Angelo Forgione – Non può che rallegrarmi, per evidenti motivi, che l’opera di demolizione del falso storico circa la pizza ‘margherita’, ingannevolmente inventata per la regina Margherita di Savoia, avanzi in modo spedito, talmente spedito che le narrazioni storiche iniziano a dare ormai per certo che si tratti di una romantica storiella utile, nel post-colera ottocentesco, a convincere gli italiani che l’acqua di Napoli, grazie al nuovo acquedotto del Serino, che aveva sostituito gli antichi acquedotti tufacei, non costituiva più un problema e la pizza non rappresentava più un temibile veicolo di contagio.
Fa oltremodo piacere notare che anche i discendenti – si fa per dire – della Real Casa sabauda inizino a confessare che la pizza napoletana ‘a margherita’, poi divenuta la regina delle pizze, non sia affatto un’invenzione dedicata alla loro sovrana ma semplicemente un omaggio di qualcosa di già esistente per ricamarci su una narrazione di stampo pubblicitario e rilanciare un alimento nato dalla rivoluzione agricola attuata da Ferdinando di Borbone tra la Real Tenuta di Carditello e i territori di San Marzano, i cui frutti [mozzarella e pomodoro] si incontrarono a Napoli, alla fine del Settecento, su un disco di pasta da cuocere in forno.
E però sembra che ci debba scappare comunque il più scontato dei luoghi comuni quando a ricostruire la verità è proprio un torinese. Come nel caso di Federico Francesco Ferrero, gourmet e nutrizionista piemontese, ospite alla trasmissione Kilimangiaro – Tutto un altro mondo di Rai Tre del 13 marzo, in onda proprio dagli studi di Napoli. Accade che Camila Raznovich, conduttrice milanese, gli chieda di Raffaele Esposito e della sua pizza tricolore omaggiata a Margherita di Savoia. Il distinto Ferrero prova a sfoderare subito la sua vena ironica, ma inciampa sullo stantio stereotipo: «Sai, qua siamo a Napoli, e sai che a Napoli qualcuno è anche un po’ mariuolo. Raffaele Esposito non inventò nulla, e la pizza tricolore esisteva già da quarant’anni alla stessa maniera». Molto probabilmente anche più di quarant’anni, a prescindere dai primi testi che ne riportano la preparazione, ma complimenti al nutrizionista di Torino per il coraggio di affermare davanti al pubblico napoletano in studio che Napoli è anche un po’ mariuola, nonostante a scippare un intero Regno, con tanto di marchio sul suo piatto principe, siano stati i piemontesi. In certi casi ci si appella all’autoironia partenopea, e così ha fatto il Nostro sulla sua pagina Facebook per rispondere alle proteste immediate. Ed è proprio qui il punto, perché Ferrero non voleva offendere ma essere simpatico con una battuta preparata, ed è proprio questa la dinamica sociologica con cui i preconcetti penetrano nella testa degli individui predisposti ad accoglierli. Ferrero è lì per affermare la legittimità della candidatura dell’arte dei pizzaiuoli napoletani a patrimonio immateriale dell’umanità, e lo fa benissimo dopo l’inciampo iniziale. «L’Unesco tutela l’intelligenza dell’uomo (al netto degli stereotipi e dell’autoironia per accettarli) e l’intelligenza, non di Raffaele Esposito ma dei napoletani, è stata quella di alzare e abbassare la pala all’interno del forno a legna per assicurare cottura, elasticità e digeribilità a una preparazione molto complessa». Poi la Raznovich divaga sulla pizza nello Spazio e i suoi problemi di consistenza, e Ferrero, ancora in gran vena ironica, la paragona per immangiabilità a quella che si fa a Torino. Applausi dal pubblico napoletano, risata dell’ospite e imbarazzo della conduttrice, che prende le distanze dall’affermazione per evitare disapprovazione dai telespettatori sabaudi. Peccato che pochi secondi prima non si fosse dissociata dalla battuta sui mariuoli. Morale della favola: napoletano mariuolo si può dire serenamente in tivù; pizza torinese immangiabile, no. Capito come funziona? Un po’ di pazienza, e per il momento accontentiamoci di sbriciolare lentamente l’altra favoletta, quella della pizza tricolore del 1889.
Voglio solo chiarire che Ferrero non è medico, ma nutrizionista ( cioè laureato in una facoltà come può essere biotecnologia o scienze dietistiche, BEN DIVERSA DA MEDICINA).
Il fatto che si parli di un must tipicamente nostrano e che è diventato planetario per mano del genio napoletano, e che tutto questo venga commentato da un esperto piemontese,senza una controparte storica napoletana, dimostra che vogliono mettere l’imprinting cultural- nazionale sulla candidatura UNESCO.
Il fatto che si parli di un must tipicamente nostrano, che è diventato planetario per mano del genio napoletano, e che questo venga commentato da un esperto piemontese senza una controparte storica napoletana, dimostra che vogliono mettere l’imprinting cultural- nazionale sulla candidatura UNESCO.