––– scrittore e giornalista, opinionista, storicista, meridionalista, culturalmente unitarista ––– "Baciata da Dio, stuprata dall'uomo. È Napoli, sulla cui vita indago per parlare del mondo."
Angelo Forgione – «In fondo cos’è il trono? Quattro pezzi di legno dorato, coperti da un drappo di velluto», disse Napoleone Bonaparte. Tutto dipendeva da chi vi siedeva sopra, e su quello di Napoli, nel 1806, si accomodò il fratello Giuseppe, con il compito di far pagare ai Napolitani i bisogni dei francesi e delle truppe napoleoniche. La capitale meridionale, geograficamente lontana da Parigi, non era utile strategicamente come lo era Milano ma semplicemente funzionale al federalismo franco-imperiale, e perciò non doveva essere solo subordinata alla Francia, come la città lombarda, ma propriamente colonizzata e spremuta.
Appena vi posò il sedere, il Bonaparte meno famoso, in nome del più noto, riscosse trenta milioni di franchi, impose un tributo annuo di un milione, alzò le tasse e, nei successivi due anni e mezzo di governo, prelevò ingenti somme di danaro dalle case dello Stato. Quando lasciò il trono a Murat, nel 1808, addossò all’erario napoletano le spese per il suo trasferimento a Madrid e vi portò pure preziosi arredi dal Palazzo Reale di Napoli.
Napoleone crollò definitivamente sette anni più tardi, nel giugno 1815, a Waterloo, in concomitanza dell’esecuzione di Murat a Pizzo Calabro e del rientro di Ferdinando di Borbone a Napoli per volontà del Congresso di Vienna. I Napolitani, nonostante il processo di moderno riformismo attuato e l’iniziale affetto per il valoroso Gioacchino, salutarono con soddisfazione la fine del periodo francese, segnato dalle tasse per le guerre, dalla coscrizione, dai saccheggi e dai disagi, e riaccolsero un re napoletano, nato a Napoli, che parlava con accento napoletano. Ferdinando così scrisse sul proclama di rientro da Palermo affisso per le strade della Capitale:
“Napoletani, ritornate nelle mie braccia. Io sono nato tra voi, io conosco ed apprezzo le vostre abitudini, il vostro carattere, i vostri costumi”.
Il trono sopravvissuto nel Palazzo Reale di Napoli non è quello su cui sedettero i francesi ma un nobile seggio del 1850, su cui sedettero gli ultimi due re di Napoli, Ferdinando II e Francesco II, e sul quale i Savoia, dopo l’unità d’Italia, piazzarono una minacciosa aquila con stemma sabaudo.
Sabato 8 aprile, presso l’auditorium del Museo di Capodimonte, in cui prendeva il via la mostra dedicata al grande pittore Picasso relativa anche al suo rapporto con Napoli, si è tenuto il primo Congresso Culturale Meridionalista organizzato dalla Compagnia dell’Aquila Bianca.
Il congresso si è aperto con la proiezione di un video in cui l’attore Patrizio Rispo ha letto la poesia di Raffaele MocciaIo sono napoletano, che è stata presentata ufficialmente alla stampa ed al pubblico. Il pittore Gennaro Regina ha inoltre realizzato un quadro che raffigura un Vesuvio da cui escono le parole dell’opera di Moccia ed a tutti i presenti sono state distribuite cartoline che riprendevano il quadro. Simona Buonaura, moderatrice del congresso, ha intervistato Moccia, facendosi raccontare come è nata la poesia. L’autore, visibilmente emozionato, ha raccontato il sentimento di fierezza e di rivalsa verso i luoghi comuni che ci sono intorno a Napoli che hanno accompagnato la stesura dell’opera, che ultimamente è stata tradotta anche in giapponese. Ma questa è un’altra storia! Roberto Cinquegrana, presidente de La compagnia dell’Aquila Bianca e motore del congresso, nel dare il benvenuto ai presenti, ha voluto illustrare l’obiettivo dell’incontro, ovvero far trasparire il forte senso di appartenenza Meridionale con una politica del “fare” anche perché partendo dal basso, e quindi dall’associazionismo, dal quale possono arrivare progetti importanti per “aiutare” le Istituzioni a competere sul territorio. Non solo folclore dunque ma voglia di andare avanti e proporre azioni concrete.
