Il Cavallo, simbolo ed eccellenza di Napoli (anche nel marchio Ferrari)

Angelo Forgione — Se divulgo storia identitaria di Napoli, del Sud e oltre, è perché lì c’è dell’eccellenza sotterrata da altra storia, da riportare alla luce. E se insisto sull’importanza del cavallo nella storia di Napoli non è per capriccio.
Oggi ci ha pensato il piemontese Guido Crosetto, ministro della Difesa delle Repubblica italiana a fare da sponda importante. Questi, a margine del suo intervento all’Aerospace Power Conference di Roma per i 100 anni dell’Aeronautica Militare, ha accennato alla genesi del cavallino rampante della Ferrari (nel videoclip), dimostrando di aver recepito la grandissima valenza del cavallo in quanto eccellenza di Napoli e del Sud Italia.

“Oggi siamo qua a parlare di futuro — ha detto il Ministro — ma un futuro esiste quando esiste un passato, e noi in questo settore abbiamo un grande passato. Molti di voi collegano l’immagine del cavallino rampante a quello della Ferrari, ma è il cavallino rampante che era sull’aereo di Francesco Baracca. Ma in realtà, se andiamo ancora più indietro, è la rappresentazione di un cavallo di razza Persano allevato dai Borbone, che governavano l’Italia del sud ancora prima che nascesse l’Aeronautica. Questo per ricordare che abbiamo una storia che si intreccia…”.

Intercettate le parole di Crosetto, riporto a corredo alcuni passaggi del mio Napoli svelata, a beneficio di chi vuol saperne di più:

“La tradizione equestre di Napoli fu alimentata enormemente in epoca borbonica, partendo dalla volontà di Carlo di Borbone di ottenere dei cavalli ancor più agili e resistenti, facendo avviare presso la tenuta di caccia di Persano un incrocio tra giumente del Regno di Napoli e veloci stalloni turchi che diede origine, alla metà del Settecento, alla pregiata Razza reale di Persano. Poi incrociata a stalloni spagnoli nella specialissima tenuta di Carditello, dotata da Ferdinando di un apposito ippodromo, divenne razza dei cavalli di Stato, la migliore dell’epoca, di fama internazionale alla fine del secolo.
[…]
Nel 1929 nasceva la Serie A, il torneo a girone unico, e contemporaneamente, con le automobili che sostituivano i cavalli, veniva fondata a Modena la Scuderia Ferrari per la gestione sportiva delle Alfa Romeo da corsa. Tre anni più tardi anche quei bolidi mostrarono in gara uno scudetto con il cavallo rampante su fondo giallo assai somigliante all’emblema della città di Napoli, e un legame c’era. Il pilota Enzo Ferrari aveva ricevuto quello stemma in dono dalla contessa Paolina Biancoli, madre del capitano Francesco Baracca, cavaliere e fuoriclasse dell’aviazione italiana durante la Prima guerra mondiale, defunto in battaglia nel 1918 dopo aver vinto trentaquattro duelli aerei. Sulla fusoliera del suo areoplano, il mitico aviatore romagnolo aveva fatto dipingere un cavallo rampante nero su fondo bianco in onore del suo reggimento di cavalleria, e la madre aveva invitato l’amico Ferrari a mettere quell’effigie sulle sue vetture da corsa, ché gli avrebbe portato fortuna. Suggerimento accolto, sostituendo il bianco di fondo con il giallo canarino per tributare la città di Modena. I puledri montati abilmente da Francesco Baracca erano di Razza reale di Persano; quella specie, ridotta a pochissimi esemplari dal Ministero della Guerra dei Savoia dopo l’Unità d’Italia in quanto simbolo della dinastia napoletana, era stata ripresa opportunisticamente intorno al 1900 dallo stesso ministero, resosi conto del grande errore commesso. Le originali doti di resistenza e agilità della ribattezzata Razza Governativa di Persano erano tornate utili per le esigenze militari ma anche sportive, e avrebbero fruttato medaglie alle Olimpiadi negli anni Sessanta con i fratelli Raimondo e Piero D’Inzeo. Il famoso “cavallino rampante” di Baracca, quello che oggi è il marchio di maggior valore al mondo, potrebbe davvero essere un superbo cavallo “borbonico”, dismesso nuovamente dall’Esercito italiano negli anni Novanta e salvato ancora dall’estinzione dall’appassionato principe siciliano Alduino da Ventimiglia di Monforte, che è riuscito ad assicurarne alcuni esemplari all’anch’essa recuperata tenuta casertana di Carditello, dove ancora oggi le stesse scuderie in cui fu selezionata la razza e il bellissimo ippodromo settecentesco, il più grande al mondo all’interno di un complesso reale, consentono la vita in libertà a una specie che rappresenta l’eccellenza napoletana al tempo in cui il cavallo era elemento determinante.”

