Un busto di Dracula inaugurato a Napoli

Angelo Forgione Dracula è davvero sepolto a Napoli? Una suggestiva ipotesi di cui si parla già da qualche anno, sulla scorta di una particolare ricostruzione storica partita dalla Basilicata e in cerca di difficili conferme. Da oggi, la vicenda si arricchisce di un nuovo tassello: un busto celebrativo di Vlad III, principe di Valacchia, al secolo Dracula, nel presunto luogo della sepoltura, ovvero il chiostro minore del complesso monumentale di Santa Maria la Nova. Un busto in bronzo realizzato dallo scultore George Dumitru e donato dalla Societa Culturale Storica “Mihai Viteazul” di Plojesti con il supporto del governo rumeno attraverso il Dipartimento per i Rumeni nel mondo, inaugurato sabato scorso durante un’intensa giornata di approfondimenti su una ricostruzione partita dal ritrovamento nella libreria della famiglia Glinni di un testo manoscritto del 1600. Presenti i rappresentanti della stessa famiglia, quelli della Società “Mihai Viteazu”, di “Palazzo Italia Bucarest”, dell’Asociatia Lucani nei Balcani, docenti universitari, dottorandi e studenti, per proseguire nel percorso di riscoperta e valorizzazione sulle orme di Dracula e della sua dimensione europea. La giornata, animata anche dalla performance attoriale di Errico Liguori nei panni storici del principe Vlad, si è conclusa con una cena all’aperto nel chiostro in cui la chef lucana Enza Barbaro, presidente Associazione Italiana Cuochi, ha preparato tra l’altro le tradizionali Minestra maritata e Pastiera, con radici nel Cinquecento napoletano.

Questa storia, ritenuta valida da serissimi studiosi dell’Università di Tallin in Estonia, non incontra invece il favore del mondo accademico italiano. Riassumendola, si finisce per arrivare alla prestigiosa Corte aragonese di Napoli. Si apprende che Dracula ebbe a trascorrere dodici anni alla Corte del Re d’Ungheria Mattia Corvino, perché marito della sorella del Sovrano, il quale a sua volta sposò nel 1475 la figlia del Re di Napoli Beatrice D’Aragona, il cui segretario era Alfonso Ferrillo, duca di Acerenza. Dracula ebbe contatti con la prestigiosa Corte Aragonese di Napoli nel 1475, anno del matrimonio tra Mattia e Beatrice, concordato nell’ottica della difesa dei due regni dall’Impero ottomano, in fase di forte espansione.

Dracula sparì per sempre nel 1476, in battaglia contro gli Ottomani, è il suo corpo non fu mai ritrovato. E qui il pool di studiosi avanza l’esistenza di una figlia di Dracula, la principessa Maria Balsha, nipote di Mattia Corvino e di Beatrice d’Aragona, che, rimasta orfana, sarebbe stata condotta in anonimato a Napoli all’età di circa 6 anni, intorno al 1480, per essere posta sotto la tutela di Isabella  Del  Balzo, moglie di Re Ferrante d’Aragona. Poi avrebbe sposato Alfonso Ferrillo, duca di Acerenza.

I sostenitori della tesi filonapoletana suppongono che il principe Vlad non sarebbe morto in battaglia, ma sarebbe stato fatto prigioniero dagli Ottomani e in seguito riscattato dalla figlia a Napoli, che lo avrebbe fatto tumulare nel sepolcro del suocero, Matteo Ferrillo, realizzato nel chiostro minore di Santa Maria la Nova. Qui, a testimoniare la presenza di Dracula, vi sarebbe il drago scolpito sulla lapide marmorea, che richiamerebbe al patto militare di mutuo soccorso tra il Re d’Ungheria e gli Aragona, sancito in matrimonio da una comune appartenenza all’ordine del Dragone.

Nei confronti di questa tesi sono stati sollevati molti dubbi, a partire dall’assenza di tracce di una figlia di Dracula e dal significato del drago rappresentato sul sepolcro, che richiamerebbe invece lo stemma araldico della famiglia di Matteo Ferrillo. La leggenda convenzionale, fino a oggi, vorrebbe Vlad sepolto in un monastero di Snagov, in Romania, dove alcuni scavi archeologici effettuati nel 1933 portarono al rinvenimento di una cripta poi identificata come la tomba di Dracula, ma l’azione delle associazioni rumene, con il supporto del loro governo, intervenute a Napoli con un dono alla città, mette certamente in dubbio la narrazione classica.

