1922-2022: il silenzioso centennale del Calcio Napoli

Angelo ForgioneOttobre 1922, ottobre 2022. Avviene oggi quel che sarà celebrato tra quattro anni: i 100 anni del Calcio Napoli. Scorre da decenni una narrazione errata della fondazione del club partenopeo, consolidata nel dopoguerra e poi mai messa in discussione, eccezion fatta per i pochissimi topi d’archivio che la storia di quegli anni l’hanno letta e ricostruita. Tra questi, chi scrive questa ricostruzione, che da qualche anno va insistendo su una narrazione aderente ai fatti, ora proponendo una prova inoppugnabile del fatto che sia errato l’anno 1926, indicato come data di fondazione dallo stesso club e tatuato a bella posta sulla pelle di tanti tifosissimi azzurri. Si tratta di una lettera ufficiale scritta nel 1931 dal terzo presidente azzurro, ma prima è opportuno ricostruire la vicenda.

Nell’ottobre del 1922, mentre a Napoli si preparava l’adunata del Partito Nazionale Fascista che avrebbe dato il via alla Marcia su Roma, fu operata la fusione tra due club cittadini, il Naples Foot-Ball Club 1905 e l’U.S. Internazionale Napoli 1911, entrambi gravati da critiche situazioni finanziarie. Ne venne fuori l’Internazionale Naples Foot-Ball Club, abbreviato in Internaples, presieduto da Emilio Reale, già patron della vecchia U.S. Internazionale Napoli. Ed è proprio l’Internazionale Naples FBC (Internaples) il club che arriva a noi, perché nell’agosto del 1926, in piena continuità sociale, cambiò denominazione e divenne A.C. Napoli.

Era un tempo in cui i quotidiani sportivi riportavano soprattutto notizie e cronache di ciclismo, e il foot-ball, in crescita soprattutto nel Nord industrializzato, difficilmente trovava spazio nei quotidiani del Sud, il cui movimento calcistico risentiva di ritardi propri e di disinteresse da parte della Federazione a trazione settentrionale. Non esisteva il girone unico di Serie A, e lo scudetto era un affare delle squadre del “triangolo industriale”. Difficilissimo, pertanto, individuare la data precisa della fusione tra Naples e Internazionale, conclusa senza che la stampa dell’epoca ne desse sufficiente rilievo. E però, in virtù delle approfondite ricerche (ancora in corso), si può fare certamente riferimento al giornale napoletano Il Mezzogiorno, il più attento alle vicende del calcio campano.

Nell’edizione del 28-29 settembre del 1922 (1) fu preannunciata “una fusione fra i due più gloriosi ed anziani circoli calcistici della Provincia: Naples e Internazionale”.

L’edizione del 2-3 ottobre (2) informò che, in vista di una partita amichevole contro la U.S. Puteolana, l’Internazionale Napoli avrebbe schierato “una formazione ben poderosa”, per effetto de “l’accordo quasi raggiunto” per la fusione dei due club cittadini.

Ancora l’edizione del 13-14 ottobre (3) dava avviso che nella sede sociale dell’ U. S. Internazionale era convocata un’Assemblea Generale e pregava i soci di non mancare “dovendosi discutere argomenti di alto interesse”. Possibile che in quell’occasione si dovesse approvare proprio la fusione con il Naples Foot-Ball Club.

Infine, l’edizione del 30 ottobre (4), notificava l’assenza di alcuni elementi dell’Internazionale nel match amichevole contro la Bagnolese, “pur inquadrando nelle proprie fila alcuni degli elementi del vecchio Naples, la cui fusione col club del cav. Reale è ormai un fatto compiuto”.

Si può dunque affermare con ragionevole certezza che la fusione, ovvero la nascita dell’Internazionale Naples Foot-Ball Club (Internaples), cioè il Napoli, avvenne nella seconda metà del mese di ottobre del 1922.

Nonostante l’incoraggiante fusione, la situazione finanziaria del club restò deficitaria, e perciò, nel 1925, il patron Emilio Reale, per garantire sicurezza al club, cedette la presidenza al facoltoso commerciante Giorgio Ascarelli, che iniziò a spendere per rinforzare la squadra. Furono ingaggiati l’allenatore lombardo Carlo Carcano, già calciatore della Nazionale, e la giovane promessa piemontese Giovanni Ferrari. Dalle giovanili fu promosso in prima squadra un certo Attila Sallustro. Quella compagine arrivò a giocarsi, con esito infelice, la doppia finale di Lega Sud del luglio 1926 contro l’Alba Roma, valevole per l’accesso alla doppia finalissima nazionale per lo scudetto contro la vincitrice della Lega Nord.

Nella vignetta, Emilio Reale a sinistra e Giorgio Ascarelli a destra, stanti le difficoltà finanziarie, discutono di una tabella rimossa dai balconi della sede del club presso Palazzo Mastelloni in piazza Carità.

In vista della stagione 1926-27, irruppe a decidere la formula del campionato l’ormai affermato regime fascista, impegnato nel processo di “nazionalizzazione” del Regno d’Italia. Mussolini, non consentendo che il calcio italiano restasse spaccato tra Nord e Sud e mostrasse disgregazione sociale, impose d’ufficio alla FIGC, tramite il CONI, l’unificazione delle due leghe territoriali in un’unica “Divisione Nazionale”, articolata in 20 squadre, di cui 17 del Nord e 3 del Sud. Alle meridionali, il titolo sportivo spettò alle due finaliste dell’ultima Lega Sud, ovvero l’Alba Roma e l’Internaples, più la Fortitudo Roma, quest’ultima ammessa perché presieduta da Italo Foschi, uno degli ideatori della riforma fascista del Calcio.

