Ritorno al Medioevo? Magari!

medioevo

Angelo ForgioneE smettiamola di bollare il congresso sulle famiglie di Verona come “ritorno al Medioevo”, ripetendo come automi senza facoltà intellettive un’offesa a un periodo dell’umanità tutt’altro che buio.
In quell’epoca vi furono progressi in tutti i campi, nacquero le lingue, le università, le nazioni, i comuni, i sistemi creditizi, e furono costruiti enormi monumenti tra cattedrali, castelli e palazzi. Insomma, nacque la Modernità occidentale.
Quello tra la metà dell’XI secolo e la fine del XIII, proprio in pieno Medioevo, fu un periodo in cui si visse meglio in Europa, grazie a una stabilità politica, all’assenza di gravi conflitti e a una buona situazione climatica, che permise la crescita della produzione agricola e della popolazione.
La vita comunitaria si sviluppò enormemente e il fenomeno dei suicidi era pressoché sconosciuto, appartenente solo a chi, come i giapponesi, ritenevano onorevole togliersi la vita. Le mafie non esistevano.
Uno degli uomini più colti della storia, Federico II di Svevia, è collocato nella prima metà del Duecento. La sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, germanica, araba ed ebraica. Parlava sei lingue e fu riconosciuto come “Stupor Mundi”, meraviglia del mondo.
Vero è che dalla metà del Trecento cominciò una fase di epidemie, carestie e conseguenti conflitti durata fino al Seicento, ma i valori comunitari non mutarono affatto, e in questo senso va interpretato il successivo Rinascimento di coniazione ottocentesca, che fu periodo di ripresa economica e di conseguenti rinnovate attività commerciali, artigianali e artistiche.
Ma altro che oscurantismo medievale!

Dalle scuole elementari all’università si perpetua sempre lo stesso disprezzo per quel periodo, e c’è un motivo ben preciso. Che il Medioevo sia sinonimo di oscurantismo lo hanno voluto far credere gli illuministi, soprattutto i francesi, gli intellettuali del Settecento, che erano perlopiù massoni e, in quanto tali, radicali anticattolici. Era la loro visione laica del mondo da affermare, e andava sancita la supremazia della loro epoca su quella dominata dalla Chiesa. Gli illuministi, per sradicare l’Istruzione dalle stanze dell’Ordine dei Gesuiti, fecero credere che l’epoca della religiosità era stata tenebrosa, e che la ragione avrebbe migliorato il mondo. Portavano la luce della ragione contro le tenebre dell’ignoranza. E siccome i nostri libri di storia li hanno scritti i massoni del Risorgimento, dediti alla politica e non al miglioramento dell’uomo come al principio della Massoneria (la pubblica istruzione del Regno d’Italia fu affidata ai “fratelli d’Italia” De Sanctis, Coppino e Baccelli), ecco che assorbiamo a scuola e ripetiamo pedissequamente una menzogna ereditata acriticamente da secoli di mistificazione.

La vera epoca buia, piuttosto, la stiamo vivendo noi, ed è iniziata con le rivoluzioni industriali che hanno aperto ai distruttivi conflitti mondiali del Novecento, con gli ignobili stermini nazi-fascisti, passando poi alla cancellazione della funzione estetica delle arti, finendo alla globalizzazione e al declino della sovranità degli Stati.
La classe dominante capitalista ha assunto i poteri del vero vassallaggio mondiale, assoggettando e affamando la parte debole della società alla volontà di pochi.
Le mafie abbondano in diverse zone del mondo e il cosiddetto “terrorismo islamico” miete vittime innocenti, controllato dalle lobbies internazionali e non certo dagli ideali religiosi.
L’inquinamento è oltre ogni limite, il clima è impazzito, le risorse del pianeta sono in via di esaurimento, e in maniera irreversibile. I mari sono sempre meno pescosi e le produzioni agricole si riducono sensibilmente. Il cibo-spazzattura dilaga e aumentano le intolleranze alimentari.
I suicidi sono causa di morte tra le più frequenti e il consumo di psicofarmaci è altissimo in una società individualista che ha fatto della competizione sociale e della cosiddetta “qualità della vita” i principali dogmi, causando depressione diffusa.
I bambini non giocano più nei cortili e nelle strade, ma si piazzano davanti alla nuova estensione del corpo, gli smartphone, la principale causa di distrazione alla guida e di dipendenza atossica di una società che va in panico se non c’è connessione, mentre i satelliti in orbita controllano tutto e inquinano pure lo Spazio.
Senza considerare i fenomeni retrivi come, ad esempio, la conflittualità di campanile dell’invasivo business calcio che oscura ogni attività sociale, o teorie folli quali il terrapiattismo, la terra piatta, roba che il sistema tolemaico medievale, seppur errato, superò abbondantemente.

