Il tragico assedio di Gaeta mai raccontato nei testi scolastici
di Angelo Forgione – per napoli.com

7 Settembre 1860: Garibaldi arriva a Napoli lasciando dietro di sé le “conquiste” siciliane e il re Francesco II di Borbone, per risparmiare disordini e distruzioni alla capitale, lascia Napoli, stabilendo la base operativa militare per l’ultima difesa del regno nella Piazzaforte di Gaeta.
Ormai, l’esercito borbonico, indebolito dai tradimenti al soldo dei corruttori, può ben poco contro il fuoco delle truppe di Vittorio Emanuele II di Savoia capeggiate dal furioso generale Cialdini, che si appresta a scippare il posto dei garibaldini e a raccogliere i frutti della strumentale spedizione al Sud con l’ultima battaglia, la più sanguinosa: quello di Gaeta.
Si tratterà, come per la Spedizione dei Mille, di un attacco che violerà tutte le regole militari e diplomatiche internazionali, senza dichiarazione di guerra o un motivo per giustificare l’intervento straniero in territorio legittimo. Un assedio estenuante che inizierà sul fronte di terra il 5 novembre 1860 e durerà tre lunghissimi mesi, durante i quali le truppe piemontesi mettono in campo i moderni cannoni rigati “Cavalli” a lunga gittata contro le ormai inadeguate bocche da fuoco dei napoletani. Vengono sparate contro la piazzaforte circa 500 colpi di cannone al giorno per tutta la durata del conflitto, durante il quale il Re e la Regina Maria Sofia di Wittelsbach, sorella della principessa “Sissi” Elisabetta di Baviera, restano valorosamente sempre al fianco dei fedeli soldati, persino sul campo di battaglia tra le esplosioni dei colpi di cannone che piovono dal fronte piemontese di Castellone a Mola di Gaeta, l’attuale Formia. È proprio la regina ad avere un ruolo di grande spessore umano, ormai innamorata del suo popolo e del suo regno, che non intende cedere all’invasore.
Inizialmente, la presenza della flotta francese nel golfo impedisce a quella piemontese, rafforzata da unità napoletane i cui ufficiali sono passate al nemico, di cannoneggiare la costa. Ma, a Gennaio, Cavour, da Torino, convince Napoleone III a desistere dal “proteggere” i napoletani e da quel momento i bombardamenti si fanno insistenti.
Per l’esercito borbonico la battaglia é impari, anche se non mancano valorosi scontri che alzano illusoriamente il morale; come quello del 22 gennaio 1861 allorchè i napoletani conseguono una parziale rivincita dopo aver subito, l’8 Gennaio, un cannoneggiamento di dieci ore con cui vengono distrutti anche i quartieri civili. La flotta piemontese deve ritirarsi per i danni causati dagli colpi sparati dalla piazzaforte a ognuno dei quali corrisponde il grido «Viva ‘o Rre». Alla sospensione dei bombardamenti la banda militare suona l’inno di Paisiello.
I reali napoletani sperano nell’intervento diplomatico di altre nazioni europee, magari quelle più amiche, che però non si concretizza, lasciando lo schieramento napoletano sempre più in balia dello sconforto. La cancellazione delle Due Sicilie è in realtà già stata stabilita a tavolino dalle più potenti nazioni d’Europa, che intendono spazzare via il più grande pericolo del Mediterraneo: il connubio amichevole tra lo stato ricco e cattolico del sud e il potere temporale del Papa.
Giunge quindi il tempo delle trattative per risparmiare vite umane, ma il generale Cialdini, uomo spietato e vanaglorioso, non solo non blandisce i bombardamenti ma li intensifica con maggior vigore, dirigendo le operazioni dalla sua comoda postazione nel borgo di Castellone.