A rendere tutto ancor più curioso sono le vicende di Bram Stoker, scrittore irlandese di Dracula, romanzo del Principe in versione vampiro per antonomasia, che passò per Napoli nel 1876, quando altri scrittori erano già stati influenzati dalla città. Basti ricordare Frankenstein o il moderno Prometeo di Mary Shelley, nel quale il personaggio mostruoso viene fatto nascere alla Riviera di Chiaia. Del resto, in uno dei più famosi romanzi sul genere “vampiresco” che precedettero Dracula, ovvero Varney il vampiro del 1847, il vampiro protagonista muore gettandosi nel Vesuvio.

Alfonso “il magnanimo” è tornato a Palma

Angelo Forgione — Inaugurata a Palma Campania una statua bronzea di Alfonso d’Aragona realizzata dal maestro Domenico Sepe. L’opera è rivolta verso la dirimpettaia facciata del Palazzo Aragonese, casina di caccia voluta dal Re, nel cui cortile, alla presenza delle autorità cittadine, è stato raccontato il luogo e il personaggio ad alcuni alunni delle scuole medie (guarda il video del mio intervento).
“Il magnanimo” — così era detto Alfonso per la sua statura di grande monarca — rese Napoli una capitale della cultura d’Europa di metà Quattrocento. Era amante delle lettere e delle arti questo sovrano che volle fortemente la città partenopea e il suo regno, avviando una guerra ventennale agli Angioini vinta con gran tenacia nel 1442, allorché spodestò Renato d’Angiò. Lasciò la Catalogna alle cure del fratello e della moglie e si dedicò alla città tanto desiderata, rendendola ufficialmente la capitale mediterranea dell’impero catalano-aragonese a scapito proprio di Barcellona. Inizialmente si trasferì con tutta la sua corte in Castel Capuano, mentre artisti catalani e italiani rifacevano completamente nell’aspetto la roccaforte sul mare costruita dagli Angioini, il “Maschio”, che noi dovremmo chiamare “aragonese” più che “angioino” per i connotati che lo spagnolo gli diede. “Castel Nuovo”, rifatto, appunto, con il mirabile arco d’ingresso a lui intitolato, perché il trionfo era da celebrare in pompa magna, e lì trasferì una sontuosa biblioteca, accogliendovi i migliori uomini di cultura filosofica e letteraria del tempo, dando vita all’Accademia Alfonsina, la più antica delle accademie italiane, di quindici anni più anziana della prima fiorentina. Non ce lo raccontano nei libri di storia italiani, perché Alfonso era uno spagnolo, ma fu proprio lui a inaugurare la stagione dell’Umanesimo e del Rinascimento italiano. E fu sempre lui a plasmare la lingua napoletana antica, sostituendola al latino nei documenti e nelle assemblee, ed elevandola a rango di lingua ufficiale del Regno, mentre lo contaminavano diversi termini catalani e castigliani pronunciati dai tanti iberici al seguito. Li pronunciamo anche noi oggi.
A Barcellona sperarono sempre nel suo ritorno, ma lui non ne volle proprio sapere di lasciare la tanto desiderata Napoli e la sua amante Lucrezia d’Alagno. Prima di morire, consigliò all’erede Ferrante, italianizzazione di Ferran, Fernando in lingua catalana, di circondarsi di napoletani e di allontanare dalla corte gli spagnoli. In Spagna tornarono solo le sue spoglie, tardamente, nel monastero catalano di Santa Maria di Poblet, là dove, al pari dell’arco di trionfo di Castel Nuovo, aveva fatto costruire una coeva cappella per celebrare la conquista di Napoli. Vi erano già seppelliti i suoi predecessori, e lì fu traslato dopo un lungo periodo di “riposo” napoletano.

per approfondimenti:
Napoli Capitale Morale – Angelo Forgione (Magenes, 2017)