Questa è l’era costruita e dominata dalle massonerie internazionali, ed è la vera era buia. Quindi, prima di ripetere una fesseria imparata a scuola e ascoltata da politicanti e media vari, accendiamo il cervello, perché l’avanzare dei secoli, dal secondo Ottocento a oggi, non ha comportato evoluzione, il valore universale che il Medioevo non interruppe affatto.
Vero è che la Chiesa, in quel periodo, sfruttava la superstizione per dominare, ma oggi i governi e quelle stesse “élite” decisionali usano l’ignoranza, e il fatto che si ripeta una menzogna scritta a tavolino è dimostrazione chiara di come proprio l’ignoranza sia la grande forza dei potenti. Che sono pochissimi.

Congresso di Capodimonte: riaccendere la cultura di Napoli

Sabato 8 aprile, presso l’auditorium del Museo di Capodimonte, in cui prendeva il via la mostra dedicata al grande pittore Picasso relativa anche al suo rapporto con Napoli, si è tenuto il primo Congresso Culturale Meridionalista organizzato dalla Compagnia dell’Aquila Bianca.
Il congresso si è aperto con la proiezione di un video in cui l’attore Patrizio Rispo ha letto la poesia di Raffaele Moccia Io sono napoletano, che è stata presentata ufficialmente alla stampa ed al pubblico. Il pittore Gennaro Regina ha inoltre realizzato un quadro che raffigura un Vesuvio da cui escono le parole dell’opera di Moccia ed a tutti i presenti sono state distribuite cartoline che riprendevano il quadro.
Simona Buonaura, moderatrice del congresso, ha intervistato Moccia, facendosi raccontare come è nata la poesia. L’autore, visibilmente emozionato, ha raccontato il sentimento di fierezza e di rivalsa verso i luoghi comuni che ci sono intorno a Napoli che hanno accompagnato la stesura dell’opera, che ultimamente è stata tradotta anche in giapponese. Ma questa è un’altra storia!
Roberto Cinquegrana, presidente de La compagnia dell’Aquila Bianca e motore del congresso, nel dare il benvenuto ai presenti, ha voluto illustrare l’obiettivo dell’incontro, ovvero far trasparire il forte senso di appartenenza Meridionale con una politica del “fare” anche perché partendo dal basso, e quindi dall’associazionismo, dal quale possono arrivare progetti importanti per “aiutare” le Istituzioni a competere sul territorio. Non solo folclore dunque ma voglia di andare avanti e proporre azioni concrete.
A prendere poi la parola, il padrone di casa il Direttore del Museo di Capodimonte Sylvain Bellenger, che si è detto felice di ospitare un evento del genere e, rimeggiando alcuni versi di Io sono napoletano, ha detto che anche lui, una volta fantasma, vorrà aleggiare come Andersen per le vie della città. Ha raccontato che al suo arrivo Capodimonte versava in condizioni quasi di abbandono, con ragazzi che giocavano al pallone nei giardini esterni al Museo. Quando ha deciso di cambiare tutto, ancor prima di farlo, ha stabilito però di offrire un’alternativa ai giovani che giocavano a pallone. Non solo privarli del Real giardinetto!
Il direttore del Mann Paolo Giulierini si è invece soffermato sulla rete virtuosa che si è creata tra i vari Musei, in particolare tra il Mann e quello di Capodimonte anche per una questione logistica e di vicinanza. Il fatto che il Mann sia in una posizione strategica e centrale aiuta ma alla base c’è sicuramente la volontà di creare momenti aggregativi ed eventi che avvicinino i visitatori. Il suo incarico lo porta inoltre spesso fuori Italia ed ha potuto appurare che all’Estero i direttori di Museo sono 32enni ma non per questo meno preparati. Dunque, dare più spazio ai giovani da una parte e dall’altra a chi ha veramente le competenze per essere competitivi. Meglio se entrambe. Dal punto di vista dell’internazionalizzazione c’è ancora da fare ovvero ottimizzare i mezzi pubblici e tutto l’indotto che ruota attorno alla cultura ma si sta lavorando molto anche con le istituzioni.
