I 60 anni e più dello stadio “San Paolo”

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Angelo Forgione – 6 dicembre 1959. Sessant’anni tondi sono trascorsi dalla data dell’inaugurazione dello stadio “del Sole” di Fuorigrotta, poi dedicato all’Apostolo Paolo di Tarso in ricordo del suo sbarco sulle coste flegree nel febbraio dell’anno 61. Compie dunque 60 anni l’opera in travertino e cemento dell’architetto razionalista Carlo Cocchia, necessaria dopo le distruzioni della guerra.

Bisogna infatti fare un passo indietro di diciassette anni dal taglio del nastro per leggere tutta la storia del grande stadio di Napoli. Anno 1942: lo stadio “Partenopeo” del rione Luzzatti di Gianturco, simbolo della modernità fascista, con una capienza di quarantamila spettatori, viene raso al suolo dai raid aerei degli anglo-americani che colpiscono violentemente Napoli. In vista dei Mondiali in Italia del ’34, era stato edificato in cemento armato al posto del vecchio ligneo “Vesuvio”, voluto nel ‘30 da Giorgio Ascarelli.

sanpaolo_corsportLa necessaria costruzione di un nuovo stadio napoletano viene deliberata il 22 dicembre 1949 dal Comune di Napoli, col supporto del CONI e del Governo, grazie ai finanziamenti della schedina a pronostici Sisal appena nata e all’assegnazione alla città di un miliardo di lire da parte del Consiglio dei Ministri, con gran fastidio negli ambienti calcistici del Nord-Italia, tanto da porre i dirigenti del Napoli in contrasto con la Lega Calcio, accusata di essere governata da una “casta milanese” maldisposta al cospicuo finanziamento del Governo.

Il progetto originario prevede un solo anello, quello attualmente al livello superiore, ma ne viene aggiunto uno ulteriore al di sotto del livello stradale per ottenere una capienza di circa novantamila spettatori. Il plastico del monumentale stadio viene presentato da Achille Lauro e dal primo ministro Mario Scelba, ma ci vogliono però dieci anni per vedere il completamento del nuovo impianto, il cui cantiere si apre nel nuovo arioso quartiere di Fuorigrotta il 27 aprile 1952.

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Il 6 dicembre 1959, dunque, il Napoli prende finalmente possesso della sua nuova comoda e maestosa casa. Miglior battesimo non si può celebrare: battuta la Juventus con immediato record di spettatori della Serie A. I club del Nord verificano immediatamente quel che significava per i napoletani il loro nuovo tempio del calcio.

Sessant’anni da quel giorno e un po’ tutto è cambiato. È cambiato il calcio, è cambiata Fuorigrotta ed è cambiato lo stadio “San Paolo”, sfigurato trent’anni dopo dal ferroso restyling per i Mondiali del 1990 e degnamente ritrovato solo dopo un altro trentennio con la ristrutturazione interna operata in occasione delle Universiadi 2019. Oggi è azzurro, colorato, omologato per 55mila spettatori comodamente seduti. Pur sempre vecchio, anche se i pali delle porte non sono più squadrati come in principio. Ma anche se nulla più è romantico come quando tutto era in bianco e nero, il “San Paolo” resta lo stadio del record di spettatori paganti – 89.992 tagliandi staccati per un Napoli-Perugia del 21 ottobre 1979 – e il mitico palcoscenico del più grande calciatore della storia. E scusate se è poco.

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per approfondimenti: Dov’è la Vittoria (Angelo Forgione – Magenes)

Napolveriera. Cosa succede alla SSC Napoli?

delaurentiis_ammutinamentoAngelo Forgione – L’ammutinamento dei calciatori del Napoli mette a nudo tutta la debolezza del modello societario di De Laurentiis. Un club che raggiunge alti livelli competitivi avrebbe bisogno di dirigenti autorevoli e talvolta autoritari, di una struttura verticistica solida. Quanto è accaduto, invece, è figlio di certa volubilità societaria che ha condotto i calciatori a insubordinare un alto dirigente che non è visto come tale – e sarebbe pure il numero 2 del club – ma semplicemente come il figlio del presidente, già in passato venuto allo scontro con altri stipendiati del club.

