Angelo Forgione – Affascinato dal paradigma dell’Economia Civile di Antonio Genovesi, che, come più volte ho scritto in questo blog e, soprattutto, nel mio libro Made in Naples, è la teoria economica che può risolvere i problemi italiani e dell’Europa contemporanea, ho scovato un’interessante confessione di Phillip Blond, il teologo anglicano e uomo politico inglese che ha formulato per il Primo Ministro britannico David Cameron la Big Society, un programma di riforme apparentemente rivoluzionario col quale lo stesso Cameron ha vinto le elezioni nel 2010. Qualche mese dopo il suo arrivo al n. 10 di Downing Street, Phillip Blond presenziò a un convegno all’Università Cattolica di Milano. Da quanto si può leggere in una relazione di Stefano Zamagni, professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna e presidente dell’Agenzia per il terzo settore, in quell’occasione il consulente di Cameron dichiarò al pubblico:
«Noi inglesi credevamo di essere arrivati per primi ma dobbiamo riconoscere agli italiani e ai napoletani in particolare di averci anticipato.»
E infatti, in Made in Naples scrivo:
“Nel maggio 2010, il premier britannico David Cameron vinse le elezioni con un programma di riforme contenente la rivoluzione della Big Society, un modello sociale per assegnare ai cittadini parte del potere detenuto interamente dallo Stato e del mercato. Niente di nuovo per una teoria completamente mutuata dall’Economia Civile di Antonio Genovesi di due secoli e mezzi più vecchia. La patria del capitalismo, pur ricca e dinamica, si sta evidentemente accorgendo che il proprio modello necessita di modifiche. Il paradosso, dunque, è che l’Italia lasci inaridire le radici napoletane dell’Economia, pur essendo detentrice del modello economico più valido e moderno. Il delitto è che non lo rivaluti, tenendo in vita quello straniero (l’Economia Politica di Adam Smith) che l’ha inginocchiata.”
Stefano Zamagni, che in un’altra relazione orale sul web smaschera Blond (guarda il video), si rammarica nello scritto che l’Italia abbia disimparato quello che gli inglesi vengono a imparare in Italia, e si irrita per il fatto che “non sappiamo valorizzare le nostre radici che sono di gran lunga superiori a quelle degli altri”. Il cattedratico riminese afferma anche che “l’illuminismo napoletano ha una marcia in più rispetto a quello milanese – anche se c’è Beccaria”, affermando questo concetto pure negli ambienti accademici milanesi, tant’è che lo scorso 14 novembre ha tenuto una discussione all’Istituto Lombardo di Milano in occasione del convegno internazionale “Antonio Genovesi maestro degli economisti lombardi nell’età dell’Illuminismo”, sulla cui presentazione si leggeva: “gli economisti dell’Illuminismo lombardo hanno mostrato rara efficacia nel recepire e interpretare prontamente il messaggio di Genovesi”.
L’esigenza di un ripensamento dell’economia mondiale ha coinvolto anche papa Francesco, che, nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium dello scorso 26 novembre, ha chiesto pubblicamente un’economia più umana, diversa da quella imperante che uccide. In privato, alla vigilia del G8 dello scorso giugno, aveva già avuto uno scambio epistolare con David Cameron, ricordandogli che “il fine dell’economia e della politica è proprio il servizio agli uomini”. La sua lettera era piena di concetti formulati a Napoli da Antonio Genovesi circa due secoli e mezzo fa; concetti che Cameron, evidentemente, conosceva già benissimo, visto il consulente di cui si avvaleva.
Londra e Milano, capitali finanziarie, si inchinano alla cultura economica della povera Napoli, ma questo nessuno lo racconta. Tocca agli economisti illuminati come Zamagni organizzare convegni che facciano luce sulla vera cultura universale di Napoli, e agli scrittori, come il sottoscritto, che sentono il dovere di raccontare un’altra Napoli, all’avanguardia per cultura e dentrice di soluzioni per i mali del mondo moderno. Ma qualcuno ha voluto e vuole che resti in silenzio ed economicamente arretrata. Riflettiamo!
Quel che mi preoccupa, Sig. XG1 Angelo Forgione, è il fatto che la sua vastissima, illustrissima e apprezzatissima opera di divulgazione della grande e altrettanto illustre storia “napoletana” possa spingere ad attuare quel che vale altrove “Chi vince vendica e rivendica!”. Sono un suo ammiratore e leggo molto di quello che scrive, compreso il suo interessantissimo Made In Naples, che ho promosso ovunque. Tuttavia pare sfuggirmi, colpa mia s’intende, il suo fine ultimo che cerco solo col timore che si voglia tornare a confini e divisioni che ormai non ci appartengono più, o sì?
Gentile Mario,
dice di aver letto e aprrezzato il mio libro, dove ha la risposta ai suoi timori infondati. Forse non sono riuscito ad essere incisivo nel mio pensiero. Lì c’è scritto proprio che Napoli è stata grande “quando si è aperta all’esterno iniziando a dialogarvi e la sua attività artistico-culturale ha rotto la chiusura e l’isolamento in cui era immersa”, e questo confronto col mondo si è spezzato con l’Unità quando “la città tornò improvvisamente in un nuova e più profonda posizione di subalternità, incapace di sviluppare l’immenso potenziale dimostrato fino a quel momento”. Ho scritto anche che “la chiusura mentale è il più grande limite per la crescita intellettuale dei singoli individui e dei popoli, e Napoli ora fatica enormemente a dialogare col mondo perché non è riuscita a sottrarsi all’aggressione e alla mistificazione”.
Ho riportato il pensiero di Braudel (“ha sempre preferito il dialogo diretto con Madrid o Parigi, Londra o Vienna, sue omologhe…”).
Ho chiarito il significato di Napoli patrimonio Unesco (“Nelle sue strade, piazze ed edifici, è nata e si è sviluppata una cultura unica al mondo che diffonde valori universali per un pacifico dialogo tra i popoli”)
Allora mi tocca chiarire che il mio lavoro volge a ristabilire una verità, e cioè che Napoli è luogo universale di cultura perché città di DIALOGO col mondo, alla quale però è stata messa una museruola. Bisogna levargliela.
È stato gentilissimo. Io mi occupo di turismo e di rivalutazione del territorio e mi premeva avere una risposta più chiara e la chiarezza non era necessaria per una sua mancanza espressiva, ma per una mia carenza comprensiva.
Concordo appieno con lei e con il suo fine che ora ricordo di aver letto.
Chissà che un giorno non possa onorarci di una sua lezione e di un buon dibattito nella cittadina in cui vivo: tutti abbiamo bisogno di capire meglio quanto il nostro retaggio culturale borbonico ci abbia messo nella condizione potenziale di ricchezza culturale e, al tempo stesso, di scoprire i motivi dell’insuccesso nel suo sviluppo. E anche gli stranieri, con cui lavoro, dovrebbero essere messi a conoscenza di ciò.
Ancora grazie e buon lavoro, sempre.
Di nulla. Quando vuole, oraganizzi un dibattito o una presentazione del mio libro e ci sarò con piacere.
Io vado più oltre ; e dico che bisogna separarsi dal resto del paese . Sto seguendo con interesse l’esperimento di un nuovo movimento meridionalista ideato ( non solo da lui ) da Marco Esposito : Unione mediterranea. Oltre al bellissimo saggio di Angelo , consiglio quello di marco Esposito ” Separiamoci”. Lì c’è scritto tutto come fare senza contraccolpi di nessuna sorta.