Il napoletano, la lingua dell’amore che non sa più dire “ti amo”

Angelo Forgione  — “Ti amo”, diciamo in Italia, ma non più a Napoli. Un napoletano che si dichiara con il suo dialetto/lingua usa l’espressione “te voglio bbene assaje” e, se proprio vuol essere più travolgente, la formula “songo ‘nnammurato ‘e te”.
Niente “ti amo”, dunque. Bandito, non esiste. E invece no! Magari non si dice più, ma il napoletano, la lingua dell’amore, le conosce quelle due parole importanti. Ne ho trovato traccia nel trattato Del dialetto napoletano scritto nientepopodimeno che dal brillante economista Ferdinando Galliani e pubblicato nel 1779. Sfogliandolo, mi sono imbattuto nella coniugazione del verbo “Amare”, preceduta dall’avvertenza che la seconda persona singolare, per regola generale, termina sempre con una e. Dunque, nel fulgido Settecento napoletano dei Lumi, la gente del Regno diceva “t’amo”, altroché!

Ferdinando Galiani è attendibilissimo, quantunque abruzzese di nascita e pugliese di origini. Crebbe a Napoli dall’età di sette anni, e qui costruì la sua formazione profondamente intellettuale, diventando uomo di grande lustro e importanza universale con il suo trattato Della moneta del 1751, tanto da essere più volte citato ne “Il Capitale di Karl Marx del secolo successivo per le sue intuizioni sul mondo valutario del Secolo dei Lumi, sul valore economico dei beni e su quello del lavoro necessario per produrli. Il trattato dialettale sull’idioma partenopeo lo pubblicò cinquantenne, rivendicando il primato della lingua aulica napoletana su quella toscana e indicando la necessità di salvaguardare quella più vicina al latino per respingere quella contaminata dal dialetto plebeo, e renderla lingua ufficiale del Regno di Napoli.
Magari è stata proprio la contaminazione volgare a mettere in second’ordine l’espressione “t’amo”, indicando la via al grande filone della canzone classica napoletana di Ottocento e Novecento. Come dimenticare il celebre valzer Te voglio bbene assaje del 1839, in cui il paroliere e ottico Raffaele Sacco scrive il verso “I’ t’aggio amato tanto, e T’AMO e tu ‘o ssaje”. Perciò noi, figli dei poeti e autori prestati alla grande produzione musicale del periodo d’oro, abbiamo probabilmente adottato il titolo di quella storica canzone e dimenticato l’espressione più diretta pur presente nel testo, convincendoci che la lingua dell’amore non preveda la più eloquente delle dichiarazioni d’amore.

Il bello di essere napoletani a “Napoletani Belli”

di Francesco Gala (redazione Radio CRC)

Lunedì 25 Marzo, alla trasmissione radiofonica “Napoletani Belli”, in onda dal lunedì al venerdì dalle 19 alle 21 su Radio CRC, ospite Angelo Forgione, quotato scrittore e giornalista al fianco del padrone di casa Ettore Petraroli.

Faccio lo scrittore – ha detto il protagonista della puntata – perché voglio rimettere a posto i conti con la storia, e Napoli è portatrice sana di storie. Una storia negata su questa città? Può essere lo stesso pomodoro, perché in passato i prodotti fatti con quest’ortaggio erano denigrati, oggi invece sono il simbolo dell’Italia nel mondo”.

Spazio a due napoletane belle: Beatrice Lizza, milanese che ama la nostra città e sta per trasferirvisi, ed Elisa Baroti, albanese che da sempre vive a Napoli.

Beatrice ha esordito così: “Sono napoletana d’origine ma sono nata e cresciuta a Milano. Volevo fare l’università a Napoli, però per motivi di lavoro ho rinunciato. Ora disferò per l’ultima volta le valigie per vivere a Napoli dopo due anni e mezzo. Il mio innamoramento è diventato vero e proprio amore”.

Anche Elisa ha raccontato il suo rapporto con la città partenopea: “Sono qui grazie ai miei genitori e devo dire che è il regalo più bello che mi potessero fare. Sono follemente innamorata della città in cui vivo. Sono abbastanza fortunata perché viaggio molto anche in Europa, però posso dire che questa città è speciale. Abbiamo cose meravigliose sotto il nostro naso e non ci rendiamo conto nemmeno di tutto questo”.