Ascarelli, di origine ebraica, a quel punto, dovette porsi un serio problema: Mussolini detestava gli inglesismi e il benevolo Fascismo andava “ossequiato” per aver interrotto la dittatura decisionale della FIGC e dei club del Nord, che avevano provato in tutti i modi a tenere spaccata l’Italia del calcio. Il nome “Internaples” andava cambiato, e anche la vera denominazione “Internazionale Naples” ricordava l’Internazionale comunista, avversaria politica del Fascismo. Il presidente suggerì allora la più opportuna adozione del semplice nome italiano della città, che non avvenne il 1 agosto 1926, data trascritta erroneamente da qualche cronista dell’epoca e ripetuta a cascata negli anni, ma il 25. Un articolo de Il Mezzogiorno del 12-13 agosto (5) annunciò che in serata, presso la sede dell’Internaples in piazza della Carità, si sarebbe tenuta un’assemblea dei soci per votare le modifiche allo statuto, per presentare una lista di nomi che potessero affiancare Ascarelli, Reale e gli altri dirigenti nel Consiglio Direttivo e per discutere probabilmente del “nome migliore da dare alla Società”.

Una nuova assemblea dei soci in sede (non al ristorante D’Angelo, come si narra) si tenne il 25 agosto, raccontata il giorno seguente da “Il Mezzogiorno” del 25-26 agosto (6), rivista su cui i napoletani, da un trafiletto intitolato “L’Internaples muta il nome in A. C. Napoli […]” poterono apprendere del cambio di denominazione e dell’ingresso di nuove figure facoltose nel Consiglio Direttivo: “La Società, da oggi in avanti, si chiamerà, in luogo di Internaples, Associazione Calcio Napoli. […] È bello pertanto, è bellissimo, che all’appello dell’A. C. Napoli, figure bellissime delle classi più elevate di Napoli abbiano accettato di essere al fianco di Giorgio Ascarelli e degli altri bravi dirigenti dello scorso anno […]”. Non fu una fondazione, evidentemente, tanto più che nella rosa approntata per la stagione 1926-27 figurarono molti elementi della stagione precedente, compreso Attila Sallustro, destinato a diventare presto l’idolo dei tifosi.

Come stemma sociale fu scelto un cavallo sfrenato, il cosiddetto “Corsiero del Sole”, antichissimo emblema della città di Napoli, che riprendeva il soprannome dei calciatori dell’Internaples, detti i “poulains”, i puledri.

La testimonianza del fatto che l’A.C. Napoli è di fatto nato nel 1922 la ereditiamo dal successore alla presidenza del defunto Ascarelli, Giovanni Maresca di Serracapriola, in una lettera del 1931 indirizzata all’ex calciatore azzurro Lesllie William Minter, pioniere inglese del calcio napoletano e già calciatore dell’U.S. Internazionale Napoli 1911. Osservando con attenzione la missiva, battuta ovviamente con una macchina da scrivere dell’epoca, si nota che di fianco alla data 5 marzo 1931 si legge: “[…] piccola ricompensa è la tessera che le offro, ma il ricordo della vecchia, modesta Internazionale che è diventata oggi il possente Napoli, gliela renderà certo gradita”.

Se si volesse essere rigorosamente filologici, si dovrebbe dire in realtà che non vi è neanche continuità societaria tra il Napoli del Ventennio e quello attuale, dacché l’A. C. Napoli cessò l’attività nel 1943 a causa della guerra. A far rinascere il calcio napoletano fu, nel gennaio del 1945, la nuova Associazione Polisportiva Napoli, che un anno più tardi riallacciò i fili con il passato assumendo la storica denominazione di Associazione Calcio Napoli. Il 25 giugno del 1964, tra sali e scendi dalla A alla B, il Napoli, soffocato dai debiti, cambiò ancora denominazione in Società Sportiva Calcio Napoli, sodalizio decretato fallito il 2 agosto 2004. Il titolo sportivo fu acquisito il successivo 6 settembre da Aurelio De Laurentiis, che scelse la provvisoria denominazione “Napoli Soccer”. La precedente fu ripristinata il 24 maggio 2006, con l’acquisizione del marchio e dei trofei più importanti della storia azzurra; una storia oggi centenaria, anche se lo stesso club e i tifosi la festeggeranno con quattro anni di ritardo.


Se ti piace l’argomento, leggi Dov’è la vittoria ed.2022 (Angelo Forgione – Magenes)

Napoli che votò monarchia nel ’46 cancella Vittorio Emanuele III ma Emanuele Filiberto non ci sta

Angelo Forgione per Napoli freepress È in dirittura d’arrivo il percorso iniziato nel 2015 dalla giunta De Magistris per il cambio toponomastico della strada prospiciente il Castel Nuovo, sottratto a Vittorio Emanuele III e assegnato a Salvatore Morelli, liberale pugliese, massone e avversario di Ferdinando II di Borbone. Un passaggio di consegne non troppo rivoluzionario nei significati politici ma certamente clamoroso per l’importanza del personaggio spodestato, il terzo re dell’Italia unita. In suo soccorso è giunto il discendente Emanuele Filiberto, con una lettera pubblicata sulle pagine de Il Mattino in cui è contenuto il lamento indirizzato al sindaco di Napoli per la decisione, inoltrandosi in un vicolo cieco della storia, una strada senza uscita.
Il principe basa la sua dolente rimostranza sui risultati del referendum istituzionale del Giugno 1946, allorché la monarchia ebbe a Napoli quasi l’ottanta per cento dei consensi, e sul fatto che per circa un decennio, fino ai primi anni Sessanta, un partito dichiaratamente monarchico governò la città. Due furono i motivi di quel coro partenopeo pro-Savoia che ancora oggi fa discutere l’Italia intera.
Primo motivo fu il retaggio storico dei napoletani, storicamente legati alla forma monarchica e poco inclini a quella repubblicana. Ospitare un re in città nutriva ancora l’antico ricordo di una capitale e di un regno ormai scomparsi, un regno che aveva portato il nome della città stessa. Strano a dirsi, ma Vittorio Emanuele III aveva mostrato amore per Napoli, la sua città di nascita. Ne parlava ottimamente il dialetto, e del resto qui era stato messo a mondo l’11 novembre del 1869, e alla Scuola militare “Nunziatella” era stato allevato. Conosceva anche il piemontese ma, ancor più strano a dirsi, non amava troppo il Piemonte. Prima di ereditare il trono d’Italia, era stato il Principe di Napoli, titolo nobiliare affascinante per la gente della città, quantunque fosse subalterno e simbolo di una chiara sudditanza poiché spettante al primogenito del Principe di Piemonte, ovvero dell’erede al trono d’Italia. Quel titolo, sin dall’annessione del Sud al Regno di Sardegna, aveva avuto sempre l’intento di rafforzare fra i napoletani il sentimento patriottico di matrice piemontese.
Un altro fattore, secondario ma non poco incisivo sulla maggioranza bulgara dei monarchici napoletani e del resto del Mezzogiorno, fu rappresentato dalle manipolazioni politiche del ministro dell’Interno, il repubblicano piemontese Giuseppe Romita, che orchestrò le prime elezioni amministrative dopo la dittatura fascista in modo da mettere in secondo piano l’espressione dei meridionali. Quelle consultazioni si svolsero, fatto fondamentale, poco prima del referendum, ma non dappertutto. Le votazioni furono distribuite non in una sola tornata ma, irregolarmente, in due momenti, il primo in primavera e il secondo in autunno, a distanza di mesi, in modo da piazzarvi in mezzo proprio il più importante referendum del 2 e 3 giugno per scegliere tra la monarchica e la repubblicana. Il clima politico di quei mesi lo espresse il socialista Pietro Nenni: «O la repubblica o il caos». Liberata l’Italia dal Nazifascismo e dalla furia distruttiva anglo-americana, bisognava liberarsi anche dei Savoia.

