Quando “napoletano” è cialtrone italiano

Angelo Forgione – Mentre la Costa “Concordia” torna in posizione eretta anche grazie alla scienza napoletana e alle competenze tecniche della città partenopea, si riaccendono i riflettori su Francesco Schettino, lo sciagurato comandante del disastro in attesa di giudizio. È stato da subito considerato uno sbruffone, un buono a nulla, addirittura un soggetto pericoloso e spavaldo della cui minacciosa personalità (?) bisognava accorgersi prima dell’incidente dell’Isola del Giglio. Eppure la pratica dell’inchino non era eccezionale, non un’iniziativa cervellotica e personale, ma una consuetudine che proprio Costa crociere, sul proprio blog ufficiale, decantava, come in occasione del settembre 2010, quando fu compiuto all’isola di Procida (video). È la stessa Compagnia ringraziava il comandante, salvo poi prenderne le distanze all’indomani della sciagura nei mari toscani. La pratica non era sporadica e la ripetevano anche altre compagnie in ogni posto suggestivo, come di fianco ai faraglioni di Capri.
È evidente che il comandante campano sia diventato lo strumento per uno squallido giudizio sulle sue origini napoletane. Leghisti e non, da più parti, hanno attaccato la comunità napoletana capace di generare personaggi del genere, levantini e incapaci di assumersi delle responsabilità. La sottocultura italiana del dito contro sempre puntato è venuta a galla mentre la nave era ormai ripiegata su se stessa. Schettino è figlio della cultura marinara di Meta di Sorrento, cittadina che affaccia sul mare e quell’orizzonte lo scruta ogni giorno. Una cultura prima imparata nella sua formazione marittima e poi tradita in una notte di follia e terrore, ma pur sempre una cultura che ha dato e da tanto all’Italia. La stessa cultura del Capitano di fregata Gregorio De Falco da Sant’Angelo di Ischia, da tutti indicato come l’uomo che ha dimostrato polso fermo e sangue freddo.
Poco o nulla è cambiato dai giorni tristi della tragedia. Un articolo de il Fatto Quotidiano di oggi, 17 settembre 2013 (immagine in basso), ritorna sulle tracce di Schettino e lo cataloga come “napoletano”, laddove per napoletano si intende “cialtrone italiano”. Qualcuno conosce forse il nome del comandante della “Jolly Nero” che travolse ad alta velocità la torre piloti del porto di Genova, causando 9 morti? Ve lo dico io. Si chiama Roberto Paoloni. E qualcuno sa di dov’è? Ve lo dico io. È di Genova. Certo, è facile ironizzare su una presunta mentalità irresponsabilmente meridionale di Schettino, ma la memoria corta di una certa becera sottocultura italiana fa dimenticare che nel 2001 una tragedia ben più grave ma meno “cervellotica” vide due aerei scontrarsi a terra sulla pista di Linate con ben 118 morti, e le condanne colpirono Sandro Gualano, Paolo Zucchetti, Antonio Cavanna e Giovanni Lorenzo Grecchi; un torinese, due milanesi e un pavese ritenuti responsabili di gravi omissioni e negligenze procedurali. Ma evidentemente i cialtroni sono solo i napoletani… e i napoletani, solo cialtroni.
Impossibile stare a questo gioco. Schettino è stato un irresponsabile, prima sbruffone e poi codardo, e dovrà evidentemente saldare il conto con la giustizia, ma i napoletani non hanno di certo il copyright della cialtroneria certificata, che appartiene invece a qualche operatore dell’informazione.

