Quando il calcio diventa geopolitica

Intervista di Domenico Romeo per lameziainstrada.it

dlv_cover_1Calcio che diventa archivio statistico, che a sua volta si tramuta in storia che collima con la geopolitica economica della Nazione.
È il mix del meraviglioso libro Dov’è la Vittoria (Magenes editore), secondo lavoro letterario di Angelo Forgione.
Un libro fuori dagli schemi, che rompe le barriere delle tradizionali e conformiste ‘scie’ di raccontare il mondo dello sport, sviscerando ogni fenomenologia sociale, macroeconomica e politica, annessa e connessa con un mondo per larghi aspetti a noi ancora sconosciuto.
Esce fuori un elaborato che induce a riflettere, che mette in luce gli aspetti controversi del mondo del calcio, partendo dalle origini, riconducendosi ai tentacoli delle lobby economiche, alle tipologie di distribuzione del potere da parte dei ‘potentati’.
Ne parliamo con l’autore.

Nel testo lei espone, esplicitamente, difformità economiche nel panorama Sud-Nord del Paese che si riflettono anche nel calcio. A suo avviso, come si è sviluppata all’origine questa sperequazione?

Tutto succede dopo l’Unità del 1861. L’Italia era nel suo complesso ben più arretrata rispetto alle Nazioni che guidavano lo sviluppo europeo. Si trattava di un Paese con un’élite legata a interessi agrari, e non esisteva una reale differenza tra Nord e Sud in termini di ricchezza, seppur vi fossero precise caratteristiche e diversità territoriali. Da quel momento prese piede la piemontesizzazione, i prestiti bancari furono impiegati per supportare la nascita dell’industria settentrionale nel triangolo Torino-Milano-Genova e le commesse statali furono dirottate al Nord.  Ed è proprio lì, dove si concentrava ormai l’offerta di lavoro, che vennero fondati i club che disputarono i primi campionati italiani, detti nazionali, ma che, in realtà, erano esclusivamente settentrionali, aperti a sole squadre lombarde, piemontesi e liguri. Il Calcio italiano è ancora fortemente a trazione settentrionale, e lo dimostra non solo la forte sproporzione di scudetti vinti dalle squadre del Nord rispetto a quelle del Sud ma anche la scarsa presenza storica di squadre meridionali in Serie A, che non va oltre il 20%. Come ho scritto nel libro, la Serie A assomiglia alla Major League Soccer americana, un torneo in cui una manciata di squadre canadesi si misurano con quelle statunitensi.

Tali difformità hanno causato una forma di accentramento industriale in talune Regioni. A suo avviso, questo trend potrà subire variazioni d’equilibrio?

Finché strade, ferrovie, porti e aeroporti non saranno sviluppati come al Nord sarà inutile costruire fabbriche al Sud. Le merci prodotte farebbero fatica ad essere sdoganate e ne conseguirebbero prezzi poco concorrenziali. È già successo ai tempi della Cassa del Mezzogiorno. Pensiamo all’autostrada Salerno-Reggio Calabria, presa in carico dall’ANAS nel 1962 e ancora in via di realizzazione, mentre l’autostrada del Sole Milano-Napoli fu compiuta in soli otto anni per volontà di un consorzio privato settentrionale costituito da Fiat, Eni, Pirelli e Italcementi. L’Alta Velocità ferroviaria si ferma a Salerno. In Basilicata, Sardegna e Sicilia non circolano neanche i più lenti Frecciabianca. Per il porto di Gioia Tauro, il più grande hub del Mediterraneo, non c’è collegamento intermodale e lo scalo calabrese è chiuso in un isolamento che ne limita le grandi potenzialità. Senza un ripensamento del sistema-Paese è inutile parlare di industrializzazione del Sud.

Parliamo di un concetto richiamato nel testo: quello del rischio di una colonizzazione economica che assoggetta una restante parte d’Italia, manifestandosi anche nel calcio. Vuole essere maggiormente esplicito in ciò?

Non c’è la volontà di rendere concorrenziale il Mezzogiorno, che deve restare un mercato delle merci settentrionali. Dopo la guerra, gli stanziamenti del Piano Marshall furono impiegati in grandissima parte per rimettere in piedi il “triangolo industriale” e il presidente di Confindustria dell’epoca, il ligure Angelo Costa, disse al sindacalista pugliese Giuseppe Di Vittorio che era più giusto portare operai meridionali al Nord che fabbriche al Sud. Oggi nulla è cambiato. La verità è che il sistema di sviluppo italiano è frutto di volontà ben precise che tendono a lasciare al Nord la maggior quota di ricchezza prodotta e le migliori infrastrutture, e a tagliare fuori mercato il Sud, al quale si lasciano sussidi e trasferimenti statali per diseducarlo alla produttività e per strozzarne l’autonomia. Il Sud assistito è funzionale al sistema, perché lo si può accusare piuttosto che dotare di infrastrutture e fabbriche, più utili alla produzione in concorrenza.