romita

I napoletani e tutti i meridionali, quindi, si videro pure aggirati ed estromessi dalle scelte politiche, tutte ormai dominate dal “vento del Nord”, definizione coniata in quei frangenti per definire la spinta politica settentrionale alla destituzione della monarchia e alla svolta democratica, accusando la strategia del ministro Romita, da lui stesso spiegata in seguito: mettere in minoranza il Sud, storicamente legato alla forma monarchica, facendo votare immediatamente il Nord alle amministrative prima che si votasse per il referendum, il quale si sarebbe svolto con i primi risultati, prevedibilmente filo-repubblicani, delle elezioni amministrative nel Settentrione. Furono mandate molto presto al voto locale le città di tendenza repubblicana, Milano compresa, la più filo-repubblicana, quella che era stata la sede in Alta Italia del Comitato di Liberazione Nazionale e che, a guerra finita, risultava a tutti quale primaria roccaforte del nuovo corso politico repubblicano. I milanesi votarono il 7 aprile, mentre si fecero votare dopo il referendum i napoletani, il 10 di novembre, sette mesi più tardi, come un po’ tutte le città del Sud, tendenzialmente filo-monarchiche, evitando così che un risultato anti-repubblicano potesse condizionare altre città nella consultazione sull’istituzione statale.
Il referendum spazzò via, dopo ottantacinque anni di regno indegno, la Corona sabauda, colpevole negli ultimi venti di aver dato il potere al Fascismo e poi di aver abbandonato la nave fuggendo dalla Capitale. A pesare di più fu proprio la volontà delle regioni settentrionali: in tutte le province a nord di Roma, tranne Cuneo e Padova, prevalsero le preferenze per la repubblica. Nelle restanti a sud, tranne Latina e Trapani, vinsero quelle per la monarchia. Ancora una conferma di quanto fosse nettamente diviso il Paese. Milano si espresse in gran maggioranza, per quasi il settanta per cento, a sostegno della forma repubblicana. Napoli si proclamò la città più monarchica d’Italia, con un risultato record che sfiorò l’ottanta per cento, ma in realtà non tutti i votanti credevano veramente nel Re come rappresentante unitario della nazione. Per alcuni, più che di effettiva affezione ai Savoia, si trattò di dare uno schiaffo alla classe politica settentrionalista che marginalizzava il Sud da ormai ottant’anni e di un’espressione di protesta contro un Nord guidato da Milano che influenzava le scelte e decideva le sorti dell’Italia.
A risultati accertati, tra mille polemiche di brogli, il fronte monarchico del capoluogo campano insorse in via Medina, dove si trovava la sede del Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti. Sotto ordine giunto da Roma, la polizia sparò ad altezza d’uomo. In nove persero la vita e undici tra i circa centocinquanta feriti morirono in agonia, senza processo e giustizia. Per placare gli animi e “risarcire” la città, il 28 giugno l’Assemblea Costituente mise a Capo dello Stato un monarchico napoletano, Enrico De Nicola, eletto al primo scrutinio con circa il settantacinque per cento dei suffragi dopo aver votato egli stesso a favore della monarchia, convinto dalla necessità di assicurare un trapasso meno traumatico possibile al nuovo sistema e di proporre ai filo-monarchici meridionali una figura capace di riscuoterne il gradimento.
Nella sua lettera, Emanuele Filiberto scrive anche che “la storia non si affronta a colpi di censura” e che “le rimozioni toponomastiche sono una forma tipica di ogni sistema illiberale che pensa di sviare il dialogo con il proprio passato a colpi di bianchetto”. È esattamente il presupposto per cui condannare la cancellazione della toponomastica borbonica operata dai suoi antenati, a partire dall’elegantissimo corso Maria Teresa in corso Vittorio Emanuele, pure rovinato da un secondo tratto post-unitario verso la Cesarea edificato in spregio alla vista panoramica che i Borbone avevano preservato sul primo, e la differenza la si notare a vista d’occhio. Furono proprio i Savoia a cancellare per primi i nomi di quelle strade che erano intitolate alla dinastia decaduta, abbattendo gli stemmi gigliati e apponendo lapidi e statue per l’edificazione della nazional piemontesizzazione. Il giglio del granducato e il leone di San Marco lo lasciarono in bella vista sui palazzi di Firenze e Venezia, ma a Napoli lo scudo sabaudo lo sostituirono a ogni stemma gigliato delle Due Sicilie, magari coperto, come l’effigie reale borbonica posta sull’arco scenico del Real Teatro di San Carlo, poi riscoperta e ripristinata nel 1980. Impossibile ripristinare il palco reale, marchiato a rilievo dalla croce sabauda, usurpatrice della magnificenza della bellissima tribuna coronata.
Emanuele Filiberto dovrebbe sapere almeno che il suo Vittorio Emanuele III era segretamente legato alla Gran Loggia d’Italia, avvalorata da una comunione nazionale in una Conferenza mondiale dei Supremi Consigli di rito scozzese, e che fu quella loggia ad accreditare Mussolini presso le importanti massonerie britanniche e americane. Ma quando il Duce si oppose alle organizzazioni massoniche, queste gli misero contro il Re d’Italia, il quale ne ordinò l’arresto nel 1943, sostituendolo col massone Pietro Badoglio. E se l’amata Napoli, la città più bombardata d’Italia, fu rasa letteralmente al suolo, con morti e conseguenze sociali ancora oggi drammaticamente vive, fu anche a causa di quel re pupazzo, Vittorio Emanuele III, che concordò e siglò segretamente l’armistizio con gli Alleati anglo-americani a luglio, ma l’accordo fu reso noto solo qualche mese dopo per insistere ancora nella strategia psicologica finalizzata a stimolare la disapprovazione popolare nei confronti di Mussolini per la decisione di seguire la Germania di Hitler in guerra. Il piano, concertato tra Washington e Londra, fu accettato in modo occulto anche dalla Casa Reale a Roma e, soprattutto, dalla Massoneria italiana in cerca di riscatto. Tutti corresponsabili di immotivate vessazioni sulla pelle e sulle vite della popolazione, Vittorio Emanuele III in primis.
Emanuele Filiberto avverte infine che Napoli ha molti problemi più urgenti e prioritari della crociata toponomastica, perché tanti giovani non trovano un lavoro e la criminalità organizzata non accenna a deporre le armi contro lo Stato. Drammaticamente vero, ma tutto ebbe inizio con l’invasione sabauda al Sud, con la cancellazione di Napoli Capitale, con il patto scellerato con l’allora contenibile camorra voluto dell’amico di famiglia Garibaldi, usato e poi licenziato a lavoro ultimato, e con il cagionato inizio dell’emigrazione.
Emanuele Filiberto si accontenti dello scippo del parto della pizza “margherita”, dazio pagato per pubblicizzare la salubrità dell’acqua e dei cibi assicurata dopo il colera del 1884 dal nuovo acquedotto del Serino. Si accontenti dell’efigie marmorea dei Savoia all’ingresso di Palazzo Reale, dove una statua, quella di un suo avo, è l’unica minacciosa con spada sguainata. Si accontenti di ciò che ancora è intitolato alla sua casata, ed è sempre tanto, finché il tempo non lo spazzerà via inesorabilmente, perché per Umberto I, che finì ammazzato al quarto attentato dopo aver seminato malcontento in lungo e in largo, e per il minaccioso Vittorio Emanuele II si potrebbe suonarla come per “sciaboletta”. È verissimo che la storia non si censura, e infatti la si deve raccontare a fondo, soprattutto quando risulta manipolata per processo di edulcorazione.

