Feltrinelli e acquistare il mio Made in Naples per la lettura del capitolo dedicato al caffè, che dev’essere stata veramente spasmodica, al punto da “minuscolizzare” Naples, pluralizzare il mio cognome e sbagliare anche il nome dell’editore. E così parte il tour “ricco di buone speranze e di voglia di degustare il famoso caffè napoletano”. Tre sono le tappe in piazza Garibaldi e tre sono i fiaschi. Il voto medio assegnato ai caffè assaggiati nella piazza della stazione è quattro (4).
Godina cita il paragrafo in cui descrivo il vero segreto del caffè napoletano, che non è la leggendaria acqua ma la tostatura della miscela “cotta al punto giusto”, ma lui e Andrea preferiscono non commentarlo, e lo scrivono. Perché lo ritengono tutt’altro che un segreto? O perché lo ritengono il segreto del cattivo gusto dell’infuso partenopeo? Mistero.
I primi quattro assaggi dei due esperti risultano disgustosi a tal punto da sconsigliare di proseguire verso piazza del Plebiscito. Ma loro insistono e sfidano le ulteriori tre tazze ingerite al corso Umberto. Altro disgusto, e anche sporcizia in un bar. Il voto qui è ancor più basso: tre (3).
Eccoli nel salotto della città, dove c’è Gambrinus, uno dei locali storici d’Italia, quello della Belle Époque di Napoli. Ma che delusione! Voto quattro (4) alla tazzina del più famoso bar di Napoli, che riesce solo a incuriosire per la complessa ritualità.
Prova d’appello a Santa Lucia, in un piccolo e moderno locale dove il barista si intrattiene a discutere amabilmente dell’arte della preparazione. Ma niente da fare, nonostante la mancata attribuzione del voto (basso) e qualche aggettivo negativo in meno rispetto alle degustazioni precedenti, anche questo test è insoddisfacente.
Le conclusioni sono senza attenuanti: “Piazza Garibaldi, corso Umberto I, via San Carlo, piazza del Plebiscito, via Santa Lucia. Per gli appassionati del buon caffè, un percorso da non farsi se lo scopo è quello di degustare un caffè espresso di qualità”. La loro consolazione è la sfogliatella con la meravigliosa vista del Vesuvio dal Plebiscito. Come dire che il caffè non è arte napoletana.
C’è spazio anche per definire vetuste e desuete le abitudini che ruotano attorno al caffè partenopeo descritte in Made in Naples. È vero, il caffè sospeso non è più un rito diffuso come lo era una volta, ma non è completamente estinto; e in tutto il mondo si parla ultimamente di questo atto di solidarietà tutto napoletano che prende piede un po’ ad ogni latitidine e in tutti i Continenti. Chi parla di storia e cultura racconta anche di una Napoli che nei periodi più poveri ha profuso la sua generosità, magari sotto le bombe degli Alleati che oggi non cadono più. E non vuole essere Cassazione scientifica ma fornire una visione istruttiva, possibilmente approfondita, sulle specifiche tematiche trattate.
Diciamolo subito che il caffè a Napoli non è ottimo dappertutto, perché qualche azienda minore inquina il mercato. Semmai è di qualità soddisfacente nella media, con punte di eccellenza. Non tutti i bar offrono una tazzina di qualità superiore ma nessuna è addirittura imbevibile come capita in altre città. Napoli è molto orgogliosa delle sue eccellenze, ma sa anche ammettere che altre sono di pari livello, se non superiore, quando il mondo lo confermi. I napoletani, selettivi nella scelta dei bar come delle pizzerie, sanno bene che il caffè Illy è buono, così come i triestini sanno bene che il Passalacqua, il Kimbo, il Kenon e tante altre miscele napoletane sono altrettanto buone. Del resto, alcuni bar napoletani preparano caffè con miscela triestina, senza farne mistero, e la stessa Illy scrive sul suo sito che “è Napoli a creare gran parte del carattere del caffè“. Nessuna rivalità, dunque, ma rispetto che non può essere rotto da un attacco così diretto e tranchant alle tazzine che si bevono a Napoli, descritte come ciofeche degne dei peggiori bar di Caracas. Forse saranno stati i nove caffè bevuti in una mattinata ad agitare Godina (che nemmeno alla scrivania è riuscito a scrivere correttamente l’autore e l’editore del libro sfogliato), ma mai nulla di simile si era letto sul caffè napoletano.
Non sono un tecnico e non ho la competenza e la preparazione indiscutibile di Godina, che per studi è definibile uno scienziato del caffè, ma dico che con la scienza dei degustatori è stata imposta dal marketing una cultura sbagliata. Ogni prodotto, compreso il caffè, bisogna saperlo prima di tutto preparare e la corretta degustazione deve essere solo una maniera per apprezzarlo meglio. Ogni arte è riconosciuta tale se arriva alla massa con apprezzamento, e un singolo esperto che la giudica negativa non può fare sentenza. Ho imparato a conoscere il mondo del caffè da studioso autodidatta e ho l’onesta di riconoscere e rispettare il grande valore delle due più importanti scuole in Italia. La provenienza di Godina appartiene al fronte del caffè più dolciastro e comunque di diversa tostatura, e qualche dubbio sull’onestà della sua operazione mi è sorta dopo aver visitato il suo profilo facebook, dal quale si evince che nel suo “espresso coffee tour in Naples” ha incontrato – e non credo per caso – Bernardo Iovene di Report, lo stesso inviato che mi ha intervistato a Dicembre per un approfondimento sulla filiera del caffè, tra Napoli e Trieste, in onda prossimamente. Il commento alle foto (in cui si vede Andrea Matarangolo intervistato) è una sentenza da Cassazione che suona come un campanello d’allarme: “in questa passeggiata partenopea ho definitivamente sfatato il mito del buon caffè a Napoli!”. Un po’ azzardato l’uso dell’avverbio che mi ha fatto pensare a Schwarzenegger nella locandina di Terminator. E allora ho appreso che Godina ha anche storto il naso per l’accordo commerciale Illy-Kimbo sulla commercializzazione delle capsule per contrastare la leadership di Nespresso, definendo l’azienda napoletana “una concorrente che offre al mercato caffè difettati“. E ho appreso anche che il suo articolo ha colpito per i toni usati pure oltreoceano, dove il blog “Espresso News and Reviews” di San Francisco ha commentato con perplessità e chiuso l’analisi scrivendo: Difendiamo la nostra valutazione che lo standard dell’Espresso a Napoli batte quelli di qualsiasi altra città del mondo in cui siamo stati (e sono tantissime). Ma, come l’articolo di Mr. Godina dimostra, le opinioni variano“.
Il dubbio è che Godina non sia andato a Napoli per iniziativa personale e a risolvere un proprio interrogativo, ma sia stato convocato. Lui che ha dichiarato di aver bevuto il miglior caffè della sua vita in piazza San Marco a Venezia (pagato 15 euro), ha testato dei bar a caso nel percorso che l’ha forse condotto a un appuntamento? La domanda, dunque, sorge spontanea: se due più due fa sempre quattro, cosa ne verrà fuori prossimamente, magari in tivù? Il timore è che sia partita un’offensiva al caffè napoletano. I baristi di Napoli stiano in campana: qualche punto debole c’è ed è bene che lo standard della “tazzulella” resti alto, tra miscela e preparazione, e che nasca una vera associazione di categoria che pensi magari ad un disciplinare di preparazione, così come fatto per la pizza napoletana, salvata dallo scippo che negli anni Ottanta qualcuno pensò di fare a Napoli.

