
Angelo Forgione – La Cucina italiana annoverata nella lista dei Patrimoni immateriali dell’Umanità insieme alla Dieta mediterranea e all’Arte dei Pizzajuoli napolitani. A New Delhi, proclamazione ufficiale de “La Cucina italiana, tra sostenibilità e diversità bioculturale”. Non si premiano ricette e piatti ma uno stile di cucina, un modo di pensare il cibo, di cucinarlo, di stare a tavola e di riconoscersi. Si premia il significato di una cucina che in realtà non esiste, nel senso che esiste un mosaico di diverse cucine regionali, fatte di ingredienti, tradizioni e preparazioni legate alla storia dei territori e alle culture locali, e tutte insieme formano la più complessa identità gastronomica del mondo.
Un insieme di diversità unica al mondo, che conferma che un popolo italiano unico non esiste, ma esiste una coesistenza di varietà che si traducono nelle tradizioni culturali espressive delle tante identità lungo lo Stivale: arti, riti, tradizioni, dialetti e cibi, quindi, anche ricette e cucine varie.
La loro preservazione e valorizzazione sono fondamentali nel mantenere viva la cultura delle comunità, contro il conformismo occidentale che travolge il mondo occidentale e produce un’omologazione che occulta le necessarie differenze, figlia dell’effetto disidentificante esercitato dal capitalismo imperante.
È ora che tutti si mettano in testa che la frase di D’Azeglio era diversa da come è stata riportata nei libri di storia: non “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani” ma “Fatta l’Italia non si fanno gli italiani”. Gli italiani non si potevano fare tutti uguali, e infatti è fallito il tentativo di omologazione, uno dei principali obiettivi della classe dirigente del nuovo Regno d’Italia e della massoneria, impegnata politicamente in un’ampia operazione di ingegneria sociale per forgiare una coscienza collettiva laica della Nazione e appiattire il grande patrimonio delle diverse identità territoriali.
Se i dialetti, sempre più vivi, hanno sconfitto il tentativo di annullarli, le cucine locali hanno continuato a tradurre la complessa storia d’Italia, e l’UNESCO, oggi, ci dimostra che il rispetto delle differenze è forza. Più si è diversi e più si è ricchi. Questa terra sdraiata sul Mediterraneo sarebbe un grande Paese se fosse davvero “unito”, nel senso che tutti i gruppi etnici rispettassero le diversità altrui e la politica facesse prevalere equità.
Accontentiamoci di come ci vede l’UNESCO: ricchi di arte, bellezze e di culture, ma anche di ingredienti e sapori diversi.
