Napoli e la sua storia illustrate ai libanesi di Al Mayadeen, uno dei canale satellitari d’informazione più seguiti nel mondo arabo.
Breve estratto del reportage andato in onda nelle “news” del 16.08.22.
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“Napoli svelata” al Vg21
Una chiacchierata di buonora con gli amici di Vg21 MATTINA (Canale 21) attorno a qualche tema di Napoli svelata.
Alfonso “il magnanimo” è tornato a Palma
Angelo Forgione — Inaugurata a Palma Campania una statua bronzea di Alfonso d’Aragona realizzata dal maestro Domenico Sepe. L’opera è rivolta verso la dirimpettaia facciata del Palazzo Aragonese, casina di caccia voluta dal Re, nel cui cortile, alla presenza delle autorità cittadine, è stato raccontato il luogo e il personaggio ad alcuni alunni delle scuole medie (guarda il video del mio intervento).
“Il magnanimo” — così era detto Alfonso per la sua statura di grande monarca — rese Napoli una capitale della cultura d’Europa di metà Quattrocento. Era amante delle lettere e delle arti questo sovrano che volle fortemente la città partenopea e il suo regno, avviando una guerra ventennale agli Angioini vinta con gran tenacia nel 1442, allorché spodestò Renato d’Angiò. Lasciò la Catalogna alle cure del fratello e della moglie e si dedicò alla città tanto desiderata, rendendola ufficialmente la capitale mediterranea dell’impero catalano-aragonese a scapito proprio di Barcellona. Inizialmente si trasferì con tutta la sua corte in Castel Capuano, mentre artisti catalani e italiani rifacevano completamente nell’aspetto la roccaforte sul mare costruita dagli Angioini, il “Maschio”, che noi dovremmo chiamare “aragonese” più che “angioino” per i connotati che lo spagnolo gli diede. “Castel Nuovo”, rifatto, appunto, con il mirabile arco d’ingresso a lui intitolato, perché il trionfo era da celebrare in pompa magna, e lì trasferì una sontuosa biblioteca, accogliendovi i migliori uomini di cultura filosofica e letteraria del tempo, dando vita all’Accademia Alfonsina, la più antica delle accademie italiane, di quindici anni più anziana della prima fiorentina. Non ce lo raccontano nei libri di storia italiani, perché Alfonso era uno spagnolo, ma fu proprio lui a inaugurare la stagione dell’Umanesimo e del Rinascimento italiano. E fu sempre lui a plasmare la lingua napoletana antica, sostituendola al latino nei documenti e nelle assemblee, ed elevandola a rango di lingua ufficiale del Regno, mentre lo contaminavano diversi termini catalani e castigliani pronunciati dai tanti iberici al seguito. Li pronunciamo anche noi oggi.
A Barcellona sperarono sempre nel suo ritorno, ma lui non ne volle proprio sapere di lasciare la tanto desiderata Napoli e la sua amante Lucrezia d’Alagno. Prima di morire, consigliò all’erede Ferrante, italianizzazione di Ferran, Fernando in lingua catalana, di circondarsi di napoletani e di allontanare dalla corte gli spagnoli. In Spagna tornarono solo le sue spoglie, tardamente, nel monastero catalano di Santa Maria di Poblet, là dove, al pari dell’arco di trionfo di Castel Nuovo, aveva fatto costruire una coeva cappella per celebrare la conquista di Napoli. Vi erano già seppelliti i suoi predecessori, e lì fu traslato dopo un lungo periodo di “riposo” napoletano.
per approfondimenti:
Napoli Capitale Morale – Angelo Forgione (Magenes, 2017)
Sintesi della presentazione di NAPOLI SVELATA a La Radiazza (Radio Marte) con Gianni Simioli.
Due chiacchiere con Mariù Adamo su NAPOLI SVELATA a MattinaLive, negli studi di Canale 8.
La copertina svelata di “Napoli Svelata”

Angelo Forgione – Sì, per la copertina del mio nuovo libro Napoli Svelata ho scelto proprio le Chiavi della Città di Napoli, simbolo di apertura di uno scrigno di Cultura e Civiltà che fa parlare di sé da secoli. Uno scrigno in cui non si finisce mai di trovare avvenimenti interessanti, di scovare insospettabili espressioni di un eclissato universalismo.
Ho scelto questo simbolico oggetto perché un libro che svela è un libro che apre la mente.
Le due chiavi dorate, realizzate all’inizio dell’Ottocento, sono oggi esposte in un quadro-medagliere al secondo piano di Palazzo San Giacomo, antico Palazzo dei ministeri borbonici e oggi Municipio.
Spicca il Corsiero del Sole, il “cavallo sfrenato”, da me rappresentato in posizione ancor più rampante, più fedele a quello che, in quanto simbolo dello scalciante e indomito popolo napoletano, è emblema della Città dal XIII secolo e di tutti i territori peninsulari del Regno delle Due Sicilie, cioè del Regno di Napoli. Racchiuso nell’anello, è delimitato da una ghirlanda di foglie di quercia (forza e resistenza) e di alloro (sapienza e gloria) su cui troneggia una corona reale, quella dell’unico regno europeo che ha portato il nome della sua capitale.
L’attaccatura dell’anello al gambo è a forma di scudo (e speriamo che porti bene!), sul quale è inciso, in lettere corsive intrecciate, il monogramma CDN, (Città di Napoli), sintetizzato nella traduzione grafica con una semplice enne neoclassica, la stessa del titolo, a comunicare un periodo in cui Napoli capitale ha sconvolto il mondo riscoprendo il gusto classico con gli epocali scavi vesuviani.
Lo sfondo non ha bisogno di spiegazioni. È un panorama conosciuto dal mondo intero.
Trionfo napoletano per Alberto Angela

Angelo Forgione – Più di 4 milioni di telespettatori per Stanotte a Napoli, e quasi il 23 percento di share. A Natale!
Un trionfo partenopeo per Alberto Angela, che ha dato a Napoli la ribalta che le spetta portando una minima parte della sua essenza culturale e della sua anima popolare in prima serata su Rai Uno, in un Paese che, dal dopoguerra in poi, ha esaltato solo Roma, Firenze e Venezia, e poi anche Milano, snobbando una città che pochissimi sanno essere prima per densità e rilevanza del patrimonio museale.
Era la città italiana più importante al momento dell’Unità, la vera capitale del Paese che veniva unito con la forza da chi poi avrebbe evitato che fosse fatta davvero Capitale d’Italia nel 1864, perché altrimenti si sarebbe rischiato di non andare a Roma.
Ha dettato mode, usanze e costumi, ed è stata la più popolosa città italiana per secoli, fino al primo ventennio del Novecento.
Pur con i suoi affanni, è ancora un gran laboratorio, il più fervido del Paese, e gli uomini di conoscenza sanno che l’Italia ha bisogno di Napoli, della sua storia, della sua cultura, delle sue emanazioni internazionali. Raccontare la magnificenza d’Italia senza mettere anche Napoli al centro è atto autolesionistico che il Paese si permette da un secolo. Alberto Angela è tra quelli che hanno capito che non può più farlo.
Che piaccia o no, l’Italia senza Napoli è come Napoli senza il Vesuvio.