Fatto gravissimo, senza precedenti nella storia del calcio professionistico, quello di disobbedire in gruppo a una scelta del presidenza, per quanto comunicata in tempo e modo a dir poco discutibili. Non starò qui a fare demagogia nel ricordare che si tratta di ragazzi strapagati e idolatrati, ma almeno mi sia consentito sdegnare l’atteggiamento di chi è sempre pronto a bussare a danari e chiedere puntualmente aumento di ingaggi quando le cose vanno bene ed è altrettanto pronto a far valere i propri egoismi anche quando le cose vanno male, senza assumersi alcuna responsabilità. Intollerabile.

Il comunicato ufficiale della SSC Napoli investe di poteri e responsabilità l’allenatore, e qui le interpretazioni possono essere diverse. Ma che la squadra sia contro #Ancelotti sembra difficile crederlo dopo aver visto l’ammucchiata di Salisburgo al goal di#Insigne, capitano compreso, che è uno di quelli meno contenti per le scelte tecniche e tattiche del mister. Molto più realistico considerare un’intolleranza di alcuni calciatori nei confronti del dispotico e fumantino presidente per alcune sue recenti dichiarazioni, che è poi la stessa che prova parte della tifoseria. Intolleranza scaricata sul suo debole alter ego nel momento in cui quest’ultimo ha ritenuto di potersi porre de visu come il padre fa attraverso la stampa. Ancelotti è forse tra i due fuochi, a metà strada tra i suoi calciatori e il suo presidente, che gli chiede, con il comunicato, di risolvere. E lo pretende, perché una squadra assai valida non può naufragare miseramente in una stagione anonima, con tutte le migliori premesse che s’erano poste. E non può assolutamente naufragare il progetto Napoli, che funziona nonostante il suo modello societario assolutamente inadeguato ai livelli da esso stesso conquistato.


Mertens merita la cittadinanza napoletana

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Angelo ForgioneÈ il momento della celebrazione di Dries Mertens, autore del sorpasso numerico, in termini di marcature, ai “danni” di Sua Maestà Diego. Poi c’è la vita fuori dal rettangolo di gioco, ed è quella a fare l’uomo, la persona. Chi conosce Dries, sa che corre a giocare a “moglie e marito” dalla piccola Aurora in ospedale, va a sfamare i senzatetto di piazza Garibaldi con cartoni di pizza e a cibare i cani randagi al canile.
Il folletto belga è ormai napoletano a tutti gli effetti, incarnando ‘identità napoletana da lui apprezzata con passione e da tutti percepita attraverso il soprannome “Ciro”, che i napoletani gli hanno assegnato per riconoscergli la cittadinanza a furor di popolo. E una cittadinanza onoraria vera e propria il calciatore belga la meriterebbe dal Consiglio comunale di Napoli e dal sindaco De Magistris, che assai ne ha distribuite negli ultimi sette anni, forse troppe: ben 28. Mai così tante prima! Un’onorificenza che andrebbe concessa con parsimonia a personalità legate alla città per il proprio impegno e opere nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, dell’industria, del lavoro, dell’istruzione e dello sport, ma inflazionata con conferimenti simbolici a qualche personaggio che poco o niente ha offerto alla valorizzazione dell’immagine cittadina. Restando però nel recinto sportivo, se è stata e conferita a Gökhan Inler perché, andando via, ha scritto una lettera di saluto alla città e ai tifosi azzurri, e a Kalidou Koulibaly perché rappresentante della natura antirazzista, multiculturale e multietnica di Napoli, la merita ampiamente anche e soprattutto Dries Mertens, per identità napoletana acquisita, ben interpretata e riconosciuta anche al di fuori dei confini locali e nazionali. Perché napoletano si nasce, vero, e non è neanche detto che lo si faccia davvero, ma “Ciro”, dalla fiamminga e nordica Lovanio, abbracciando il lifestyle partenopeo, ci dimostra che napoletano si può anche diventarlo.