A rappresentarle, l’Assessore Nino Daniele, che ha portato i saluti anche del sindaco De Magistris ed ha sottolineato come le diversità siano una ricchezza ed ha dunque giocato sul fatto che il suo assessorato vorrebbe denominarlo “delle Culture”. “La memoria e l’identità – ha inoltre aggiunto – sono un presupposto dell’amministrazione che da subito ha professato questa tendenza”.
Il giornalista e scrittore Gigi di Fiore ha rimarcato che a Napoli non hanno aiutato le etichette che aleggiavano dal dopo unità e dunque, a suo avviso, psicologicamente ha giocato a sfavore del meridionale, che si è sentito in inferiorità culturale. Il mezzo per far cambiare le cose è la buona comunicazione, come ha dimostrato Pietrarsa, da poco inaugurata con una narrazione corrispondente alla verità storica del luogo.
Angelo Forgione ha stimolato la riattivazione dei simboli culturali della città affinché sia riportata al centro della cultura europea, e ha definito i contorni dell’identità napoletana, riconosciuta come unica dall’Unesco e dall’Icomos, sulla quale basare una reazione alla volontà di oscurarne le eccellenze. Per lo scrittore, emerge il bisogno di raccontare per bene Napoli all’estero, in tutte le fiere internazionali del turismo e diffondendo informazioni positive sul web, per far sì che venga percepita meritevolmente come città d’arte oltre che come città peculiare, in modo da attrarre inglesi e tedeschi, che, a differenza dei francesi, continuano ancora a considerarla di passaggio.
Ha poi preso la parola Vincenzo Laneri, responsabile dei rapporti con le istituzioni della Compagnia dell’Aquila Bianca, che nel suo intervento, al termine di tante tesi, ha proposto la realizzazione di un’Agenzia istituzionale strutturata che possa in qualche modo superare le lungaggini burocratiche che allontanano anche gli imprenditori che vogliono investire. Un filtro tra associazioni ed enti ed istituzioni preposte. Il moltiplicatore economico sul territorio può essere attivato, dunque, avendo una camera di regia unica in cui convergono tutti gli attori protagonisti di questo risveglio: le associazioni, gli artigiani, gli albergatori, i ristoratori che possono confluire poi in maggiore e sano turismo e quindi poi creare occupazione.
Sono poi intervenuti il segretario di Casartigiani Fabrizio Luongo che ha proposto di creare questa agenzia proprio presso la Camera di Commercio di Napoli quando tra due mesi si insedierà il nuovo direttivo e qualora non riuscisse in questo modo ha offerto l’appoggio della confederazione che rappresenta. Va da sé che durante un congresso meridionalista non si poteva non chiedere ad un interlocutore del genere di far rimuovere, una volta per tutte, il busto di Cialdini dall’ingresso della Camera di Commercio con scroscianti applausi di assenso. Alessandro Caramiello e Giovanni Erra invece hanno parlato dell’importante progetto del galoppatoio coperto di Portici, da poco restaurato ma non ancora inaugurato, che insieme a Cinquegrana hanno progetti molto interessanti per la città.

De Laurentiis ha smesso di ridere di “discriminazione territoriale” nel paese degli struzzi