Ma la tradizione equestre di Napoli risale almeno al Cinquecento, ovvero all’arte dell’Alta Scuola napoletana di Equitazione, fondata da Federico Grisone:

“Una maestria applicata all’insegnamento ma anche all’addestramento del nobilissimo Cavallo Napolitano, preferito a tutte le razze dall’esperto Carlo V e da altri grandi sovrani del tempo per la sua incredibile obbedienza e per la sua meritata fama di gran corsiero da guerra. Frutto di una selezione iniziata nel XIII secolo in territorio campano per ottenere cavalli più eleganti, veloci e leggeri di quelli ben più massicci necessari alla decaduta cavalleria medievale, veniva allevato in tutto il Regno di Napoli, di cui era in qualche modo rappresentativo, e da qui esportato verso il resto d’Italia e d’Europa anche come miglioratore di altre specie, apprezzato dappertutto per superiorità di intelligenza, mitezza, forza, bellezza, eleganza, leggerezza, portamento e andatura”.

Il Cavallo Napolitano era già allora considerato tra i più pregiati al mondo, insieme al turco e al berbero. E i maestri dell’accademia di Equitazione partenopea diffusero in tutta Europa uno straordinario metodo per addestrare i cavalli, quello che oggi è il Dressage, disciplina non più accademica ma sportiva, e olimpica.

Andando ancora più indietro, è nel Duecento che il cavallo diventa simbolo di Napoli, incarnano il popolo napoletano, indomito e scalciante…


per approfondimenti: NAPOLI SVELATA e MADE IN NAPLES


Verso gli stati disuniti d’Italia

Passa il disegno di legge dell’Autonomia differenziata firmato Lega, che “promette” di condannare il Sud mentre finge di dare al Paese “l’occasione per crescere tutti”.
Si tratta della nascita degli stati disuniti d’Italia.

Nel caso siate contrari all’attuazione del progetto, firmate al seguente link:

http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it

Occorrono 50mila firme con Spid per una legge di iniziativa popolare di riforma della Costituzione.
Firmate e condividete, grazie.

La veneta di Sardegna “minaccia” i calabresi

Angelo Forgione Quando una veneta figlia di emigrante sardo “minaccia” un bambino calabrese di un futuro da emigrante, l’irrisolta Questione meridionale fa ancora più rabbia.
A rendersi talmente squallida è stata Sara Pinna, la conduttrice di Terzo Tempo – diretta biancorossa, trasmissione dedicata alle partite del Vicenza dell’emittente locale TvA. Costei, immediatamente dopo la partita di calcio che ha sancito la salvezza del Cosenza e la retrocessione in Serie C del Vicenza, ha fatto il verso a un piccolo tifoso dei Rossoblù calabresi. Il bambino, ai microfoni dell’inviato in Calabria, Andrea Ceroni, ha raccolto l’imbeccata del padre per esprimere la propria fede:

«Lupi si nasce».

Sara Pinna, ferita nell’orgoglio, ha tirato fuori la peggior boria nordica:

«Eeeeh… E gatti (vicentini) si diventa. Non ti preoccupare che venite anche voi in Pianura a cercare qualche lavoro».

E il collega, annuendo, ci ha messo pure del suo:

«Non male, Sara».

Cosa poteva capire il piccolo di quella risposta? Nulla, ovviamente. E lei, con quel cognome e quelle fattezze tipicamente sarde, ex tifosa cagliaritana giunta in Veneto dall’isola, sapeva di non rivolgersi a quel bambino ma alla platea adulta dei suoi telespettatori veneti, tanto per affermare una superiorità economico-sociale sui meridionali che non era scritta da nessuna parte prima che fosse unita l’Italia.