La fine della A.C. Napoli e il principio della SSCN

Angelo Forgione – 11 maggio 1961. La A.C. Napoli è 14ma in una Serie A a 18 squadre e lotta per evitare la retrocessione in B.
Inutili i tentativi del Comandante Achille Lauro di risollevare la squadra in crisi ingaggiando uno psicanalista e poi esonerando l’allenatore Amadei e il direttore tecnico Cesarini.
I tifosi azzurri, che hanno sostenuto la squadra riempiendo il monumentale e nuovissimo stadio San Paolo, sono amareggiati. Un gruppo numeroso scende in piazza per chiedere una società più organizzata e traguardi più ambiziosi. C’è anche un cartello che ricorda al presidente-sindaco Lauro il suo slogan acchiappa-voti: “Un grande Napoli per una grande Napoli”.
A sostenere la protesta c’è pure ‘o ricciulillo, tale Gennaro Notarangelo, anche detto “il re di Forcella”, un capo storico del tifo azzurro degli anni Cinquanta allo stadio del Vomero, noto per i suoi giri di campo al fianco di un ciuccio bardato d’azzurro.

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Il Napoli perderà le restanti quattro partite e sarà scavalcato da Udinese, Lecco e Bari, finendo tristemente in B per la terza volta nella sua storia.

L’anno successivo, la squadra chiuderà il girone d’andata della Cadetteria nelle ultime posizioni, rischiando la C, e perciò Lauro chiamerà come nuovo allenatore Bruno Pesaola, allora allenatore della Scafatese in terza serie, con cui la squadra risalirà la china fino a raggiungere la promozione in Serie A e addirittura la conquista della Coppa Italia, passando alla storia come unica compagine ad aver conquistato il trofeo nazionale pur non militando nella Massima Serie.

Al ritorno in A, l’Associazione Calcio Napoli sarà immediatamente retrocessa. Oberata dai debiti, il 25 giugno 1964 sarà ricostituita come Società Sportiva Calcio Napoli, terza fondazione dopo quelle del 1922 e del 1926 per un club che tornerà in A l’anno seguente.

Sono io il vostro Cavani… e vi adoro

Matador CavaniAngelo Forgionecosì, immenso Edi, ci ritroviamo da avversari. Che tu possa perdere questa battaglia del cuore, ammirare una delle nostre proverbiali feste calcistiche che ben conosci e dover rimpiangere, per un attimo, di non avere più l’azzurro addosso. E forse la voglia di riprendertelo crescerà un po’ di più.
Poi torneremo ad ammirarti, a sostenerti, a sognarti ancora, perché tu sei il bomber con la media-gol più alta della nostra storia. Perché in questi cinque anni, nonostante gli ingenerosi fischi d’amore che hai ricevuto quella troppo immediata sera d’agosto, ci hai recapitato sempre messaggi di amore. E noi napoletani, lo sai, pur umorali, non dimentichiamo chi ama; alla fine sappiamo distinguere tra un professionista destinato ad ottimizzare la propria carriera e un volgare traditore.
Questa, Edi, è e sarà sempre casa tua. In fondo, col cuore non te ne sei mai andato. Qui non è cambiato niente. E neanche tu.

New York mangianapoli: Bill De Blasio sceglie chef Cozzolino

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Chef Pasquale Cozzolino a Gracie Mansion (ph: La Repubblica)

Angelo ForgioneChef Pasquale Cozzolino, napoletano di Napoli, fiero delle sue origini e grande amante della storia della sua città, un omone con un’enorme scritta “Brigante” tatuata lungo tutto un braccio, tifosissimo del Napoli e, insieme all’altrettanto napoletanissimo Rosario Procino, cuore del ristorante Ribalta, “la cosa più vicina a Napoli che si possa trovare a New York” secondo Forbes, ha conquistato anche la cucina di Gracie Mansion, la residenza istituzionle del sindaco della “Grande Mela” Bill De Blasio, di cui è ora executive chef.
Superata la concorrenza di una sessantina di candidati cucinando spaghetti a vongole e parmigiana di melanzane. Perché il segreto di Pasquale è quello di cucinare come se abitasse ancora a Napoli.