Cosa c’è dietro la guerra tra i sindacati e il direttore della Reggia di Caserta

Angelo Forgione “Il direttore della Reggia lavora troppo e crea problemi”. Questo, in buona sostanza, il messaggio diffuso dai titoli che nei giorni scorsi hanno riportato la denuncia dei sindacati UIL, USB e UGL nei confronti dell’operato del bolognese Mauro Felicori, dirigente massimo della Reggia di Caserta dallo scorso ottobre, nominato ad agosto da Dario Franceschini, ministro ai Beni Culturali del Governo Renzi. Proprio Matteo Renzi ha dato il suo corposo contributo alla polemica, fattasi nazionale, lanciando i suoi strali con un post su Facebook: “L’accusa sembra ridicola, in effetti lo è. I sindacati che si lamentano di Felicori, scelto dal governo con un bando internazionale, dovrebbero rendersi conto che il vento è cambiato. E la pacchia è finita”. Il tutto condito da una radiosa foto con il direttore sotto braccio, scattata durante la sua primissima visita (nella vita) al complesso vanvitelliano.
Ma quanto c’è di vero in tutta questa faccenda che è apparsa da subito una paradossale boutade? Possibile che i sindacati abbiano potuto condannare l’abnegazione al lavoro di chi starebbe accompagnando la Reggia di Caserta al suo sacrosanto rilancio? Chi, tra coloro che hanno sparato la notizia liofilizzata, cioè ritagliando 3 righe da un carteggio che ne contiene circa 70, ha letto il comunicato per intero prima di occuparsene? Forse neanche lo stesso Renzi. O forse sì, visto che la nota era indirizzata al capo di gabinetto del ministro Franceschini. Fatto sta che la denuncia, leggendola per bene, ha ben altro significato. Certo, il bersaglio è sempre Felicori, ma la strumentalizzazione a scopi politici è evidente, condita del neanche troppo subdolo stereotipo del meridionale scansafatiche che si ribella al settentrionale stakanovista. E invece i sindacati hanno lamentato la carenza di personale e la mancanza di fondi, attribuendo a Felicori la colpa di non predisporre le condizioni necessarie di sicurezza per la Reggia al termine dell’orario di lavoro canonico. Vero o no, il senso è questo, e non quello che si è insinuato attraverso i media. Nel comunicato, si legge infatti che il Direttore disattende l’attuale legislazione che lega l’apertura degli spazi museali in funzione del numero degli addetti necessari ad una efficace tutela, proseguendo a non disporre che le sale del Museo aperte al pubblico siano regolarmente assegnate in consegna al personale della vigilanza e le sale non aperte al pubblico in consegna alla sottoguardia di turno siano chiuse a chiave”. Ancora, si apprende che l’Area della fruizione accoglienza e vigilanza si muove in piena anarchia senza avere una chiara gerarchia rispetto alla missione istituzionale (tutela e conservazione)”, e che “il Direttore permane nella struttura fino a tarda ora, senza che nessuno abbia comunicato e predisposto il servizio per tale permanenza. Tale comportamento mette a rischio l’intera struttura museale”. Il comunicato è evidentemente chiaro, e rende più aspro un malumore interno del personale di servizio nei confronti di Felicori per la sua volontà “di far transitare il personale AFAV (Assistenti alla Fruizione, Accoglienza e Vigilanza) verso gli uffici, adibendolo a mansioni amministrative”. Un malumore che forse doveva restare confinato tra le mura settecentesche di Caserta e il ministero capitolino di via del Collegio Romano, ma che qualcuno ha forse fatto divampare in un incendio per rispondere a fuoco amico, strumentalizzando l’orario di lavoro di Felicori (che a Caserta soggiorna senza la famiglia, rimasta a Bologna) per neutralizzare l’offensiva e mettere in difficoltà gli autori dell’attacco interno. Del resto, i sindacati sono in guerra con il Direttore praticamente dal suo insediamento, e quest’ultimo comunicato è datato 22 febbraio, ma è stranamente venuto fuori con una decina di giorni di ritardo, a scoppio davvero ritardato.
Cosa sta succedendo realmente alla Reggia di Caserta? Felicori lavora bene o i sindacati hanno le loro buone ragioni? Difficile capire la verità. Di certo, il Real Palazzo e i suoi giardini sono diventati non solo il simbolo renziano della lotta ai sindacati ma anche del rilancio culturale del Sud. Che sia rilancio reale, è troppo presto per capirlo, ma è altrettanto certo che sia un rilancio cavalcato per mera propaganda politica. Secondo i dati del MiBact, in una generale e improvvisa ripresa dei musei italiani, la Reggia è risultato il decimo per affluenza del 2015, con un +16% rispetto all’anno precedente (trend positivo già prima dell’insediamento del direttore bolognese), e lo stesso Felicori ha in questi giorni annunciato che i visitatori, nei primi mesi del 2016, sono aumentati del 70% rispetto ai primi dello scorso anno. Eppure i sindacati di Caserta lamentano il persistere di pessime condizioni strutturali, tra servizi igienici rotti, assenza di scivoli per disabili in biglietteria, siepi incolte nei giardini e generale incuria. E lamentano che l’aumento dei visitatori non si traduca in alcun incremento di incassi, cioè che il Direttore miri solo all’affluenza ma non al miglioramento del complesso borbonico. E lamentano soprattutto, anche se non lo dicono chiaramente, che la nomina di Felicori sia stata frutto di un processo del PD di Renzi (e Franceschini) privo di credenziali di merito e competenza.