Sarà Pinna ha poi chiesto scusa dopo l’ondata di condanna arrivatale addosso con qualche giorno di ritardo:

“Ribadisco le mie scuse al bambino, alla sua famiglia, ai tifosi del Cosenza e a tutti coloro che si sono sentiti offesi per una frase sbagliata che non rispecchia in alcun modo il mio pensiero e la mia sensibilità. Io stessa sono di origini sarde, in Veneto per lavoro dei miei genitori, quindi non vi erano in me le intenzioni maligne che mi vengono attribuite dai numerosi commenti sui canali social, molti dei quali hanno oltrepassato ogni limite di decenza e di legge, ma di questo si occuperà nelle sedi opportune la magistratura”.

Non era bastato il tifoso vicentino che, all’andata, era arrivato ad apostrofare i tifosi del Cosenza con l’epiteto di scimmie calabresi. Ci voleva anche la minaccia al bambino di Calabria, che forse un giorno sarà davvero costretto ad andare a cercare lavoro in Pianura Padana, ma resterà comunque e sempre un “lupo” rossoblù. E speriamo che non sia anche juventino, interista o milanista, perché poi la colonizzazione del Sud è anche di tipo sportivo, e il fenomeno del doppio tifo, per la squadra della propria città e per una delle tre grandi strisciate del Nord, è diffuso in Calabria come in altre regioni limitrofe.

S.O.S Galleria Umberto I

La Galleria Umberto I di Napoli, capolavoro della Belle Époque umiliato da 130 di sciatta e scellerata gestione. L’ho messa a confronto con la Vittorio Emanuele II di Milano, evidenziandone tutti i problemi. Su IL MATTINO, con Francesco Borrelli (Verdi) e Gianni Simioli, proseguiamo la battaglia per dare dignità al fu salotto di Napoli, proponendo interventi fattibili e certamente migliorativi.

Clicca qui per guardare il video.

Addio a Lina Wertmüller, una romana assai napoletana

Angelo Forgione “Napoli è la dea della bellezza. La voglia di cantare dei napoletani deriva dalla loro natura di artisti. Perché disprezzare i mandolini che venivano suonati anche da Cimarosa e Vivaldi? Il Conservatorio S. Pietro a Maiella contiene un enorme patrimonio musicale, è un forziere inesauribile dove l’incuria e l’ignoranza hanno fatto marcire cose inestimabili. Qualsiasi paese al mondo avrebbe attinto a questo patrimonio per creare una stagione speciale d’arte. Napoli dovrebbe diventare, almeno per quattro o cinque mesi all’anno, Turistlandia, un posto cioè dove tutti potrebbero arrivare guidati dalla grande vela della musica, dell’arte e della bellezza.”

Così si espress, negli anni Novanta, la romana Lina Wertmüller. Una decina d’anni dopo, nel 2008, in piena crisi dei rifiuti a Napoli, si scagliò contro le tv che “amplificavano” quel disastro. Non riteneva giusto oscurare, nonostante i problemi, quanto di meraviglioso s’era prodotto e si produceva a Napoli, città che definì “una perla antica”.

Si chiude il suo sipario. Si chiudono i suoi occhi dietro a quegli iconici occhiali bianchi, espressione di un’anticonformismo e di una diversità che riscontrava nel popolo napoletano, lei che si vantava di essere stata espulsa da ben undici scuole in gioventù. Ed era proprio la Napoli diversa e anticonformista, anche impertinente, che le piaceva raccontare, senza alcun timore della critica per certi azzardi. Non ne risparmiava neanche quando poteva accennare alla storia della Città, del Sud, dell’Italia. Ardimentosa nel 1981, dico 1981, a raccontare la verità nel suo docufilm È una domenica sera di novembre, realizzato per la Rai in occasione del terremoto irpino dell’anno precedente. E quando, sul finire degli anni Novanta, girò Ferdinando e Carolina si rese conto di persona della spoliazione di Napoli, di come porcellane, specchi e mobili settecenteschi delle regge borboniche fossero stati trasferiti nelle residenze sabaude, sostituiti da un brutto riarredo tardo-ottocentesco. Lo denunciò qualche anno più tardi alla trasmissione Passepartout (Rai) di Philippe Daverio:
«Per somma beffa, dovendo ricostruire le ambientazioni napoletane originali del Settecento, ritrovammo gli arredi a Torino, nelle regge dei Savoia».

