Angelo Forgione – Toci… Tocimiz… Tocilim… Come diavolo si chiama? Ehm… To-ci-li-zu-mab. Oh, ce l’ho fatta!
Tene ‘e ccorna nel nome ‘sto medicinale che cura l’artrite e ora lo usano contro il coronavirus. Non è inusuale che per curare un accidente si ricorra a un medicinale creato per curarne un altro. Lo chiamano “off label” quelli bravi l’uso dei farmaci con scopi diversi da quelli terapeutici indicati nei bugiardini. Il medico sportivo di una nota squadra di calcio senza colori, anni fa, pensò bene di passare ai suoi calciatori dei farmaci antidepressivi utili a trattare la crisi respiratoria causata dall’overdose di eroina perché avessero più fiato in partita. Vinsero.
Anche il Toci… Tocimiz… Tocilizumab non c’entra niente con quel che ora deve provare a curare, il coronavirus, e però cura un problema causato dal coronavirus, quello più grave. Già, perché questo virus con gli occhi a mandorla che ci tiene d’occhio tutti può levarci il fiato e mandarci in rianimazione per direttissima. Ma chi tene ‘e ccorna non si ferma mai, i napoletani lo sanno bene. È antica cultura greca.
A curare la polmonite grave dei malati di coronavirus con il cornuto Totò… ops, Tocilizumab, ci hanno pensato i camici bianchi napoletani, con buoni risultati. Dopo ha funzionato pure altrove. E così i tipi che autorizzano i trattamenti medicinali hanno dato il via libera alla sperimentazione su più di trecento intubati d’Italia. Notizia fresca fresca.
Proprio a Napoli, nella città simbolo dell’ultimo colera d’Italia che pure veniva dall’Oriente, la più infangata e offesa del Paese, è maturata la speranza; una speranza che ha il sapore della Zeppola di San Giuseppe. Un sapore che ora si può difficilmente gustare, visto che il perfido virus ha colpito anche lei. Di questi tempi, a Napoli e un po’ dappertutto, se ne sarebbero sfornate già in quantità industriale, battendo per un po’ i consumi di sfogliatelle e babà.
Facciamo malvolentieri a meno della cremosa Zeppola sperando che da Napoli sta forse germogliando la salvezza per tanti intubati dello Stivale e del Globo; una salvezza che potrebbe avere il profumo della Pastiera. Tra un mese sarà tempo di accendere i forni, e le case vesuviane, quarantena o non più, sprigioneranno l’odore rotondo della rinascita della natura, della resurrezione sacra di Primavera. Voglio pensare che la Pastiera che verrà possa avere un profumo ancor più rotondo, che possa rivelarsi un altro delizioso dono di un popolo che elargisce e guarisce. Uscirà dalle case quel profumo, magari insieme a noi, a rendere tutto più dolce.
Facimmo ‘e ccorna! Andrà tutto bene!
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L’aspirina e il falso legame con Napoli
Angelo Forgione – Qualcuno racconta che la farmaceutica Roche, nel 1899, si sia ispirata alle vicende di sant’Aspreno di Napoli per dare il nome a un nuovo farmaco antinfiammatorio che oggi conosciamo come Aspirina. Aspreno fu il primo vescovo di Napoli e poi primo patrono cattolico, oggi secondo dopo san Gennaro, ed è invocato contro l’emicrania, che in vita guariva con le mani.
In realtà, il legame tra l’Aspirina e sant’Aspreno, per quanto plausibile per assonanza, è solo una fantasiosa leggenda diffusa negli ultimi anni sul web.
Premesso innanzitutto che si tratta di un farmaco di Bayer, e non di Roche, il nome Aspirina / Aspirin deriva piuttosto dal tedesco Acetyl Spirinsäure – A(cetyl)Spirin(säure) – , ovvero acido acetilsalicilico, sintesi chimica antinfiammatoria di ciò che precedentemente si otteneva per via naturale dalla Spirea (Filipendula ulmaria).
È bene, benissimo, raccontare Napoli e le sue innumerevoli storie universali, ma non è romanzando che si fa la nuova cultura.
