Angelo Forgione – “Non avendo altro di che disporre su questa terra se non del misero mio corpo, composto di ossa, carne, cartilagini, nervi, eccetera, sono venuto in deliberazione di disporne nel modo che segue con questo mio atto di ultima volontà […]. Lascio le orecchie a quei sordi che non vogliono sentire, e gli occhi a quei ciechi che non vogliono vedere, perché alla fine sentano e vedano gli ardenti desiderii e i veri bisogni degl’italiani […]. Lascio la lingua a tutti i miei fratelli del Piemonte, perché, se a Dio piace, diventino Italiani anche da questo lato, e facciano colla parola e colla penna opere così belle e leggiadre come quelle che hanno fatte con le armi”.
Così scrisse in un suo polemico testamento del 1866 il filologo napoletano Emmanuele Rocco, palesando tutta la delusione per gli esiti dell’unità d’Italia fatta con la forza dei cannoni dai Piemontesi, francofoni e non italofoni. Ci si imbatte in lui per la sua descrizione delle pizze più comunemente mangiate a Napoli alla metà dell’Ottocento in Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti, pubblicazione curata da Francesco de Bourcard, in cui spiegò che in una delle tante combinazioni finivano “foglie di basilico”, “sottile fette di muzzarella” e “pomidoro”. Cioè la margherita ben prima della sua presunta nascita (1889).
Il Rocco fu il massimo lessicografo dell’Ottocento napoletano, e forse di sempre. Figura prioritaria e poliedrica della cultura linguistica nazionale e napoletana, colto filologo, latinista, grecista e conoscitore di più lingue straniere, fu eccellentissimo studioso della lingua italiana e del dialetto napoletano. Oltre a ispirare gli accademici della Crusca per diverse voci del loro Vocabolario, partecipò con ruolo importante alla rinascita dialettale della Napoli postunitaria, rivendicando con orgoglio e fermezza il prestigio di una tradizione letteraria dialettale alta, per lui assolutamente degna di figurare accanto a quella in italiano.
Eppure un personaggio di tale spessore, protagonista della cultura del medio e secondo Ottocento, risulta oggi un Carneade di cui restano solo i tratti biografici essenziali e un’epigrafe, fatta apporre dal Comune di Napoli alla sua morte, nel 1892, sulla facciata del palazzo in via Suor Orsola in cui abitò nei suoi ultimi anni. Un po’ ingenerosa, perché vi si legge di solo lavoro sulla “favella nazionale”, e non anche delle sue grandi fatiche e battaglie per il dialetto partenopeo.

Morì sostanzialmente da emarginato dalla cultura ufficiale per motivi essenzialmente politici. Isolato con il pretesto di aver ricoperto, prima del tumultuoso ’48, con dieci figli a carico, le mansioni di redattore e revisore del Giornale del Regno delle Due Sicilie, dipendendo perciò dal Ministero di Polizia borbonica; gli erano stati negati incarichi di insegnamento e di giornalismo, generando in lui l’atteggiamento di sfiducia nei confronti della nuova realtà nazionale edificata dai Piemontesi.
E poi scontò il fatto di essere stato aspro oppositore degli aspetti più intransigenti del concittadino Basilio Puoti, figura esaltata dopo l’unificazione nazionale perché padre del Purismo linguistico. Vi aveva pure aggiunto l’opposizione a una spinta riforma ortografica del dialetto avanzata da Vittorio Imbriani, il patriota massone che lo aveva definito “censore borbonico”, e del quale aveva contestato l’atteggiamento di chiusura nei confronti del patrimonio dialettale da sottodimensionare.
Morto il Rocco, il suo editore Chiaruzzi, liberale, interruppe la pubblicazione dei restanti fascicoli del suo colossale Vocabolario del dialetto napolitano, opera colossale ricavata da uno spoglio anche ortografico della letteratura in napoletano dal Cinquecento all’Ottocento.
“È morto Emmanuele Rocco, e il Chiurazzi, che stampava il suo interessantissimo vocabolario napoletano, non ci fa saper nulla più della pubblicazione. […] In questo dolce paese indifferente ed apata muoiono le persone e le cose migliori, senza che nessuno se ne avveda o ne prenda conto”.
Sono parole di un trentaduenne Salvatore Di Giacomo per rimarcare l’interruzione della stampa del Vocabolario del Rocco, e il buio che era stato fatto calare dall’alto su di lui.
Questo fu il trattamento riservato a un grande studioso e figura di spicco della cultura napoletana dell’Ottocento, colpevole dei suoi trascorsi al servizio dei Borbone e delle sue battaglie di opposizione alla nuova cultura imperante, che tendeva ad annullare le identità locali.
Fortunatamente, nel 1941, il manoscritto completo del Vocabolario del Rocco fu consegnato dai suoi eredi all’Accademia della Crusca, che ha pubblicato l’edizione completa nel 2018. Un modo per rendere parziale giustizia a un grande napoletano, cosa che ho fatto anche io nel mio Napolitiamo, al quale rimando per approfondimenti sul personaggio, sulle vicende accennate e sull’intera storia della lingua napoletana.