A noi innamorati della Storia, cui sta a cuore solo il rilancio del monumento più universale che vi sia in Italia, anche attraverso un personale all’altezza e il ripristino del decoro che merita, certe guerre non ci interesserebbero se non vi fosse di mezzo la politica e la propaganda di rilancio del Sud di cui si è fatto promotore Matteo Renzi, il quale la Reggia l’ha vista per la prima volta in tutta la sua vita a 41 anni, e per impegni istituzionali, mostrando uno stupore da turista per caso che non gli ha fatto certo onore. Il racconto del manager (di Bologna), nominato dal Governo in carica, che mette in riga i lavoratori (di Caserta) mentre la Reggia riprende quota di afflussi è perfetto per un Primo Ministro in cerca di consensi. E via coi luoghi comuni. Ma sta ad ognuno capire dove sia la verità, e quanto fumo invece si alzi tra lotte intestine e guerre politiche. Nessuno però si permetta di farlo sulla pelle dei meridionali, sulle cui braccia e fatiche si è retta e si regge la storia del Nord e d’Italia. La differenza tra “il Direttore lavora troppo […]” e “il Direttore permane nella struttura fino a tarda ora […]” è sostanziale e indicativa.

Lettera di un turista vicentino: “Torno al Nord, sono triste”

Scrivo questa mia semplice lettera solo per dire perché amo Napoli e la napoletanità.
Dove abito io, nella provincia di Vicenza, Napoli e i napoletani non sono ben visti. Eppure il sottoscritto da Napoli e i napoletani ha ricevuto solo momenti di gioia. Dalle mie parti dicono che i napoletani sono gente sporca e pronta a fregarti. Niente di più falso! È vero invece che dove abito io, se muori, ti trovano solo quando i vicini sentono la puzza del cadavere.
Adoro la napoletanità, nel cuore, nell’arte, nel cibo, nella musica. Come disse il grande Lucio Dalla, se ci fosse una puntura intramuscolo con dentro la napoletanità, io la farei anche se costasse duecentomila euro, pur di parlare e ragionare come fa da millenni questo popolo pieno di risorse umane, che anche nei momenti difficili riesce sempre a sorridere e se ne esce sempre con qualche battuta. Ho la sensazione che i napoletani abbiano nel sangue la felicità, e nonostante i tanti problemi non permettono mai di farti sentire triste oppure un estraneo.
Passeggiare per Napoli, osservare le bellezze di questa città, mangiare una pizza, magari in piedi e senza troppe regole, col pomodoro che schizza, parlare del Napoli, sorseggiare un caffè, osservare la teatralità della gente e l’amore che ti trasmette ti fa sentire un privilegiato. Non esiste una città che ti regala queste emozioni. Quando arrivo a Napoli, con la mia dolce fidanzata, sono pieno di gioia, perché qui il mondo è davvero diverso, ci sono i colori della vita. Da noi, invece, l’unico colore che ci attanaglia anche il cuore e l’anima è il grigio! Come se il grigio fosse un colore. Anche le persone da noi sono grigie, tristi, con poca voglia di sorridere. Che strano, a volte mi chiedo come fanno ad attaccare una città così bella che ha ancora un cuore, che sa ancora emozionarsi per una partita di calcio. Sicuramente l’invidia!
Napoli per me è risate, gente che parla, magari che fa anche confusione, ma è una città che non si può che amare e fermarsi a guardare e ad ascoltare. Ti fa sentire più ricco dentro.
 Pur abitando al Nord, figlio di meridionali, Napoli è sempre un riferimento. Spesso combatto tutti i giorni per difendere questa splendida città dai soliti luoghi comuni.
I più grandi artisti sono nati qui: Totò, Troisi, De Filippo, Pino Daniele, Sergio Bruni, ecc. E pure le canzoni più belle, e non passano mai di moda. 
Se ti innamori di questa città, fai di tutto per difenderla. Chi ha sentimento e cuore, dopo un po’ per forza di cose diventa un po’ napoletano. Perché puoi girare anche tutti i posti del mondo, ma non avrai mai visto il mondo come a Napoli.
 E se chiudi gli occhi senti che Napoli ti sta abbracciando e ti accoglie fra i suoi figli.
Andate a Napoli e ve ne innamorerete. Non ascoltate la gente che infanga una città che ha visto solo sulle cartoline. Io devo tornare a casa, e mi si stringe il cuore, mi viene da piangere, mi sento triste. È proprio vero che quando si lascia Napoli si piange. Sono lacrime di tristezza, ma nello stesso tempo posso dire che ho provato la felicità, perché sono stato nella città più bella del mondo!