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Rosario Procino e Chef Pasquale Cozzolino con Bill De Blasio (ph: Il Mattino)

Cozzolino e Procino hanno fatto del loro ristorante il punto di riferimento dei tifosi italiani nella megalopoli americana, nonché sede del Club Napoli New York City. Due napoletani alla Ribalta, con le armi culturali a loro più congeniali. Perché, come scrivo sul frontespizio del mio prossimo libro… “Gli italiani hanno insegnato la loro cucina al mondo. I napoletani hanno insegnato la loro cucina agli italiani.”

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con Procino, Chef Cozzolino ed Enrico Caruso (resp. comm. Kappa Gara)

Ancelotti senza Rolex

Angelo Forgione – Nessuna levata di scudi, ci mancherebbe, siamo abituati a ben altro. Abbiamo sentito persino Corrado Augias, uomo di cultura, aggiungere al «Venite a Napoli!» di Luigi De Magistris il suo inopportuno «Magari senza Rolex». Ma mai dimenticare che il luogo comune è un concetto superficiale dettato dal pregiudizio, e che diventa ancor più penetrante quando è usato nella satira per strappare una facile risatina. Perché far ridere non è roba proprio facile, ci vuole arte, ma arte vera. Il fatto è che il luogo comune del burlone serve al burlone stesso per riempire il vuoto di idee creative, e quando è diffamatorio finisce per rafforzare i convincimenti collettivi, e perfino l’immagine degli insultati. Insomma, la battutina ripetuta del Rolex rubato (ad Ancelotti) convince tutti che a Napoli spariscono i Rolex, ed è verissimo, ma non convince nessuno che accade in ogni parte del mondo. E da qui si passa facilmente ad Alessandro Sallusti a Matrix: «Di Maio e Fico sono napoletani, hanno il gioco delle tre carte nel sangue, fossi nel milanese Salvini starei attento». E via con le risatine, anche sui pugliesi (Conte). Come se non fosse stato il milanese Berlusconi, per esempio, a truffare i napoletani distraendo soldi dell’Isveimer (istituto creato per facilitare le imprese del Mezzogiorno) per le sue attività lombarde.
Questo è quel che si sente nelle tivù nazionali anche in una sola serata.
Certo, il luogo comune non si neutralizza mettendo a tacere il dichiarato e pericoloso nemico, e tantomeno il quasi innocuo burlone, però un’analisi della costruzione della battuta aiuta a capire la sua crisi di idee e i suoi compromessi. Come nel caso dei bravi Luca e Paolo a #qcdtg, che già sapevano di colpire basso un intero popolo, indistintamente, e di essere ironicamente scorretti, e perciò avevano già preparato il «ma no, ma che c’entra?»… «scusate»…
Excusatio non petita, accusatio manifesta… chi si scusa spontaneamente si accusa.

“Luca e Paolo shock” – leggi sul Corriere dello Sport

 

Ciao, Maurizio.

Mai dimenticherò che hai alzato il dito medio al razzista di turno.
Mai dimenticherò che hai sollecitato un arbitro affinché sospendesse una partita per cori razzisti.
Mai dimenticherò che tu, toscano, hai sentito le tue radici napoletane e che hai sciolto il sangue nelle nostre vene.
Sei stato come Diego, e come Diego resterai eterno.
Sei entrato nella storia del Napoli. Sei entrato nei cuori dei napoletani.
Le strade si separano qui, ma noi continueremo a tifare per te. Tu continua a tifare per Napoli.
Grazie, Maurizio… per averci donato gioie, sogni, orgoglio e tutto te stesso.
Resta tantissimo di te. Resta il Napoli più bello di sempre.
Magari, chissà, è solo un arrivederci.