Angelo Forgione Furia De Laurentiis ai microfoni di Mediaset Premium nel post Napoli-Real. Gli basta una scintilla per accendere un fuoco e alimentarlo a benzina, una domanda di Francesca Benvenuti sul rapporto con Sarri, dopo i travagli dell’andata madrilena: «È tutto a posto col suo allenatore?». E da lì parte la discriminazione territoriale della stampa, l’assoluzione del Corriere dello Sport e la dura reprimenda per la Gazzetta dello Sport, senza neanche citare Tuttosport e tutto il fronte più estremo dell’informazione settentrionale. «Poiché i giornalisti del Nord mi odiano, e odiano il Napoli, tutti al servizio del Nord. È da Camillo Benso di Cavour che il Nord odia il Sud, anche se poi la Juventus è una squadra molto sudista. Sono venuti a scasinare i nostri rapporti e abbiamo perso con l’Atalanta, ma poi ci siamo ripresi con la Roma». Sandro Sabatini, dagli studi di Milano, cerca di riparare all’uso della parola “odio”, all’indomani del vile danneggiamento dell’automobile di Mimmo Malfitano, penna della rosea. Ma non c’è verso di placare il patron azzurro, e va allora in scena la contrapposizione tra l’uomo vulcanico che tira fuori il suo pensiero, senza girarci intorno, e il bravo giornalista che parla alla Nazione ed è quindi costretto a calarsi nella retorica ecumenica. E allora Aurelio alza i toni e sbatte in faccia al suo interlocutore, ma in realtà all’Italia del pallone intera, tutta la verità di una divisione imperante. «E mi dispiace che lei che è un giornalista non se ne renda conto, ma siccome siamo in regime silente in cui dobbiamo dire quello che non pensiamo, voi volete che io non dica quel che penso e mi tappi la bocca». Il conduttore prende ad aggrapparsi allo specchio, un bel po’ deformato, di un Napoli amato da Bolzano a Pantelleria. «Dopo dodici anni di calcio – incalza il presidente – mi sono anche stancato, perché andare nei vari stadi e sentire “lavali col fuoco” è molto antipatico, e vedere che gli italiani non si ribellano a questo è molto volgare e cafone. Le prime volte che lo sentivo mi veniva da sorridere, ma ora vorrei che il pubblico che va allo stadio crescesse culturalmente, come stanno dimostrando i napoletani». Sabatini va trincerandosi sulla necessità di non dar risalto e pubblicità ai cori razzisti, e proprio qui inciampa, mostrando tutte le pecche del sistema giornalistico italiano, che invece avrebbe l’obbligo di sollecitare soluzioni efficaci tanto alla Federazione quanto al Governo. Non è che tutto il Nord odi Napoli e il Napoli, chiaro che vi sia molta gente sana e con intelletto intaccato, ma manca proprio l’analisi del vuoto culturale e legislativo che non consente di cancellare, a partire dalle scuole, quel Settentrione alimentato e avvelenato da pregiudizi e sentimenti razzisti, che esiste in diversi ambiti della cancrena sociale d’Italia, e chi lo nega è complice. De Laurentiis non sbaglia affatto a sottolinearlo, come ha fatto anche Maurizio De Giovanni ventiquattr’ore prima a Tiki Taka. Dopo certi titoli di giornale, al di là delle polemiche sportive, la misura è colma ed è evidentemente esplosa la voglia di dirla tutta.
Che il patron azzurro si sia stufato di una certa stasi non pare falso sentimento. È infatti vero che per anni abbia sorvolato, ridendoci su. Nell’autunno del 2013, al convegno “Cittadinanza sportiva” presso il Maschio Angioino, disse proprio di divertirsene: «Quando vedo migliaia di persone negli stadi che insultano un popolo con frasi che non voglio ripetere non lo trovo disgustoso, lo vedo come uno sfottò, ci rido sopra e mi diverto. Li prendo come un incitamento alla città per risvegliarsi». Nel frattempo cosa è accaduto? È accaduto che la FIGC ha fatto marcia indietro nella lotta al razzismo contro Napoli negli stadi, ha tirato il freno a mano e ha parcheggiato. Riavvolgiamo il nastro e capiremo perché.
Il 22 ottobre 2012 scoppia il
caso TGR Piemonte, la grande vergogna del cronista Giampiero Amandola, cinquantottenne di Nizza Monferrato, recatosi ai cancelli dello Juventus Stadium prima del match Juventus-Napoli per ascoltare le due tifoserie in affluenza. Un servizio condito da cori «o Vesuvio lavali tu» intonati da due giovani al microfono e dallo scivolone dello stesso giornalista Rai, cui uno juventino spiega che i napoletani sono inestinguibili perché «ovunque, a Nord e a Sud, un po’ come i cinesi»; risatine sarcastiche a denigrare i napoletani e pure i cinesi, e poi la geniale imbeccata di Amandola: «I napoletani li distinguete dalla puzza, con grande signorilità». Compiaciuto dell’insperato assist, il tifoso raccoglie e rilancia: «Molto elegantemente, certo!»… e ancora risate. Giornalismo spazzatura figlio della sottocultura italiana applicata al calcio. Amandola paga col licenziamento lo scandalo che ne segue, e la redazione torinese, in diretta regionale, deve chiedere scusa a tutti gli italiani. Mai accaduto prima!