A Napoli è tempo di Manfredi

Angelo Forgione Con l’elezione del nuovo sindaco, i napoletani giocano con uno tra i piatti più conosciuti della cucina campana, i “Manfredi” con la ricotta, che in città li conoscono tutti, ma se metti piede fuori l’area metropolitana già la faccenda inizia a diventare misteriosa, perché quelle fettuccine con i bordi arricciati intitolati inizialmente al re Manfredi di Sicilia sono state ribattezzate “Mafalde” a inizio Novecento in onore della principessa Mafalda di Savoia, e così gli italiani di oggi le conoscono (anche “mafaldine” o “reginette”), tranne i napoletani, che continuano a chiamarle in modo tradizionale. Al Nord, poi, neanche si è a conoscenza di questo formato di pasta perché la richiesta è scarsissima e la distribuzione si adegua.
A la Radiazza (Radio Marte) abbiamo sentito un pastificio di Caserta, una salumeria di Forcella a Napoli e lo speaker radiofonico Luca Viscardi da Bergamo…

Vicepresidente Unesco: «Napoli rischia la cancellazione»

Angelo Forgione «È da tempo che dal Centro Storico di Napoli, patrimonio dell’Umanità, emergono una moltitudine di criticità e per questo rischia di essere inserito tra i siti materiali a rischio. L’inserimento in quella lista rappresenta l’anticamera per la perdita del riconoscimento come patrimonio Unesco e quindi c’è bisogno di grande attenzione su questa situazione».

Lo ha detto il vicepresidente dell’organo di esperti mondiali della Convenzione Unesco sul patrimonio culturale immateriale, Pier Luigi Petrillo, al programma di Radio Marte “La Radiazza”, ascoltato da Gianni Simioli, al quale nei giorni scorsi ho sollecitato interesse sul caso, dacché entro il 31 dicembre del 2023 bisognerà spendere i soldi stanziati per i 27 progetti di recupero di monumenti e siti del Centro Storico di Napoli, pena la restituzione dei fondi e magari anche l’inserimento nella lista che prelude alla cancellazione in caso di ulteriore immobilismo. La giunta del sindaco De Magistris, nei prossimi mesi, sarà chiamata a spendere e a rendicontare, molto più di quanto non abbia fatto nel corso del suo mandato, ma i cantieri deserti fanno pensare che si possa/voglia passare la patata bollentissima al prossimo sindaco, che avrebbe solo due anni per risolvere l’impasse. Situazione incresciosa.

“Terrone” e “napoli”, quando il vocabolario è razzista

Angelo Forgione L’ingegnere salernitano Francesco Terrone fa causa all’Accademia della Crusca e chiede di cambiare la definizione della parola “terrone”, usato con significato dispregiativo.
Battaglia condivisibile, e c’è anche di peggio nei vocabolari della lingua italiana: la parola “napoli”. Frutto dell’anti-meridionalità nazionalista dell’Italia del dopoguerra industrializzata a metà, quando gli operai venuti dal Sud agricolo, senza più opifici, furono chiamati dai torinesi «nàpuli» e «mau mau».
Che “nàpuli” fosse un poco edificante vocabolo di matrice piemontese era chiaro, ma che sia stato poi inserito nei dizionari di lingua italiana non è accettabile.

SOS Napoli, ancora un crollo

Angelo Forgione – Il crollo di un edifico attiguo alla chiesa di Santa Maria del Rosario alle Pigne, in piazza Cavour, è l’ennesimo segnale chiaro di un’emergenza che dura da decenni, e che ora sta mostrando una drammatica serialità. Chiese, palazzi, statue e fontane perdono pezzi. Criticità spalmate su tutto il territorio cittadino, e le cause sono le medesime: incuria e abbandono. Dieci anni fa l’emergenza era strisciante e silenziosa, ma già allora, in occasione di un intervento di messa in sicurezza della guglia dell’Immacolata, fasciata con delle reti di contenimento che ancora oggi la avvolgono, avevo scritto: “una crisi strisciante, meno chiassosa di quella dei rifiuti ma sicuramente più dannosa in prospettiva”. E senza interventi, in questi dieci anni, quella triste prospettiva è diventata la temuta realtà di un’emergenza che si è fatta rumorosa ed evidente.
Le fotografie precedenti al crollo dell’ala della chiesa “del Rosariello” mostrano la formazione di vegetazioni selvagge, evidenza ravvisabile in tanti palazzi e monumenti della città. L’incuria significa anche formazione di radici che penetrano persino i marmi e invadono le intersezioni col risultato che, complice l’acqua piovana, tutto si acuisce, fino alla frantumazione, al distacco dei pezzi e addirittura al crollo.

Clicca qui per ascoltare il mio intervento a La Radiazza (Radio Marte)