Angelo Forgione – Chi ha scritto di Gaetano Filangieri (al quale si deve anche l’obbligo di motivazione delle sentenze), di diritto alla felicità e di illuminismo napoletano in Made in Naples, non poteva non ascoltare con attenzione il monologo di Maurizio Crozza sul palco dell’Ariston a Sanremo: un elogio del made in Italy molto efficace nell’evidenziare il contrasto tra la grande bellezza della cultura italiana e il grande disastro della sua progressiva umiliazione. Qualcosa di discutibile il brillante comico pure l’ha detta, e non solo in quest’occasione, ma il messaggio è stato chiaro e ha ben indicato come le grandi culture italiane abbiamo insegnato al mondo. Bisogna solo aggiungere che il disatro italiano è da tradurre in una parola: fallimento. E un fallimento ha sempre una causa. La vera Italia, quella descritta dal monologhista genovese, era quella delle esperienze e delle lingue differenti, delle diverse culture che dialogavano tra loro e si facevano ascoltare in tutto l’Occidente. L’Unità imposta e forzata, nata da un’operazione militare giostrata da Inghilterra e Francia e senza spontaneità, e perciò non verificata nella sua necessaria fattibilità, non ha affatto rafforzato un Paese che è rimasto vassallo, ereditando la debolezza politica dei suoi Stati preunitari. Le ideologie sorte con l’Unità militare hanno sepolto la produzione intellettuale e partorito un Paese che non appartiene a nessuno, talmente conflittuale da interrompere le contaminazioni e la profusione culturale. L’Italia che poteva essere non è, e non sarà mai se non fiorirà il rispetto delle sue diversità e una differente cultura politica, nata col dogma della corruzione e sempre fedele a sé stessa. Quando accadrà, gli italiani smetteranno di considerare gli altri italiani un problema e gli europei finiranno di vederli come i cugini scemi da mettere nella chiusa comica delle barzellette. Tanto per individuare la causa del disastro, o meglio, del fallimento.