13 pensieri su “Attacco al caffè napoletano

  1. Ciao Angelo, hai proprio ragione, bisogna stare in campana perché leggendo i due articoli di Godina che hai linkato, leggendo il suo post su facebook (“in questa passeggiata partenopea ho DEFINITIVAMENTE sfatato il mito del buon caffè a Napoli!”) e aggiungendo l’intervista che hai citato, si evince che è un vero e proprio attacco strumentale. Che poi con quella sentenza da Cassazione, “definitivamente” (che in realtà ha scritto “definitavamente”), chi crede di essere, il Padre Eterno? In pratica, lui degusta il caffè napoletano in soli 8-10 bar nell’ora e mezza o due della “passeggiata” e definendolo pessimo dice di aver sfatato un mito, secolare ed internazionale tra l’altro, definitivamente. Wow, che credibilità potrà mai avere d’ora in poi questo qualificato esperto? In un commento rilasciato a quell’articolo di Godina c’è questo link http://theshot.coffeeratings.com/2014/03/andrej-godina-in-napoli/ che porta ad un articolo di ben diverso parere, è un blog di San Francisco che recensisce il caffè praticamente di tutto il globo. Nelle ultime righe dell’articolo scrivono: “Rimaniamo della nostra valutazione che l’espresso a Napoli batte i tipici standard qualitativi di base rispetto a qualsiasi altra città del mondo in cui siamo stati (e siamo stati in molte città). Ma, come l’articolo del signor Godina dimostra, le opinioni variano.” Peccato solo che non sappiano che dietro a quell'”opinione” ci sia semplicemente un attacco gratuito e strumentale.

  2. Ciao Angelo, sono stato per lavoro 1 anno a Trieste… il mio parere??? il caffè, seppur con miscela Illy, non è arte loro !!! lo bevono lungo, non ti danno un bicchiere d’acqua prima se non lo paghi(!!!) ed il sapore del caffè è molto meno marcato… più che un caffè, quello che preparano a Trieste è un’eccellente ciofeca !!!

  3. Che dire: ttti possono esprimere opinioni che son cosa ben differente dalle reali conoscenze. “Eruditi” chiacchieroni non potranno cancellare il gusto di una tradizione e di una ritualità, come anche quella del sospeso che non è certo in voga nei bar del centro ma nei vicoli enella città vissuta dai napoletani è cosa ancora in uso. In napolitano diremmo “stev’m scars a sciemm” quindi lasciamoli consolare della loro critica iniqua.