Francesco Guarino
Arzignano

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C’è puzza di razzismo a Torino, meglio avvisare Abete.

Angelo Forgione – Dal giorno dell’introduzione delle norme contro il razzismo che consentono la sospensione delle partite di calcio in caso di cori e striscioni razzisti ho avviato una battaglia per denunciare come tali norme non tutelassero i napoletani e per sollecitare il capitano del Napoli a indicare all’arbitro l’applicazione del regolamento. Puntualmente inapplicato.
Ora finalmente pare che qualcuno abbia ascoltato, anche perchè l’anno scorso, allo Juventus Stadium, se ne erano viste e sentite di cotte e di crude, e nessuno aveva battuto ciglio. Dunque, meglio mettere i vertici del calcio sull’attenti. Ci hanno pensato i senatori Antonio Gentile, Giovanbattista Caligiuri, Giuseppe Valentino, Francesco Bevilacqua e Vincenzo Speziali (PdL) che, proprio nel giorno delle veementi proteste britanniche sostenute dal Premier David Cameron per il comportamento razzista dei tifosi serbi nel match della loro under 21 contro l’Inghilterra, hanno chiesto in una lettera al presidente della FIGC di dare disposizioni rigide affinchè l’arbitro designato per Juventus-Napoli sospenda la partita, temporaneamente o definitivamente, in caso di striscioni o cori di contenuto razzistico contro Napoli e il Meridione.
«In passato – hanno scritto i senatori – sono stati tollerati striscioni come “benvenuti in Italia”, “La vergogna dell’Italia siete voi” oppure “Vesuvio erutta per no” che non hanno nulla di sportivo e che offendono non solo una grande capitale culturale europea, ma l’intero Sud. Il regolamento calcistico internazionale prevede durissime sanzioni contro cori e ingiurie o striscioni di carattere razzistico, sia per quanto riguarda la pelle, sia per quanto riguarda le provenienze territoriali che, purtroppo, ancora oggi sono oggetto di sfottò vergognosi. Invitiamo la società sportiva calcio Napoli – conclude la nota dei senatori –, in caso di reiterazioni di questi comportamenti e di atteggiamenti omissivi da parte dell’arbitro, ad abbandonare il rettangolo di gioco: non si possono più tollerare offese al Sud e all’Italia che è unica ed unita».
Chiamatela pre-campagna elettorale, chiamatela ingerenza politica, ma l’importante è che anche dal Senato sia arrivato uno squillo ad Abete. Certo, se s’impegnassero anche per togliere Napoli e il Sud dalla condizione coloniale in cui si trovano non sarebbe cosa sbagliata.

Sono di Vicenza ma mi sento Napoletano

lettera di Francesco, un Napoletano del Nord

Sono nato in provincia di Vicenza, da genitori originari di Solofra (AV) e sono da sempre innamorato di Napoli e della napoletanità. Certo, il sangue meridionale che mi scorre nelle vene avrà influenzato, ma la mia passione va oltre la città, la squadra di calcio, la musica, la gastronomia, etc.
Tutto ciò che è napoletano mi colpisce e mi trasmette sempre sensazioni piacevoli. Ogni volta che vengo a Napoli, mi sento felice perchè sento questa città viva, piena di vita, con tanti problemi ma che riesce sempre ad essere positiva. La gente è diversa, è GENTE ‘E CORE, come si dice. Da me è tutto più triste, la gente nonstante sembri stare in un contesto migliore è “morta” dentro. Da me si vive TRISTI; a Napoli invece è bellissimo passeggiare, fermarsi a guardare dei paesaggi che sembrano delle cartoline naturali, nell’aria si sentono voci, traspare la voglia di vivere, ma anche tanta solidarietà che solo in un contesto difficile si riesce ancora a trovare.
Non sopporto quanto parlano male di Napoli e dei napoletani, la città va difesa, sempre, quotidianamente, perchè ho l’impressione che Napoli sia troppo bersagliata ingiustamente, nessuno parla mai delle tante cose belle di Napoli, ma tutti vogliano far risaltare sempre le solite cose: camorra, rifiuti, delinquenza. BASTA!!!
Pur essendo nato al Nord (purtroppo), Napoli è la città più bella e tante volte quando sento o vedo ciò che rappresenta Napoli mi sento abbracciato da questa splendida città. Chi ha sentimento non può non amare e non essere colpito da questa città e da questa gente. Al Nord se vai in un bar e dici “buongiorno” e sorridi, ti guardano anche male, mentre a Napoli prendere un caffè diventa una chicchierata simpatica e piacevole con persone che fino ad un minuto prima non si conoscevano neanche. La cordialità, l’umanità del popolo napoletano è indescrivibile. Ogni volta che riparto da Napoli per tornare a casa mia (?) ho una tristezza nel cuore e le lacrime escono da sole, perchè so’ che nell’ambiente dove vivo non potrò percepire quel sentimento e quelle sensazioni che solo Napoli regala. A Napoli la gente vive ancora di passione e amore che al Nord sono valori ormai abbandonati. Perciò in ogni luogo difenderò sempre Napoli e sarò orgoglioso di sentirmi parte di questo popolo.
Poeti, scrittori, canzoni, paesaggi, cultura, teatro e tante altre cose rendono Napoli UNICA.
Ci sarebbe tanto da dire ancora, ma volevo semplicemente scrivere questa lettera per dire ai Napoletani che sono UN POPOLO SPECIALE.
Per sempre Napoletano!