La capitolazione dei napoletani è inevitabile e l’11 febbraio Francesco II decide di interrompere la carneficina. La resa viene sancita con una firma il 13 Febbraio, che però non basta ad arrestare la sete di trionfo di Cialdini. Mentre i borbonici si apprestano a porre fine alla resistenza e a deporre le armi, salta in aria la polveriera della Batteria “Transilvania”, dove cade l’ultimo difensore di Gaeta, Carlo Giordano, un giovane di sedici anni fuggito dalla Scuola Militare della Nunziatella per difendere la sua Patria. È l’ultima vittima in ordine di tempo dei circa 2700 fedeli caduti a Gaeta, che non avranno mai degna sepoltura. E poi circa 4000 feriti e 1500 dispersi.
Campani, siciliani, calabresi, lucani, pugliesi e abruzzesi, falcidiati dai bombardamenti e dal tifo petecchiale, in condizioni di vita rese impossibili anche da un inverno che è tra i più freddi di quel secolo. Eppure resistono fino allo spietato colpo di grazia di un generale considerato oggi uno dei padri della patria e che avrà dal Nuovo Re d’Italia Vittorio Emanuele II la nomina a Duca di Gaeta, città da lui rasa al suolo, e la medaglia al valore militare per i successivi eccidi di interi paesi del meridione.
Il Re Francesco II di Borbone e la regina Maria Sofia lasciano Gaeta il 14 febbraio imbarcandosi sulla corvetta francese “Mouette”, che li porta a Civitavecchia, in territorio pontificio, laddove inizia il loro triste esilio. Vengono salutati con 21 colpi di salva reale della Batteria “Santa Maria” e con il triplice ammainarsi della bandiera borbonica dalla Torre d’Orlando, tra la commozione di quanti capiscono che la fine del Regno delle Due Sicilie é giunta. Messina e Civitella del Tronto si arrenderanno solo a Marzo, ma la sottomissione di Gaeta segna di fatto il tramonto di un’indipendenza. Al posto della bandiera bianca coi gigli viene issato il tricolore con lo stemma della dinastia Savoia, a sancire la scrittura finale di una pagina cruenta inenarrata dai testi scolastici ma sempre viva nella memoria del popolo napoletano, che non dimentica una fine gloriosa e dignitosa di esempio ai posteri.
Nonostante gli accordi stipulati nell’armistizio, migliaia di fedeli soldati borbonici che non vogliono tradire il proprio giuramento al Re per sposare la causa militare piemontese vengono deportati in carceri settentrionali come il forte di Fenestrelle, nella freddissima Val Chisone, dovduree sono avviati a stenti e sofferenze in quello che viene oggi definito il “lager dei Savoia”. Campi di concentramento anche a S. Maurizio Canavese, Alessandria, Genova, Savona, Bergamo, Milano, Parma, Modena, Bologna e in altre località settentrionali. A queste vittime si aggiungeranno nel decennio successivo quelle della repressione del brigantaggio. Civiltà Cattolica parlò, forse per eccesso, di circa un milione di morti su una popolazione delle Due Sicilie di circa nove milioni. In ogni caso, si trattò di eccidio, che non trova alcun ricordo o commemorazione.
Qualche anno fa, a seguito di scavi per interventi urbanistici a Gaeta, sono state rinvenute testimonianze di quei giorni di terrore e sangue: scheletri, frammenti ossei, stracci di divise militari, bottoni e monete. Testimonianze del colpo di grazia dato al Regno napoletano mettendo in ginocchio la “fedelissima” Gaeta, detta anche “secondo Stato pontificio”, che pagò perché colpevole di aver ospitato undici anni prima Papa Pio IX in fuga dalla Repubblica Romana. La cittadina fu retrocessa da vicecapoluogo provinciale a cittadina di provincia, per poi essere separata dalla sua storia e dalla provincia di Terra di Lavoro, regione del Regno delle Due Sicilie, e assegnata al Lazio nel 1927 nella nuova provincia di Latina.
Nella città è sempre viva la memoria di quegli eventi e va oltre il muro della retorica che nasconde le sepolte verità della nostra storia.
