Angelo Forgione – Il Covid-19 ha colpito il mondo, eppure l’OMS aveva avvertito due anni fa, nel febbraio del 2018, che ci avrebbe potuto travolgere una pandemia internazionale causata da un virus sconosciuto originato da una infezione zoonotica. La classificò come “malattia X”, cioè incognita, nell’elenco di quelle prioritarie su cui l’OMS aveva già iniziato a lavorare nel dicembre del 2015; e nel gennaio del 2019 preavvisò che era imminente. Con quel preallarme, l’OMS sollecitava risposte adeguate da parte dei governi, volte a gestire il problema delle pandemie con la prevenzione. Un consiglio rimasto ampiamente inascoltato dagli esperti ai quali i governi si affidano, e così il mondo si è fatto trovare impreparato di fronte a un pericolo preannunciato.
A Covid-19 già entrato in Italia, i nostri luminari hanno persino escluso che ne saremmo rimasti colpiti e che sarebbe potuta scoppiare una pandemia mondiale. I primi provvedimenti seri sono stati presi l’11 marzo, con notevole ritardo, quando l’Italia era già il focolaio d’Europa, mentre l’OMS dichiarava la pandemia. I nostri morti sono a migliaia anche a causa di una gestione troppo sufficiente e mal indirizzata da qualche infettivologo di casa nostra. Uno su tutti, il professor Massimo Galli del “Sacco” di Milano, imperversa nelle tivù, nonostante il fallimento. Le sole speranze valide di cura, al momento, arrivano paradossalmente da un’altra branca della ricerca biomedica, quella oncologica, che ha nel “Pascale” di Napoli il centro capofila dell’unica seria sperimentazione in corso. L’oncologia che propone soluzioni nel campo dell’infettivologia, il Sud che sfida il Nord in quanto a intuito. Un’invasione di campo che ha generato insofferenza in chi, in 50 giorni, ha fallito previsioni e terapie.
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