  4. Ho letto il profilo di Andrej Godina … un dottorato di ricerca sulle industrie del caffé è la dimostrazione che la formazione in italia è proprio bizzarra per non dire altro… onestamente il danno commerciale che vuole fare a Napoli si perde nel nulla, ma se fossi uno dei bar citati… na letterina dall’avvocato la farei mandare: esprimere un giudizio è un conto ma se vuol essere una valutazione ci deve dire oltre alle sue personali sensazioni che schede di valutazione usa, da chi sono clusterizzate, che valenza scientifica avrebbero (visto che lui si pone come “esperto”)

  5. Diciamo che i commenti del signor Godina, lasciano il tempo che trovano. Innanzitutto questo cognome è sconosciuto agli addetti ai lavori, sicuramente se venisse ad analizzare l’elenco delle tesi di laurea dell’ Ateneo federiciano troverebbe sicuramente, diversi titoli che trattano proprio dell’argomento di cui sopra, stilate da nomi ben più importanti del suo, con associate basi scientifiche ed empiricamente dimostrate di aromi e serbevolezza. A volte se il palato non è ben addestrato può trarre in inganno ed inoltre non mi sembra neanche che siano esplicate le comuni metodiche utilizzate per assaporare e successivamente neutralizzare i sapori precedenti, sempre comuni in assaggio e valutazione delle caratteristiche organolettiche (così come accade per oli e vini, ma anche salumi ed altro). Inoltre il parere del singolo veramente dovrebbe essere messo in disparte, non a caso si parla di panel test, quindi un set di assaggiatori specializzati e preparati, che comunque in un singolo evento non possono superare un certo numero di assaggi, proprio per non ricorrere in errori che potrebbero compromettere la valutazione finale. Diciamo che un singolo, seppur specialista, accompagnato dal barman della situazione, non avrebbe neanche dovuto aprire l’argomento (sempre che non siano proprie opinioni da pubblicare sul blog personale), in quanto determinate analisi, utilizzate per la divulgazione di massa, vanno condotte in sedi opportune, con gli opportuni mezzi e mi ripeto non dalla singola persona. Forse sarà stato sbadato a non osservare tutte queste rigorose regole, così come lo sarà stato mentre scriveva di Forgioni, aimè questi errori così grossolani, per di più da chi ha sudato per ottenere diversi attestati, possono essere estremamente deleteri alla sua carriera.

  6. Che sia un attacco strumentale è fuori discussione. Il suo “gold Standard” della qualità made in italy è il caffè triestino, la pizza veneta, la pummarola romagnola e la mozzarella padana. Al di sotto di Roma vorrebbe ci fosse un deserto gangrenoso da amputatare, ma non prima di avere scippato tutto quello che di buono c’è. Quando si tratta di vendere i loro prodotti cacciano fuori la bandierina tricolore del made in italy, ma poi diventano padani quando si tratta di pagare le tasse. Sono del parere che la sua sia niente più che un opinione, altrettanto valida che la mia, che sono un ottimo assaggiatore di caffè. E poi me l’immagino il caffè che produce. Una sciacquetta aromatica senza corpo, che assomiglia più al thè che al caffè

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  11. CIAO ANGELO, è un po che seguo i tuoi lavori su you tube ed altri siti. innanzitutto vorrei ringraziarti per quello che fai,tranne pochi nessun napoletano è al corrente dei fasti del regno duo siculo del passato, è la colpa come sappiamo è del governo e dei media a loro sottoposti. non c’è che dire cavour fece bene il suo lavoro e fu capace di condannare all’oblio napoli anche nei decenni a venire facendola cadere una spirale di ignoranza e criminalita’ indotte a perdurare ancora oggi. del resto non solo la finale di coppa italia,il torneo di tennis e questo zingaro slavo presunto conoscitore dell’arte del caffe’ dimostra cio’ ma è rilevante ed evidente che il peggior nemico si nasconde a napoli se qualcuno ancora deve capire. il suo nome è RAI ed i suoi giornalisti della sede napoletana, i quali mai perdono occasione di denigrarci,intervistare gente scabrosamente ignorante e visivamente imbarazzante agli occhi dei telespettatori non solo italiani e come accaduto a roma rivoltare la verita’ con i loro opinionisti anche da noi contribuenti pagati,insomma il cane che si morde la coda. per questo ti chiedo se puoi farmi far parte della nostra comune causa e per la quale posso dedicare praticamente tutto il tempo possibile poiche’ disoccupato ma con una voglia di scendere per strada a far conoscere ad altri napoletani e genti del sud i nostri valori,la nostra cultura e la nostra passione di essere unici nel mondo e far tornare la vera storia al suo posto invece delle bugie sabaude raccontate nelle scuole sin da piccoli ai nostri figli. concludo dicendoti che ho fatto caso che i bambini sono intelligenti prima di andare a scuola e somari manipolati alla fine della stessa. questa è ignoranza indotta, Come i figli degli immigrati hanno il diritto di studiare anche la loro religione e cultura cosi vorrei che i nostri figli studiassero la grande storia del nostro grande popolo ed aiutarli a crescere nella’ legalita’ e verita’ come i bimbi del nord. ti saluto e faccio lo stesso con altri con lo stesso nostro pensiero.

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