Anche per tutto questo, nella primavera del 2013 la FIGC, allertata dall’UEFA per la degenerazione degli eventi italiani, deve recepirne le nuove direttive, diramate il 23 maggio nel XXXVII Congresso Ordinario di Londra in cui il parlamento del calcio europeo ha adottato la risoluzione Il Calcio europeo contro il razzismo con cui sono state inasprite le pene per i casi associati agli eventi internazionali. La UEFA e le 53 Federazioni affiliate si sono impegnate a uno sforzo maggiore per debellare il fenomeno dal mondo del pallone. La tolleranza zero ispira il nuovo Regolamento disciplinare UEFA. Vietate le forme di propaganda ideologica; punizioni per i tifosi che insulteranno la dignità umana per ragioni di razza e origine etnica, dalla chiusura di un settore a quella dell’intero stadio, fino alla sconfitta a tavolino, alla detrazione di punti e, in estrema conseguenza, alla squalifica dal campionato. Da Londra, l’organo europeo pretende altrettanta severità da ogni Federazione affiliata, chiedendo di impegnarsi per favorire l’adozione di identiche politiche sanzionatorie “in relazione alle manifestazioni nazionali”, lasciando cioè a ognuna la libertà di allargare le tipologie di discriminazione in base alle diverse problematiche presenti nei vari paesi. Si adegua la FIGC, modificando il Codice di Giustizia Sportiva e tarandolo alla nuova normativa UEFA, con un inasprimento delle sanzioni in materia di razzismo. Gli ispettori federali sono chiamati a non tapparsi più le orecchie. La prima società a farne le spese è il Milan, ma è solo l’apertura di una pagina molto triste per il Calcio italiano, smascherato e inchiodato al suo razzismo interno contro Napoli. Chiudono settori a Milano, Torino, Roma, e scoppia il caos. La soluzione, rendendo tutti i tifosi ostaggi di quelli razzisti, non è quella giusta. E allora, inizia la retromarcia, prima con la “sospensione condizionale”, una sorta di ammonizione per le società, le cui pene saranno congelate per un anno solare e applicate in modo cumulativo solo nel caso di una seconda violazione da parte di medesimi supporters nel periodo interessato, e infine con la cancellazione delle chiusure dei settori degli stadi per responsabilità oggettiva, cotta e mangiata all’elezione alla FIGC di Carlo Tavecchio, l’uomo della buccia di banana del fantomatico Optì Pobà, subito interdetto dalle attività internazionali dell’UEFA e della FIFA. Con questa reputazione, quale credibilità avrà il nuovo presidente federale nell’accodarsi alla campagna contro il razzismo? Con quale faccia potrà prendere le distanze da cori e striscioni razzisti e di “discriminazione territoriale” ascoltati e visti negli stadi di mezza Italia? Che idea ci si farà all’estero dell’Italia alla vista delle curve della Serie A sbarrate e vuote per razzismo? E allora via alla modifica del Codice di Giustizia Sportiva, stabilendo l’applicazione di ammende invece delle tanto contestate chiusure parziali degli stadi. Solletico per le società sportive, un dazio tollerato per cancellare la vergogna dei cori contro i napoletani.
Insomma, un doppio passo indietro invece che uno nella giusta direzione, verso una soluzione davvero efficace. L’incapacità di trovarla produce la tolleranza più vergognosa e l’autorizzazione sostanziale per tutti gli ultras a cantare vittoria nel braccio di ferro con le istituzioni e a urlare contro i napoletani a pagamento delle società, a loro volta in silenzio e senza rivalersi sui colpevoli. Ciro Esposito, a Roma, ci rimette la vita, per quell’odio territoriale indegno oggi denunciato da De Laurentiis. Andrea Agnelli, padrone di casa allo Juventus Stadium, definisce tutto questo «campanilismo, che fa parte della nostra cultura e non è razzismo ma una peculiarità italiana», e per somma beffa, nel dicembre 2015, prende l’iniziativa catartica e se ne va all’Unesco a farsi paladino della lotta al razzismo nel calcio, rispondendo in conferenza, a chi gli chiede cosa accada in Italia, che la situazione è in miglioramento. In realtà è solo silenziata, insabbiata, con la complicità dei media.
Tavecchio, l’uomo del “rinnovamento” che non c’è, l’ha votato anche De Laurentiis nell’estate del 2014, per accontentare una pressione del laziale Lotito. Nel corso degli anni, il napoletano se n’è pentito, per diversi motivi, e qualche giorno fa, alla rielezione dell’uomo che vuole proseguire lo svecchiamento neanche partito, è stato l’unico presidente di club astenutosi dal voto. Forse l’altro candidato, Abodi, neanche lo aveva convinto, e però dalla tivù ha poi dimostrato di essersi sganciato dall’attuale sistema. Dai media del Nord già lo era da tempo. Il futuro parlerà.