Don Carlos entra a Napoli

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Angelo Forgione – Entra a Napoli don Carlos, viene ancora dall’Emilia, ed è sempre a maggio.
Diavolaccio di un De Laurentiis, capace di portarsi a casa uno dei pochi allenatori capaci di ammortizzare in modo indolore la dolorosa separazione con Sarri. Tre giorni fa, al solo pensiero di un addio dell’allenatore dei record e della grande bellezza, c’era da tremare e temere.
Ci ha messo del suo l’ormai scarico tecnico di Figline Valdarno, tirando troppo la corda per giocare su più tavoli, facendo spazientire più d’uno con quella voglia di andare a cena e basta, soprattutto il patron azzurro, che con quel «tempo scaduto» aveva già decretato la fine del legame. Altro che tempi supplementari, altro che tempi da crisi di governo italiano, la partita azzurra era già chiusa con la melina di Sarri, celatosi dietro l’amore della tifoseria e ai fastidi di parte di essa per De Laurentiis. Maurizio, con la gente dalla sua, si era preso il Napoli ma sapeva di non volerlo più come un tempo, ed era di fatto diventato un antagonista per Aurelio. Era ormai il Napoli di Sarri, e De Laurentiis non vedeva l’ora di riprenderselo con una prova di forza. La sua sicurezza, ai limiti della sicumera, lasciava intendere che aveva già le spalle ben coperte. Stava per iniziare un’altra partita, quella dell’ingaggio di Ancelotti. Giusto il tempo di festeggiare uno splendido secondo posto col sapore del primo, un po’ come il premio della critica per la bellissima E dimmi che non vuoi morire al festival di Sanremo del 1997, quando vinse Fiumi di parole dei Jalisse.
Finisce la grande bellezza del Napoli, immensa. Finisce l’afflato tra piazza a tecnico. Avremmo voluto tutti che non succedesse, ma non c’erano più le condizioni per continuare. È giusto che il toscano vada a dimostrare il suo valore altrove. Non ci sarà più il gran condottiero, l’uomo che ha difeso Napoli, che ha chiesto la sospensione di una partita per discriminazione, che ha mostrato il dito medio al razzista e che sarebbe pure sceso dal pullman per fargli rimangiare le offese. Chi arriva, di tutt’altro carattere e di ben altra origine, non farà mai nulla del genere, ma proverà certamente a dare la grande gioia ai napoletani.
Mossa giusta del presidente, che ha ben capito quanto le motivazioni di Sarri fossero ormai esaurite, e che Sarri avrebbe trascinato con sé la squadra nell’anonimato. Il refrain del «quest’anno o mai più» era pronto a farsi realtà. Dopo una stagione intensa e assi logorante, in cui l’allenatore e i suoi hanno dato davvero tutto, proseguire la rotta con un timoniere senza nerbo non avrebbe portato da nessuna parte. Era necessaria una virata decisa, era necessaria una nuova guida carica di stimoli da distribuire a chi è indeciso se restare o meno, e a chi arriverà. Chi meglio di don Carlos Ancelotti? E ora tutti a dire che il Napoli può, più di ieri, con tanti saluti al refrain del «quest’anno o mai più». Diavolaccio di un De Laurentiis!
Con don Carlos, il Napoli lancia un doppio segnale al calcio internazionale. Il primo, analogo a quello inviato cinque anni or sono con don Rafa Benitez, la civetta che fu capace di elevare l’appeal del club. Il secondo, la resilienza che appartiene ai grandi club, ovvero la capacità di assorbire l’addio di un tecnico ammirato nel mondo per il gioco sfoderato, ma sfoderato nella vetrina partenopea.
La mossa Ancelotti è esattamente quella garanzia con cui De Laurentiis smentisce i timori di Sarri e ne smaschera gli indugi. Ora sarà tempo di accontentare il tecnico emiliano, ché l’alibi dell’allenatore integralista non c’è più. Anche per Aurelio è giunto il tempo degli esami irrimandabili.
Inizia un matrimonio interessante, e che dia buoni figli, come ha fatto il connubio tra Napoli e l’Emilia. Prendete le melanzane, il Sanmarzano e il fiordilatte di Napoli e uniteli al Parmigiano Reggiano. Se preparato bene il piatto, sarà un trionfo!