Forgione ha poi chiamato in causa Pasquale Cozzolino, ormai celebre chef napoletano, cha aperto un ristorante in America dal nome Ribalta. Un giorno ha preso parte ad una selezione per la cucina di Bill De Blasio, sindaco di New York, che dopo aver assaggiato la sua parmigiana ha detto: “Questi sono i sapori della mia infanzia”. Da quel momento Pasquale ne è diventato lo chef: “De Blasio non può mangiare pasta a casa perché la maglie glielo vieta, però di nascosto, ogni tanto, viene da me e la mangia. Per lui cucino io e la mia squadra, e lo facciamo nella residenza riservata. Sono lo Chef executive ed ogni settimana stilo il menù che poi viene approvato dal sindaco. Sono diventato ricco? La vita a New York è cara, dunque anche se lo stipendio è alto per gli italiani, qui in America è normale”.

Spazio poi a Tommaso Primo, celebre cantautore partenopeo: “Se faccio uso della sesta napoletana? È un accordo che non ho usato nell’ultimo disco, bensì in Flavia e il Samurai. Si usa tipicamente nella musica rock, però io cerco anche di usare altri generi. Quando suono qualcosa in napoletano la uso, in altri contesti evito. Su quest’accordo si è fondata la musica rock, Elvis ne è stato il fautore”.

Forgione racconta che il pomodoro lungo è arrivato a Napoli grazie all’intercessione di San Gennaro. Per questo motivo ha aperto il  microfono a Francesco Andoli: “Ho una risto-bottega dal nome “Januarius”. Ci troviamo nei pressi del Duomo. È un locale dedicato completamente al Santo ed è arredato in tema, e la cucina è tipicamente tradizionale. Dove va il pomodoro lungo? Nel ragù napoletano è d’obbligo”.

Macron: «Napoli è l’Italia a me cara»

Angelo Forgione – A rivelare l’amore del discusso Emmanuel Macron per Napoli ci aveva già pensato qualche tempo fa Caterina Avanza, una bresciana nello staff del presidente francese. «Per lui, Napoli è la città più bella del mondo», disse qualche tempo fa l’unica italiana al servizio del leader transalpino. «Ama Napoli, è stato lì a Natale del 2015. Mi ha confidato di avere una passione forte per quella città, per i suoi musei eccezionali, ed era davvero convinto di quanto mi raccontava».
Parole confermate a Fabio Fazio dal diretto interessato, folgorato dal teatro di Eduardo, dalle scritture del mio amico Jean-Noël Schifano e dalle storiche parole di Stendhal sulla bellezza di Napoli. E dire che il gran francese di Grenoble disse ciò da grande innamorato di Milano, di cui si sentiva cittadino, tanto da farlo scrivere suo sepolcro al cimitero parigino di Montmartre.
E mi viene in mente anche Gerard Depardieu, per il quale «L’Italia inizia a Napoli».
L’amore dei francesi per l’intellettualità di Napoli è forte, e spiega anche il motivo per cui i turisti transalpini scelgono di sostarvi più di altri, mentre i tedeschi preferiscono le isole e gli inglesi la costiera sorrentina.

Il sorriso che Napoli resituì a Mia Martini

Angelo Forgione – Era destino che ad interpretare Mia Martini fosse una napoletana, la bravissima e radiosa Serena Rossi. La fiction Rai non l’ha raccontato, ma Napoli fu un luminoso e caldo raggio di sole per l’artista calabrese nei suoi ultimi anni, il luogo che le diede riparo dalle sofferenze, mentre l’Italia dei manager, dei discografici, dei cantanti e dello showbusiness metteva in giro le peggio voci su di lei. Eppure si dice che i napoletani siano scaramantici come nessuno. Beh, si vede che in quanto ad umanità pure non siano battibili se è vero che in quelle tristi circostanze solo loro se ne fregarono della sua fama di jettatrice. Un giovane Enzo Gragnaniello, dopo averla vista cantare in una festa di piazza nel periodo più buio, scrisse per lei e la convinse a formare un trio eterogeneo con un anziano Roberto Murolo che spaccò l’hit-parade nel 1991, quando l’Italia li sentì cantare Cu’ mme, un brano in napoletano, non in italiano, divenuto popolarissimo in tutta la Penisola. Tutta Napoli la adottò, pure i tifosi azzurri, e lei ricambiò visceralmente, indossando la sciarpa del Napoli e andandosene a tifare più volte in curva al San Paolo. Lei, donna di quel feudo juventino che era ed è la Calabria, diventò sostenitrice del Napoli, di Napoli, perché sentì di essere a casa sua in una città che se ne fregava delle dicerie. Solo cinque giorni prima della morte era stata in Curva B per un Napoli-Inter. Alla sua improvvisa scomparsa, una bandiera azzurra spuntò sulla bara ai funerali a Busto Arsizio. I tifosi azzurri pittarono striscioni e intonarono cori per lei nella successiva gara a Fuorigrotta.
Dell’amore ricambiato di Mia Martini per Napoli non è spuntato nulla nella fiction, e non è omissione leggera, perché Napoli le restituì qualcosa di prezioso: il sorriso perduto. Ma poi resta il fatto che il destino ha voluto che a interpretarla fosse una napoletana verace, tifosa del Napoli, di nome Serena, proprio come la discriminata Mimì ogni qual volta metteva piede a Napoli.