Il comandante affonda con la nave, metafora del paese

Il comandante affonda con la nave, metafora del paese

le colpe, la gogna, la strumentalizzazione

Angelo Forgione – Che disastro, Francesco Schettino! Non tocca a noi giudicare il suo comportamento sulla “Concordia” prima della tragedia dell’isola del Giglio, ma sicuramente possiamo farci un’idea della sua condotta nel momento dell’apocalisse sulla scorta dell’ormai famosissima telefonata intercorsa col Capitano di fregata Gregorio De Falco che lo scuoteva e lo richiamava ai suoi doveri disattesi.
Di certo il Comandante più detestato e famoso del mondo ha tutto il diritto di farsi giudicare in un’aula di tribunale ma la realtà è che il mostro è stato sbattuto in prima pagina e per lui sembra che il processo sia finito ancor prima di iniziare. Abbandonare la nave e non risalirci su è il dato oggettivo per cui Schettino è colpevole, e questo è chiaro a tutti, ma per tanti è anche uno sbruffone, un buono a nulla, e persino un soggetto pericoloso e spavaldo della cui minacciosa personalità bisognava accorgersi prima. È questa l’aberrazione che indicava un servizio del TG5 delle 20:00 del 17 Gennaio (minuto 6.23) in cui delle immagini tratte da Youtube che ritraggono Schettino sulla “Concordia” in atteggiamenti normali per un comandante di una nave da divertimento sono state commentate però come se si trattasse di condotte sopra le righe di una star. E addirittura un riferimento ai suoi tratti somatici, utili alle teorie razziste-risorgimentali di Cesare Lombroso che avrebbero potuto essere applicate sul personaggio, tirate fuori dal giornalista Carmelo Sardo, siciliano d’origine.
Schettino sembra proprio essere colpevole, e dovrà pagare quando il processo lo dichiarerà tale, ma l’analisi dell’uomo prima del regolare giudizio non piace a tutti. E non è  l’unico colpevole perchè non si diventa comandanti di crociera dalla sera alla mattina, e se Schettino è divenuto tale è perchè qualcuno deve averlo ritenuto idoneo per il ruolo delicato da ricoprire. Nell’interrogatorio di garanzia si è definito “un bravo comandante” e per questo il GIP non gli ha concesso la libertà perchè ha capito che il personaggio non si rende conto della realtà; dunque, chi ha stabilito, in seno alla compagnia di navigazione, che fosse in grado di assumersi la responsabilità di sovraintendere alla sicurezza di migliaia di persone? La Costa crociere, sul blog ufficiale, decantava nel Settembre 2010 il cosiddetto inchino della “Concordia” all’isola di Procida (video) e ringraziava il comandante, salvo poi prenderne le distanze all’indomani della sciagura. La pratica non era sporadica e la ripetevano anche altre compagnie in ogni posto suggestivo, come di fianco ai faraglioni di Capri. Come non pensare poi che se ha cambiato la rotta è perchè tale manovra, seppur da fare in assoluta sicurezza, gli era consentita dalle norme della navigazione? Forse anche le norme vanno riviste.
È triste poi dover constatare che il comandante campano sia diventato lo strumento per uno squallido giudizio sulle sue origini napoletane. Leghisti e non, da più parti, attaccano la comunità napoletana capace di generare personaggi del genere, levantini e incapaci di assumersi delle responsabilità. La sottocultura italiana del dito sempre puntato è venuta a galla mentre la nave era ormai ripiegata su se stessa. Schettino è figlio della cultura marinara di Meta di Sorrento, cittadina che affaccia sul mare e quell’orizzonte lo scruta ogni giorno. Una cultura prima imparata nella sua formazione marittima e poi tradita in una notte di follia e terrore, ma pur sempre una cultura che ha dato e da tanto all’Italia. La stessa cultura del Capitano di fregata Gregorio De Falco da Sant’Angelo di Ischia, da tutti indicato come l’uomo che ha dimostrato polso fermo e sangue freddo ma che non era al posto scomodo di Schettino. Il colloquio telefonico tra i due era a Livorno ma sembrava svolgersi a Napoli. Due rovesci della stessa medaglia.
Certamente l’impatto emotivo è fortissimo perchè si tratta di un caso rarissimo di affondamento di una nave da crociera, che a maggior ragione poteva diventare una vera carneficina visto il numero dei passeggeri che equivaleva a quello di una piccola città, e ora è facile ironizzare su una presunta mentalità irresponsabilmente meridionale di Schettino; ma la memoria corta di una certa becera sottocultura italiana fa dimenticare che nel 2001 una tragedia ben più grave ma meno “cervellotica” vide due aerei scontrarsi a terra sulla pista di Linate con ben 118 morti, e le condanne colpirono Sandro Gualano, Paolo Zucchetti, Antonio Cavanna e Giovanni Lorenzo Grecchi; un torinese, due milanesi e un pavese ritenuti responsabili di gravi omissioni e negligenze procedurali.
Gli errori e le esuberanze fanno parte degli uomini, e quando ne fanno le spese delle vite umane bisognerebbe avere rispetto del dolore dei familiari invece di accendere i toni con polemiche soverchie. Schettino è oggi l’immagine della codardia alla quale si contrappone quella incancellabile del coraggio impavido che risponde al nome del carabiniere napoletano Salvo D’Acquisto, colui che nel 1943, a soli 23 anni, sacrificò la sua vita per salvare 22 prigionieri italiani dalla fucilazione delle SS naziste. Medaglia d’Oro al valore lui come la stessa città di Napoli il cui popolo, cacciando da solo dal proprio suolo le soldatesche germaniche sfidandone la feroce rappresaglia, indicò a tutti gli italiani la via della salvezza. Non lo si dimentichi!