‘Discriminazione territoriale’: adeguamento all’Europa? Fu proprio l’UEFA a chiedere severità

Angelo Forgione Assordanti cori contro Napoli durante Lazio-Napoli di Coppa Italia, siamo alle solite. Il passo indietro della FIGC ha di nuovo reso possibile l’impunità. Il “castigo”, dopo la modifica degli articoli 11 e 12 del Codice di Giustizia Sportiva con cui è stata cancellata la chiusura dei settori responsabili di certi atteggiamenti, ricade esclusivamente sulle società, chiamate a pagare semplici multe senza rivalersi sui responsabili. Insomma, insultare Napoli si può, a pagamento dei non responsabili, ai quali una multa fa solo il solletico.
Il dietro-front sulla responsabilità oggettiva di Carlo Tavecchio, già apparecchiato al punto 2 del suo programma elettorale, fu ispirato in sede di candidatura dal suo gran sostenitore Galliani, con Lotito (proprio il presidente della Lazio) e di tutti i presidenti dei club più importanti a ruota, e ha autorizzato gli ultras a cantare vittoria nel braccio di ferro con le istituzioni del Calcio. Si è agito in direzione di una “armonizzazione a livello europeo della responsabilità oggettiva”. Falso, falsissimo, perché era stata proprio l’UEFA a chiedere severità alle varie federazioni. La FIGC fu allertata nella primavera 2013 da Platini e soci per la degenerazione degli eventi italiani, e dovette recepirne le nuove direttive, diramate il 23 maggio 2013 nel 37° Congresso Ordinario di Londra in cui il parlamento del Calcio europeo adottò la risoluzione Il Calcio europeo contro il razzismo, con cui furono inasprite le pene per i casi associati agli eventi internazionali. Attraverso l’Articolo 14 del proprio Regolamento Disciplinare, furono vietate dall’organismo internazionale le forme di propaganda ideologica e introdotte punizioni severe, compresa la chiusura parziale o totale degli stadi, per i tifosi che avrebbero insultato la dignità umana per ragioni di razza e origine etnica.
Da Londra, l’UEFA pretese altrettanta severità da ogni federazione affiliata, chiedendo di impegnarsi per favorire l’adozione di identiche politiche sanzionatorie “in relazione alle manifestazioni nazionali”, lasciando cioè ad ognuna la libertà di allargare le tipologie di discriminazione in base alle diverse problematiche presenti nei vari paesi. In Scozia, ad esempio, la questione riguardava da sempre l’ambito religioso, diviso in presbiteriani, cattolici ed anglicani. In Italia il problema interessava la divisione interna e l’aggressione ideologico-territoriale verso i meridionali, ma de facto contro i napoletani. La FIGC si adeguò, credendo di essere in grado di vincere un’antica battaglia culturale. L’insulto alla dignità umana, non potendo (volendo) la FIGC considerarlo “razziale”, fu rubricato come “discriminazione per origine territoriale”. L’Articolo 11 del Codice di Giustizia Sportiva fu adeguato alla nuova normativa UEFA con un inasprimento delle sanzioni in materia di razzismo. Gli ispettori federali furono chiamati a non tapparsi più le orecchie per far scattare la tagliola della chiusura dei settori.
Dopo le prime sanzioni e le forti proteste delle società, incapaci di svincolarsi dal ricatto dei tifosi, fu ben presto scardinata la certezza della punizione dall’intervento di Galliani. Risultato: modifica all’applicazione della norma e introduzione da parte del Consiglio Federale della ‘sospensione condizionale’, una sorta di ammonizione per le società, le cui pene sarebbero state congelate per un anno solare e applicate in modo cumulativo solo nel caso in cui i loro supporters, nel periodo interessato, si fossero resi responsabili di una seconda violazione. L’intento era quello di ridurre il rischio di chiusura parziale degli stadi, col subdolo presupposto che il Napoli sarebbe stato ospitato solo una volta l’anno da ciascuna società, ignorando però che la maleducazione dei tifosi più accesi si sarebbe manifestata anche in partite senza i partenopei di scena. Per rendere ancora più incerta l’applicazione della sanzione fu stabilito che il giudice sportivo, in caso di presenza del fenomeno, avrebbe dovuto valutarne l’entità e la capacità di raggiungere l’offeso. E su quali parametri? Tutto in modo discrezionale e soggettivo, quindi non verificabile e influenzabile da pressioni esterne. Infine, con l’elezione di Tavecchio al posto di Abete, la totale marcia indietro per conformarsi alle altre federazioni europee e “per evitare di sottoporre i club italiani a sanzioni superiori al resto dell’Europa”, come se dappertutto esistesse un problema interno come quello italiano e come se non fosse stata l’UEFA e chiedere severità, la stessa UEFA che ha squalificato Tavecchio per dichiarazioni di stampo razzista.