Sono io il vostro Cavani… e vi adoro

Matador CavaniAngelo Forgionecosì, immenso Edi, ci ritroviamo da avversari. Che tu possa perdere questa battaglia del cuore, ammirare una delle nostre proverbiali feste calcistiche che ben conosci e dover rimpiangere, per un attimo, di non avere più l’azzurro addosso. E forse la voglia di riprendertelo crescerà un po’ di più.
Poi torneremo ad ammirarti, a sostenerti, a sognarti ancora, perché tu sei il bomber con la media-gol più alta della nostra storia. Perché in questi cinque anni, nonostante gli ingenerosi fischi d’amore che hai ricevuto quella troppo immediata sera d’agosto, ci hai recapitato sempre messaggi di amore. E noi napoletani, lo sai, pur umorali, non dimentichiamo chi ama; alla fine sappiamo distinguere tra un professionista destinato ad ottimizzare la propria carriera e un volgare traditore.
Questa, Edi, è e sarà sempre casa tua. In fondo, col cuore non te ne sei mai andato. Qui non è cambiato niente. E neanche tu.

Lettera di un turista vicentino: “Torno al Nord, sono triste”

Scrivo questa mia semplice lettera solo per dire perché amo Napoli e la napoletanità.
Dove abito io, nella provincia di Vicenza, Napoli e i napoletani non sono ben visti. Eppure il sottoscritto da Napoli e i napoletani ha ricevuto solo momenti di gioia. Dalle mie parti dicono che i napoletani sono gente sporca e pronta a fregarti. Niente di più falso! È vero invece che dove abito io, se muori, ti trovano solo quando i vicini sentono la puzza del cadavere.
Adoro la napoletanità, nel cuore, nell’arte, nel cibo, nella musica. Come disse il grande Lucio Dalla, se ci fosse una puntura intramuscolo con dentro la napoletanità, io la farei anche se costasse duecentomila euro, pur di parlare e ragionare come fa da millenni questo popolo pieno di risorse umane, che anche nei momenti difficili riesce sempre a sorridere e se ne esce sempre con qualche battuta. Ho la sensazione che i napoletani abbiano nel sangue la felicità, e nonostante i tanti problemi non permettono mai di farti sentire triste oppure un estraneo.
Passeggiare per Napoli, osservare le bellezze di questa città, mangiare una pizza, magari in piedi e senza troppe regole, col pomodoro che schizza, parlare del Napoli, sorseggiare un caffè, osservare la teatralità della gente e l’amore che ti trasmette ti fa sentire un privilegiato. Non esiste una città che ti regala queste emozioni. Quando arrivo a Napoli, con la mia dolce fidanzata, sono pieno di gioia, perché qui il mondo è davvero diverso, ci sono i colori della vita. Da noi, invece, l’unico colore che ci attanaglia anche il cuore e l’anima è il grigio! Come se il grigio fosse un colore. Anche le persone da noi sono grigie, tristi, con poca voglia di sorridere. Che strano, a volte mi chiedo come fanno ad attaccare una città così bella che ha ancora un cuore, che sa ancora emozionarsi per una partita di calcio. Sicuramente l’invidia!
Napoli per me è risate, gente che parla, magari che fa anche confusione, ma è una città che non si può che amare e fermarsi a guardare e ad ascoltare. Ti fa sentire più ricco dentro.
 Pur abitando al Nord, figlio di meridionali, Napoli è sempre un riferimento. Spesso combatto tutti i giorni per difendere questa splendida città dai soliti luoghi comuni.
I più grandi artisti sono nati qui: Totò, Troisi, De Filippo, Pino Daniele, Sergio Bruni, ecc. E pure le canzoni più belle, e non passano mai di moda. 
Se ti innamori di questa città, fai di tutto per difenderla. Chi ha sentimento e cuore, dopo un po’ per forza di cose diventa un po’ napoletano. Perché puoi girare anche tutti i posti del mondo, ma non avrai mai visto il mondo come a Napoli.
 E se chiudi gli occhi senti che Napoli ti sta abbracciando e ti accoglie fra i suoi figli.
Andate a Napoli e ve ne innamorerete. Non ascoltate la gente che infanga una città che ha visto solo sulle cartoline. Io devo tornare a casa, e mi si stringe il cuore, mi viene da piangere, mi sento triste. È proprio vero che quando si lascia Napoli si piange. Sono lacrime di tristezza, ma nello stesso tempo posso dire che ho provato la felicità, perché sono stato nella città più bella del mondo!