Francesco Guarino
Arzignano (Vicenza)

Fischi all’inno, anche lo sponsor ci ha messo del suo

Fischi all’inno, anche lo sponsor ci ha messo del suo

da “Il Mattino”, un retroscena che non stupisce

La compagnia telefonica “garibaldina”, con i suoi spot risorgimentali, aveva calcato la mano ed era chiaro sin dal principio. L’effetto di simili campagne pubblicitarie ricche di retorica e, soprattutto, offese verso una certa etnia è stato sottovalutato soprattutto alla luce del fatto che l’azienda era lo sponsor delle principali manifestazioni calcistiche nazionali. Sui responsabili sono piovute vibrate proteste nelle scorse settimane ma l’ufficio stampa dell’azienda, pur prendendo atto di essere stata involontariamente indelicata, ha ritenuto di proseguire la programmazione puntando sull’ironia del progetto.
Ebbene, da IL MATTINO del 26 Maggio cogliamo e ripubblichiamo la lettera di un lettore che fornisce, ovemai ve ne fosse ancora il bisogno, ulteriore testimonianza del fatto che i fischi all’inno nazionale da parte dei napoletani non sono frutto di una qualche incosciente follia ma un atto ben cosciente di reazione al razzismo e alla reiterata offesa quarantennale negli stadi e centocinquantennale fuori, quest’ultima proveniente anche dalla proiezione in tv e negli stadi di uno spot che, come al solito, ha distorto i reali accadimenti storici scontrandosi con una sempre più inarrestabile consapevolezza degli stessi napoletani (e meridionali) non più disposti a subire bugie e offese.

“Cori razzisti degli juventini”
Mimì Ranucci (Napoli)
Il Mattino, Sabato 26 Maggio 2012 – pagg. 12 

Ero in curva a Roma la sera della finale di Coppa Italia, sin dalle 17, insieme alle prime migliaia di tifosi napoletani che incominciavano ad affollare lo stadio olimpico. Dalle 17 alle 21 abbiamo subito l’insopportabile visione di quel becero spot della Tim in cui Garibaldi induce i borbonici alla resa, previa paghetta di sms gratuiti. Ad ogni visione i tifosi juventini inveivano con cori razzisti nei nostri confronti. Per 4 lunghe ore i “piemontesi”, ispirati dal suddetto spot, hanno pensato di insultarci anche in quanto “borbonici”. Questa è stata l’escalation che ha prodotto una tensione culminata nei fischi all’inno di Mameli. Ciò solo per chiarire i fatti. L’episodio non giustifica la responsabilità del gesto dei “borbonici”, ma nemmeno la volgarità intellettuale dello spot.

lo spot originale

la parodia dello spot

Il messaggio dell’emigrante terremotato

Il messaggio dell’emigrante “terremotato”

Andrea e la sofferenza infinita

Tutto come anticipato da qui nei giorni scorsi. Dopo l’ennesimo furto al patrimonio Napoletano, Marino Massimo De Caro è stato arrestato ed era nell’aria. L’inno di Spagna è stato fischiato ed era nell’aria, con lo Stato che si è piegato alla volontà e al sentimento dei “fischiatori” accorciandone l’esecuzione. Ma oggi è più significativo pubblicare un messaggio di un napoletano residente a Mirandola, colpito dal terremoto in Emilia Romagna: Andrea, un ragazzo emigrante che qualche anno fa espresse a Carlo Alvino, Eddy Napoli e al mai dimenticato Guido Palligiano tutto il suo malessere (link in basso) per le condizioni di disagio sociale frutto di razzismo con cui convive in quelle zone.

Ciao Angelo.
Mi commuove il tuo ricordo di me! Solo ora sono risalito in casa per lavarmi velocemente/decentemente e controllare i danni. Qui molti fanno le toccate e fuga a casa per prendere le cose di prima necessità. I vigili ci hanno sconsigliato di risalire, ma vivere in auto e lavarsi a malapena nei bagni indecenti-pubblici è indicibile. Il portatile si è distrutto sotto i mobili, le crepe nei muri e sotto il soffitto non si contano, ma posso dirti di essere fortunato, molti non hanno più ne casa e ne lavoro, tutto crollato. Spero nell’abitabilità del mio appartamento… si vedrà. Solo da ieri alcune attività hanno riaperto, fino a poco fa sembrava il deserto.
Un fortissimo bacio a te, a Eddy Napoli e a voi tutti. Quando e se potrò risalire in casa ti contatterò, ti voglio bene come ad un fratello.