La sanità al tempo dei Borbone

Angelo Forgione – Fino al 13 luglio, al Museo delle Arti sanitarie di Napoli, sito nel complesso di Santa Maria del Popolo degli Incurabili, è visitabile la mostra “La sanità al tempo dei Borbone”, organizzata dall’associazione culturale “Il Faro di Ippocrate” e dedicata alla storia della Scuola Medica Napoletana, allla rete assistenzialistica partenopea e alla formazione della professione del medico negli anni del Regno borbonico.
L’evento rende omaggio alla tradizione medica che diede lustro al Sud tra il 1734 e il 1860, ricostruendo l’intera pagina sanitaria nel Mezzogiorno, all’avanguardia nell’Europa dell’epoca. La prima assistenza sanitaria gratuita italiana (promossa da Ferdinando IV), la percentuale di medici per numero di abitanti più alta di tutto il resto d’Italia (9.500 tra medici e chirurghi per 9 milioni di abitanti, rispetto ai circa 7.000 professionisti della sanità per i 13 milioni di cittadini della restante Italia) e la più bassa mortalità infantile del territorio italiano la dicono lunga sul sistema sanitario borbonico. Due esempi storici di eccellenza: nel 1777 il Regno delle Due Sicilie sostenne una campagna vaccini contro il vaiolo per due milioni di persone; nel 1813 Aversa fu sede del primo ospedale psichiatrico italiano. Nonostante questa grande tradizione meridionale, peraltro risalente alla Scuola Medica Salernitana del XII secolo, con l’avvento dei Savoia e l’unificazione italiana i medici dell’ex Regno delle Due Sicilie furono obbligati a ripetere l’esame di idoneità alla professione medica. Gli atti che testimoniano questa pagina nera dell’Unità sono riuniti nella “bacheca della vergogna”.
Il campionario di curiosità è enorme: strumenti medici del tempo (apparati per lavande gastriche e clisteri, cassette chirurgiche militari, armadietti con boccette di farmaci del tempo, ecc.), busti dei medici illustri (Cirillo e Cotugno su tutti) e diverse curiosità, come il kit di pronto soccorso da passeggio per fronteggiare le emergenze in strada, il bastone corredato di siringhe, medicazioni e bisturi. In mostra anche alcuni modelli anatomici usati dagli studenti di medicina dell’epoca, e poi documenti, testimonianze e trattati di ogni genere. Sei le tappe tematiche: dai luoghi della sanità napoletana alla formazione professionale nelle province del Regno, dai singolarissimi cimiteri antichi ai tanti reclusori, per concludere con le prime “Case dei pazzi”, L’Ostretricia e la Medicina sociale. Una sezione a parte è dedicata al capitolo della peste.
Non va dimenticato che la buona tradizione sanitaria napoletana è proseguita anche dopo l’Unità d’Italia. Emblematici i casi di Vincenzo Tiberio e Arnaldo Cantani, veri padri dell’antibiosi nella Napoli post-unitaria ben prima di Fleming, i primi a condurre validissimi studi che condussero alla scoperta della penicillina (maggiori informazioni su Made in Naples – Magenes 2013).

info: 081 440647
lunedì – venerdì / 9.30 – 13.30 / ingresso gratuito
info@ilfarodippocrate.it
http://www.museoartisanitarie.it