Francesco Guarino
Arzignano

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Una strada per i martiri di Pietrarsa

martiri_pietrarsaAngelo Forgione Tutto sommato non c’è voluto tanto per affermare una verità nascosta. Quattro anni fa l’eccidio di Pietrarsa del 1863 era sconosciuto, relegato all’oblio degli archivi e alla consapevolezza di quei meridionalisti che sapevano, e che nel corso di questi anni l’hanno portato alla luce a furia di commemorazioni nel Museo ferroviario di Pietrarsa. E così, nella giornata di sabato 19 dicembre, una strada di San Giorgio a Cremano è stata finalmente intitolata al ricordo dei martiri di Pietrarsa, uccisi in difesa del loro lavoro ben 23 anni prima degli analoghi incidenti di Chicago per cui fu istituita la festa dei lavoratori del 1 maggio.
Qualche anno per far emergere una verità dimenticata per più di un secolo, e va bene che sulla targa toponomastica vi sia scritto “caduti sotto il fuoco sabaudo”, rimarcando che, nel 1863, il già fuoco italiano odinato dal questore Nicola Amore, poi sindaco di Napoli (ancora oggi issato ad esempio di buona amministrazione), era fuoco obbediente ai voleri di Torino.
Via Martiri di Pietrarsa sostituisce l’antico toponimo di via della Ferrovia, su proposta dall’assessore all’urbanistica del comune vesuviano, Pietro De Martino. E già negli anni Novanta, l’ex sindaco Aldo Vella aveva cancellato di forza l’allora piazza Garibaldi per intitolarla a Massimo Troisi. Gli uomini cui è dedicato il ricordo sono Luigi Fabbricini, Aniello Marino, Aniello Olivieri e Domenico Del Grosso, quattro operai (ma forse furono di più; NdR) che il 6 agosto 1863 furono uccisi da Bersaglieri, Carabinieri e Guardia Nazionale alle spalle durante uno sciopero di protesta contro i licenziamenti e le condizioni disumane di lavoro a cui erano stati costretti dai nuovi proprietari della fabbrica. Il Real Opificio di Pietrarsa, uno dei vanti dello Stato borbonico, che su un’area adiacente alla prima tratta ferrata, la Napoli-Portici, aveva sfornato le prime locomotive italiane, fu destinato allo smantellamento e al declino per decisione delle nuove classi dirigenti dell’Italia appena unita, decise a trasferire le commesse verso gli stabilimenti Ansaldo di Genova.
Dopo questo risultato, magari un giorno vedremo i segretari dei sindacati nazionali festeggiare il 1 maggio a Pietrarsa, luogo simbolo della lotta operaia in Italia.