A prendere poi la parola, il padrone di casa il Direttore del Museo di Capodimonte Sylvain Bellenger, che si è detto felice di ospitare un evento del genere e, rimeggiando alcuni versi di Io sono napoletano, ha detto che anche lui, una volta fantasma, vorrà aleggiare come Andersen per le vie della città. Ha raccontato che al suo arrivo Capodimonte versava in condizioni quasi di abbandono, con ragazzi che giocavano al pallone nei giardini esterni al Museo. Quando ha deciso di cambiare tutto, ancor prima di farlo, ha stabilito però di offrire un’alternativa ai giovani che giocavano a pallone. Non solo privarli del Real giardinetto!
Il direttore del Mann Paolo Giulierini si è invece soffermato sulla rete virtuosa che si è creata tra i vari Musei, in particolare tra il Mann e quello di Capodimonte anche per una questione logistica e di vicinanza. Il fatto che il Mann sia in una posizione strategica e centrale aiuta ma alla base c’è sicuramente la volontà di creare momenti aggregativi ed eventi che avvicinino i visitatori. Il suo incarico lo porta inoltre spesso fuori Italia ed ha potuto appurare che all’Estero i direttori di Museo sono 32enni ma non per questo meno preparati. Dunque, dare più spazio ai giovani da una parte e dall’altra a chi ha veramente le competenze per essere competitivi. Meglio se entrambe. Dal punto di vista dell’internazionalizzazione c’è ancora da fare ovvero ottimizzare i mezzi pubblici e tutto l’indotto che ruota attorno alla cultura ma si sta lavorando molto anche con le istituzioni.
A rappresentarle, l’Assessore Nino Daniele, che ha portato i saluti anche del sindaco De Magistris ed ha sottolineato come le diversità siano una ricchezza ed ha dunque giocato sul fatto che il suo assessorato vorrebbe denominarlo “delle Culture”. “La memoria e l’identità – ha inoltre aggiunto – sono un presupposto dell’amministrazione che da subito ha professato questa tendenza”. Il giornalista e scrittore Gigi di Fiore ha rimarcato che a Napoli non hanno aiutato le etichette che aleggiavano dal dopo unità e dunque, a suo avviso, psicologicamente ha giocato a sfavore del meridionale, che si è sentito in inferiorità culturale. Il mezzo per far cambiare le cose è la buona comunicazione, come ha dimostrato Pietrarsa, da poco inaugurata con una narrazione corrispondente alla verità storica del luogo. Angelo Forgione ha stimolato la riattivazione dei simboli culturali della città affinché sia riportata al centro della cultura europea, e ha definito i contorni dell’identità napoletana, riconosciuta come unica dall’Unesco e dall’Icomos, sulla quale basare una reazione alla volontà di oscurarne le eccellenze. Per lo scrittore, emerge il bisogno di raccontare per bene Napoli all’estero, in tutte le fiere internazionali del turismo e diffondendo informazioni positive sul web, per far sì che venga percepita meritevolmente come città d’arte oltre che come città peculiare, in modo da attrarre inglesi e tedeschi, che, a differenza dei francesi, continuano ancora a considerarla di passaggio.
Ha poi preso la parola Vincenzo Laneri, responsabile dei rapporti con le istituzioni della Compagnia dell’Aquila Bianca, che nel suo intervento, al termine di tante tesi, ha proposto la realizzazione di un’Agenzia istituzionale strutturata che possa in qualche modo superare le lungaggini burocratiche che allontanano anche gli imprenditori che vogliono investire. Un filtro tra associazioni ed enti ed istituzioni preposte. Il moltiplicatore economico sul territorio può essere attivato, dunque, avendo una camera di regia unica in cui convergono tutti gli attori protagonisti di questo risveglio: le associazioni, gli artigiani, gli albergatori, i ristoratori che possono confluire poi in maggiore e sano turismo e quindi poi creare occupazione.
Sono poi intervenuti il segretario di Casartigiani Fabrizio Luongo che ha proposto di creare questa agenzia proprio presso la Camera di Commercio di Napoli quando tra due mesi si insedierà il nuovo direttivo e qualora non riuscisse in questo modo ha offerto l’appoggio della confederazione che rappresenta. Va da sé che durante un congresso meridionalista non si poteva non chiedere ad un interlocutore del genere di far rimuovere, una volta per tutte, il busto di Cialdini dall’ingresso della Camera di Commercio con scroscianti applausi di assenso. Alessandro Caramiello e Giovanni Erra invece hanno parlato dell’importante progetto del galoppatoio coperto di Portici, da poco restaurato ma non ancora inaugurato, che insieme a Cinquegrana hanno progetti molto interessanti per la città.