Nel libro da lei scritto, parla di una fenomenologia peculiare riferibile al concetto di ‘napoletanità’ intesa come appartenenza ad una Nazione. Cosa intende?

Napoli è una Nazione nella Nazione. Fino al primo Novecento è stata la città più popolosa d’Italia, un primato detenuto per secoli. Al momento dell’Unità era l’unica città degna di rappresentare la capitale del Paese. Fu invasa e annessa, e resta sempre una capitale abrogata che mantiene la sua identità “napolitana” più che italiana. Nel calcio, questo si traduce nell’interpetazione di un vessillo, quello azzurro, sotto il quale cercare una dignità cancellata. È il riferimento unico di una vasta provincia che, con i suoi 3 milioni di abitanti circa, è la terza d’Italia per popolazione, e non condivide il territorio con nessuno, diversamente da quanto accade a Roma, Milano, Torino e in tutti i maggiori centri del Vecchio Continente. È l’unica città del Sud che non lascia troppo spazio al tifo per le squadre del Nord, e che non si abbandona a una doppia fede, ovvero un concomitante sostegno per la squadra locale e per una del Nord in grado di vincere. Il legame tra i napoletani e il  Napoli non ha eguali, e vi si avvicina solo quello tra i romani e la Roma.

Calcio, malavita e lobby industriali: un legame che cammina a prescindere del territorio?

Dietro allo spettacolo calcistico si celano interessi enormi. Nel libro c’è tutta una parte dedicata agli scandali che dal ventennio fascista hanno coinvolto il nostro Football ad ogni latitudine, e a ben leggere si evince una manipolazione maggiore da parte del calcio settentrionale. La lotta per il trono tra le tre grandi del Nord si è svolta spesso fuori dal campo, attirando la complicità di istituzioni, politici e centri di potere, e alimentando un sistema corrotto generale che si è palesato più volte nelle aule di tribunale, tra ripetuti scandali e crac finanziari. Al Sud, la malavita ha i suoi interessi nelle categorie minori e il suo scopo nel riciclaggio di denaro sporco e nelle scommesse, rappresentando di fatto un limite per il movimento meridionale.

Calcio ed equilibri. Negli anni ottanta e novanta il Nord Italia presentava una Serie A composta da: Como, Bergamo, Brescia, Milano, dunque città lombarde. L’Emilia Romagna rispondeva qualche anno dopo con: Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Cesena. Solo qualche anno fa il Centro-Sud d’Italia presentava queste città: Roma, Cagliari, Palermo, Catania, Messina, Reggio Calabria, Bari e Lecce, per poi ritrovare il grande ritorno di Napoli ( alla data dell’intervista in testa al campionato  dopo 25 anni). Riguardo a quest’ultima casistica, come si è potuto verificare un evento simile per la prima volta nella storia d’Italia ? È riproponibile secondo lei?

Sì, si è registrata una buona presenza di squadre meridionali tra il 2008 e il 2011, pur non superando mai il 40% del totale. Ma la resistenza di quelle squadre dimostra che si è trattato di un exploit storico. Oggi, di quell’ondata, è rimasta solo l’onnipresente Roma, il rifondato Napoli e il Palermo, che pure è retrocesso. Cagliari e Bari sono in B, Catania, Lecce e Messina in Lega Pro, la Reggina addirittura in Serie D. In Serie A, oggi, milita il Frosinone, che è davvero un caso limite per il Calcio del Sud. Il problema vero è quello di assicurare ai sodalizi meridionali quella continuità e solidità che fa meno difetto ai club settentrionali.

Nel testo lei propone dati storici ed economici. Di chi si è avvalso al fine di curare l’attendibilità delle fonti?

Le fonti sono citate nella bibliografia, e poi ce ne sono tante altre che cito nel manoscritto ad ogni dato saliente. Direi comunque che è fondamentale la possibilità che abbiamo oggi di accedere alle emeroteche digitali, che consentono di leggere gli articoli dei quotidiani d’epoca. Il resto lo fa la visione storica dello scrittore, che con intuito deve saper mettere in relazione gli eventi sportivi con quelli economici e politici del Paese nei vari periodi storici.

All’interno del mondo del calcio che riscontro ha avuto il suo libro fra gli addetti ai lavori? (Presidenti, calciatori, giornalisti, etc).

È un saggio storico che vuole raccontare il mondo del calcio oltre il rettangolo di gioco, e per far questo ho dovuto mettere le mani anche dove c’era da sporcarsele. È ovvio che il mondo del calcio non abbia alcun interesse a dar risalto a un saggio che lo dipinge meno scintillante di quanto appare, ma questo lo sapevo già. Un grande editore si era anche interessato alla pubblicazione, e certamente avrebbe assicurato maggiore spinta al prodotto, ma poi sono sorti dei conflitti di interesse. La cosa più importante è che il libro sia comunque uscito e che i giornalisti di indagine ne abbiano apprezzato e condiviso il contenuto. La prefazione di Oliviero Beha è la migliore testimonianza di un lavoro evidentemente ben fatto.

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