collegamento con Radio Marte del 1 maggio 2012

Sul lungomare, la favola di Valentina e del principe azzurro Vincenzo

enzo_valeAngelo Forgione Domenica assolata la prima del novembre napoletano. Cittadini e turisti affollano il lungomare sotto il sole riflesso sullo specchio d’acqua del Golfo più bello del mondo. Alle ore 15,40 un gruppo di danzatrici in maglia rosso cuore mette in piedi una coreografia sulle briose note di Bruno Mars, catturando l’attenzione di chi, facendosi accarezzare dal tepore del clima, passeggia e mangia gustose pizze ai tavoli. Qualcuno scambia tutto per un flashmob danzante, qualcun altro per pura animazione. Una delle ragazze si stacca dal gruppo e corre a prendere per mano uno spettatore, portandolo nel cuore della coreografia e rendendolo protagonista. Il disorientamento cresce ma ci vuole poco perché si intuisca che quello non è un semplice spettatore bensì l’ideatore di quella che si sta per rivelare una fantastica sorpresa. Vincenzo, in giacca dal colore dei più bei principi, è a suo agio lì in mezzo, pronto a stupire la donna del suo cuore dopo nove anni di fidanzamento esatti. Valentina, già visibilmente emozionata, crede si tratti di sorpresa per l’anniversario e fatica ad immaginare che lui, il suo Vincenzo, stia per chiederle la mano davanti a tutti, in pubblico, nello scenario più bello che possa esserci. Il disorientamento lascia lentamente spazio allo stordimento. E lui si mette il Vesuvio alle spalle, le va incontro tra gli applausi, eclissa il vulcano ma non le emozioni. Il principe azzurro si asciuga il sudore, si inginocchia e le mostra un favoloso anello, chiedendole la mano. Prima in italiano, ma poi, forse per diradare ogni dubbio, in napoletano: «Me vuo’ spusà?». Ora la protagonista è lei. Risposta racchiusa in un bacio che scalda il cuore di tutti intorno, mentre una pioggia di coriandoli rende tutto ancor più magico. Il mazzo di rose non può mancare, perché Vincenzo è stato perfetto pure nel diradare le nubi del giorno prima, e a ottenere dagli dei del cielo il colore dei più bei principi.
Valentina fatica a riprendersi, a capire se sta sognando o se tutto sia reale. È stata catapultata nella favola che ogni donna vorrebbe vivere. Gliel’ha regalata l’uomo che vuole starle accanto per sempre. Fortunata donna, che non poteva sprecare quel po’ di fiato che il batticuore le ha riservato se non per dire un cortissimo ma convintissimo «» all’uomo che l’ha stupita, una volta di più e ancor di più. E che, da buon napoletano (e pilastro del Movimento V.A.N.T.O.), ha stupito e caricato di meraviglia anche i turisti, tantissimi, che si ascoltava dire «Napoli è meravigliosa… da noi queste cose non succedono». Vincenzo ha emozionato proprio tutti, anche chi scrive, fiero di essergli amico.