Scusa Angelo a me interessa molto capire come siano andate veramente le cose a quei tempi.
Non ci piove sul fatto che i soldati sardo piemontese sotto comando dei Savoi abbiano commesso crimini immaginabili al Sud, sia per l’altissimo numero di persone che ne rimasero colpiti, che per la rozza brutalita usata.
Quello che scrivi in riguardo a come è stato fatto l’unita d’Italia lo trovo molto plausibile, ma alcuni particolari non mi sembra molto realistico.
Io per esempio non mi riesco a spiegare, perchè le nazioni potenti d’Europa avrebbero voluto che venisse spazzato via il più grande pericolo del mediterraneo: “il connubio amichevole tra lo stato ricco e cattolico del sud e il potere temporale del Papa” come racconti tu.
Se cosi si aggendo avrebbero soltanto favorito la nascita del futuro nuovo Regno dÌtalia, nell’ insieme più grande e potente, di quello che secondo il tuo racconto dava talmente fastidio a le nazioni potenti, da volerlo vedere distrutto?
Poi mi domando, se è vero chè il Regno Sardo Piemontese era molto più povero di quello delle due Siclilie a quei tempi, perchè solo loro potevano disporre di cannoni di nuova fattura, tu li chiami rigati, migliori di quelli usati dall’esercito borbonico?
Ma la cosa che più mi fa pensare, se il Regno delle due Sicilie era cosi ricco, industrialmente forte, è amato tra la gente comune, io mi chiedo, perchè allora molti ufficiali e soldati borbonci hanno tradito questo loro regno, preferendo di combattere non contro, ma per l’invasore?
Qualcuno ora mit potra rispondere, gli ufficiali borbonici sono stati pagati. Ma come puo un regno povero come quello piemontese avere pagato, anche i migliaia di soldati borbonci che hanno seguito questi loro ufficiali nel combattimento contro il regno a cui fino a pochi attimi prima avevano appartenuti?
Perchè nel passato in migliai di simili situazioni di guerra, dove un regno si è visto attacccato da un altro altro regno. Non é mai sucesso che gli stessi ufficiale e i soldati di un regno hanno deciso voltare le spalle al loro vecchio regno, fin da primo che la battaglia avesse avuto il suo inizio? Quando ancora nessuno poteva minimamente intravedere come questa guerra si sarebbe decisa?
Vorrei tanto credere al fatto che il regno del due Sicilie fosse un regno forte industrialmente, temuto dagli altri, ma amato dalla sua gente, ma troppe sono le incongruenze per cui non riesco a farmi un quadro preciso della situation. Fuori dai discorsi incentrati sulla retorica meridionalista che fanno il giro in rete, è che secondo il mio punto di vista quasi sempre dimenticano di spiegare in modo più profondo i punti da me elencati? Sarebbe importante per risultare il più credibile possibile nella difesa della causa meridionale chiarire il più possibile le dinamiche che hanno portato a questi avvenimenti.
Se in futuro potrei leggere qualche spiegazione in riguardo a le mie domande, te ne sarei molto grato.
Il Regno Sabaudo si indebitava e così si permetteva i migliori armamenti. Questa era la sua potenza, ma anche la causa che lo avrebbe portato al fallimento e che lo portò ad invadere il nostro Regno per meri motivi economici.
Molti siciliani si arruolarono con “i mille” con la promessa di terre da coltivare, alcuni soldati borbonici messi alle strette si videro costretti a scegliere tra tradire il proprio Re o essere uccisi e quindi si arruolarono con i Savoia.
Ma la maggior parte dei soldati borbonici rimase fedele al Re anche dopo la sua capitolazione, fondando un movimento di Resistenza che fu chiamato dai conquistatore Brigantaggio.
Ti consiglio di leggere dei libri per documentarti di controstoria o farti una passeggiata alla biblioteca nazionale di Napoli.