Il Napoli col vento in poppa, sulla rotta dalla rivoluzione

Angelo Forgione – Era lunedì 14 settembre quando il Messia del Calcio, il Re di Napoli, bocciava Sarri Maurizio, il nostromo della panchina che cercava di sfruttare la grande opportunità, dopo tanta gavetta, alla guida del primo grande club, il quarto d’Italia, quello famoso nel mondo per essere marchiato a fuoco proprio dall’effigie riccioluta del fuoriclasse dei fuoriclasse. Napoli reduce dal deludente pareggio di Empoli, dopo la sconfitta di Reggio Emilia col Sassuolo e il mezzo inciampo domestico sulla Sampdoria. «No, il signor Sarri non è da Napoli… gli hanno fatto un regalo di compleanno enorme», disse don Diego, sonnacchioso dalla sua casa di Dubai, e per lui non c’era da attenderne frutti, come aveva fatto il Milan con Sacchi ai tempi d’oro del Napoli, che erano proprio quelli del vero rivolucionario del football, privato di qualche scudetto in più dal tecnico di Fusignano e, soprattutto, dal suo preparatore atletico. E in effetti per Maurizio Sarri si era messa male perchè all’orizzonte incombevano i nuvoloni neri di Lazio, Juventus, Milan e Fiorentina, oltre Carpi e le tre avversarie di Europa League, mare sconosciuto per il marinaio che veniva dalla provincia. Tutti a chiederne la testa, ma il presidente De Laurentiis non preparava alcun patibolo. Aveva trovato una nuova guida, si era avveduto che la squadra lo seguiva, memore del fallimento di Benitez, troppo ingombrante per la reale dimensione del club, e della propria convinzione, sbagliata, che vi si adattasse. Benitez aveva mollato, guardando agli orizzonti più assolati. La squadra aveva mollato, avvertendo l’assenza del capitano sulla nave. Ora un capitano c’era, la sua autorità era riconosciuta dall’intero equipaggio e non era il caso di metterlo in discussione con tanta impazienza alla prima tempesta in mare aperto. Già poteva dimostrarsi devastante il fulmine degli Dei, anzi del Dio indiscusso del Calcio, parato dal nostromo con un’arguta licenza di giudizio consegnata di persona: “Maradona può dire ciò che vuole, è il mio idolo fin da piccolo e può dire qualsiasi cosa”. E intanto, tutti a remare a testa bassa, come colpiti nell’orgoglio anch’essi dalla divina bocciatura. Era, il Napoli, già allora un equipaggio compatto, evidentemente capace di affrontare le insidie della navigazione.
A chiedere a Diego se approvasse la scelta estiva di De Laurentiis fu Xavier Jacobelli, colui che trentotto giorni dopo avrebbe detto e scritto che “lo stato di grazia del Napoli rende oggi come oggi la squadra di Sarri imbattibile”. Cosa è successo tra il 14 settembre e il 22 ottobre? È successo che il Napoli di Sarri ha preso il vento in poppa. È successo che ha battuto Bruges (5-0), Lazio (5-0), Juventus (2-1), Legia Varsavia (0-2), Milan (0-4), Fiorentina (2-1) e Midtjylland (1-4). È successo che si è issato dal quindicesimo al quarto posto in classifica. È successo che ha segnato 24 reti senza alcun rigore (media: 3,00/partita) e ne ha subite solo 3 (media: 0,37/partita). È successo che, dei 24 goal, ne ha siglati 22 su azione manovrata e soli 2 su calcio da fermo, fatto specifico per una squadra guidata da un tecnico che prepara meticolosamente i calci piazzati (verranno, visto che il suo Empoli realizzò il 50% circa dei goal da palla inattiva; ndr). È successo che sono andati a marcare 7 calciatori diversi (6 Higuain – 5 Insigne – 3 Mertens, Callejon e Gabbiadini – 2 Allan – 1 Hamsik). È successo che il Napoli si è divertito in campo, mostrando sorrisi e voglia di lottare insieme. È successo che Higuain ha strizzato l’occhio e abbracciato Sarri, l’antidivo per eccellenza che ha messo il suo idolo, l’altro argentino, in condizione di cospargersi il capo di cenere: “Il Napoli è più forte di qualsiasi giocatore o dirigente”, scrisse el Diez sulla sua fanpage di Facebook dopo la speciale vittoria contro la Juventus: un modo criptico per ammettere che il Napoli di Sarri aveva prontamente smentito anche il più rappresentativo alfiere della sua prestigiosa storia. È successo che anche i più feroci contestatori di squadra e, soprattutto, società sono scomparsi, mimetizzandosi tra i Righeira delle gradinate. È successo che la “banda Sarri” ha ribaltato la natura del Napoli stesso, squadra mai capace di dare certezze, abituata a soffrire e a far soffrire i suoi tifosi. È successo che, per incantesimo, i goal sono fioccati e le partite hanno donato il piacere dello spettacolo, sollevando il popolo azzurro dall’eterna tensione di sempre. Accadeva solo ai tempi di Maradona, appunto, ed erano tempi d’oro. È successo che il fromboliere Cavani, altro gran rappresentante di storia azzurra, ha lanciato messaggi di amore e nostalgia, perché Parigi non è Napoli, figurarsi se poteva esserlo Monaco di Baviera.
È successo tutto questo in 38 giorni, e sarebbe una rivoluzione vera se continuasse a succedere. Prepararsi a gestire le onde alte che verrano è il miglior atteggiamento che si possa programmare ora che tutto ciò che viene fuori dalle giocate degli azzurri si trasforma in oro di Napoli. È questa la prova del fuoco che attende il nostromo tosco-napoletano di Bagnoli. La rotta è tracciata, la rivoluzione è a un passo, ma Napoli sa anche ammazzare i suoi condottieri. Alla prova non è solo Sarri ma tutta la piazza.

A “Terronian Radio Show” (Radio Amore) il riscatto meridionale

Quattro chiacchiere tra grande cultura napoletana da valorizzare e calcio nazionale sulle frequenze meridionaliste di “Terronian Radio Show” (Radio Amore).