Andrea

Per ascoltare la testimonianza di Andrea:   parte 1   –   parte 2

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Ma io ce credo…

Ma io ce credo…

Ancora una lettera d’amore per Napoli. Annalisa da Sondrio

Ho letto le bellissime parole di Claudia e Marika e ho pensato: finalmente posso raccontarmi davvero e condividere le mie sensazioni con qualcuno che può capire. Non nascondo che leggere quelle parole mi ha commosso particolarmente, probabilmente perché per la prima volta non mi sono sentita “sola”!!! Forse è meglio che prima mi presenti. Sono Annalisa, anche se adoro farmi chiamare Annarè, nata e cresciuta in un paesino in provincia di Sondrio, quasi ai confini della Svizzera. Nessun parente al Sud… niente di niente!!! Eppure qualcosa di strano deve essere successo quando sono stata concepita. La mia passione per tutto ciò che rappresenta Napoli probabilmente è nata con me e cresciuta giorno per giorno, alimentata dalla mia curiosità e voglia di capire, di decifrare quegli intensi segnali che il cuore mi mandava in continuazione. Sapete, in questo momento mi tremano le mani, ho voglia di piangere!!  Per anni mi sono sentita “diversa” e ho custodito preziosamente dentro me questo singolare amore che mi ha accompagnata negli anni, regalandomi sensazioni indescrivibili. Quando ero ragazzina, mentre le mie amiche si divertivano andando in discoteca, io passavo le giornate ascoltando le canzoni di Nino D’Angelo, Gigi Finizio, Pino Daniele… oppure traducendo le poesie in napoletano di un libro che mi era stato regalato. Ovviamente la mia squadra del cuore veste la maglia azzurra, il colore della mia vita.
Qualsiasi cosa riguardi Napoli provoca in me delle sensazioni profonde, mai provate per nient’altro. È come se mi si aprisse un mondo parallelo, dove finalmente mi sento bene, a casa mia. E così, ogni volta che posso, chiudo gli occhi e scappo nel mio adorato mondo, tra le note di quella musica che dà un senso a tutto quanto. Alle scuole superiori c’è stata la svolta, un momento in cui ho capito che era molto di più di una semplice passione. Ho avuto la fortuna di avere un professore napoletano  che si divertiva suonando e cantando con noi ragazzi. Un giorno ha cantato e suonato con la chitarra la canzone “Napule è”. Per un momento tutto si è fermato, rapita da una miriade di emozioni devastanti. Non sono riuscita a trattenere le lacrime, veramente non ci ho nemmeno provato. Era tutto così magicamente estasiante. Così intensa l’emozione che mi è venuta la febbre alta. Un episodio che mi ha cambiato la vita!!!
Da quel giorno ho coltivato il mio amore fregandomene dei giudizi degli altri, orgogliosa della mia anima, della mia voglia di vivere e di amare. Fiera delle mie lacrime di commozione per tutto ciò che riguarda Napoli; di rabbia per dovermi spesso scontrare con una realtà troppo chiusa, dove regna pregiudizio ed ignoranza; di gioia per l’amore che provo e che gratifica la mia esistenza con un’aroma speciale.
Diventando grande ho realizzato anche il sogno di andarci fisicamente a Napoli, più di una volta (ero stanca di guardarla in cartolina). È meravigliosa ed io la sento parte di me! Non è solo un fatto di bellezza, è ciò che trasmette che la distingue da qualsiasi altra città. È una questione di profondità d’animo, di valori veri, di voglia di esserci e di donare, di porgere la mano sognando un mondo migliore. E finalmente ora lo sapete anche voi che qui, a 1000 km di distanza, c’è qualcuno che vi stima e vi ama, che lotta con voi e per voi, ogni giorno… per sempre.
Vi saluto e vi ringrazio per avermi ascoltata. E come dice la canzone …

MA IO CE CREDO
ANCORA CE CREDO
L’AMMORE  A NNUJE  CE PO’ SALVA’…

Annalisa Bigiotti

Si… sono una milanetana!

Si… sono una milanetana!

lettera di Claudia da Milano

Ciao a tutti! Il mio dannatissimo lavoro mi inchioda davanti al computer tutto il giorno, così la sera e nel fine settimana evito di mettermici davanti e per questo continuo a rimandare il momento che vorrei dedicare a scrivere questa lettera. Lo stimolo a mettere tutto da parte per dedicarmi a voi è arrivato dopo aver letto la bellissima dichiarazione d’amore per Napoli di Marika di Livorno. Le sue parole sono le stesse che avrei voluto scrivere io, mi ha fatto enormemente piacere capire che leggendo la sua lettera riconoscevo le stesse fortissime emozioni che provo anche io.
Io sto un po’ più su, infatti vi scrivo dalla “piattissima” Milano dove sono nata e cresciuta da genitori milanesi, figli a loro volta di genitori milanesi… insomma da generazioni circondata dai cosiddetti settentrionali.
PROVATE UN PO’ A INDOVINARE CHI E’ ARRIVATO A SCONVOLGERE LA NOSTRA VITA COME UN CICLONE? LUI…GIANLUCA, il mio compagno da quasi sette anni e naturalmente NAPOLETANO DOC! Il mio incontro con lui mi ha fatto uscire dai ristretti confini lombardi dopo 30 anni di vita in pianura, per aprirmi ad un “mondo totalmente nuovo e affascinante”, il mio cuore e la mia mente erano pronti al “salto” e così è stato amore…amore sconfinato e immediato.
Amore per lui prima di tutto ma così grande da generarne un altro differente ma non meno profondo, un amore che nutro per la sua famiglia e da lì si espande alla sua terra: alla città di Napoli e alla sua gente, alla cucina, al mare, al sole, al Vesuvio, al Golfo, al grande Napoli, all’aria che si respira laggiù e che ha un sapore completamente diverso.
L’amore per tutto ciò che riguarda Napoli e i Napoletani mi ha portato a diventare una accanita meridionalista, mi sono appassionata alla vera storia del Risorgimento Italiano attraverso la lettura di libri molto interessanti. Un po’ più difficile è diventare una brava cuoca…ma mi sto impegnando!
La tessera del tifoso del Napoli la custodiamo come il nostro documento più prezioso e spessissimo seguiamo il Napoli andando a San Siro, a Novara, a Bologna, a Genova dove è bellissimo assistere allo spettacolo della tifoseria che è sempre coloratissima e rumorosissima!
Nello stesso tempo voglio bene a  Milano e sono molto felice di vivere qui, anche Gianluca è felice e spesso mi dice che sente che Milano lo ha accolto come un figlio a dimostrazione del fatto che non sempre vince il ceco odio “separatista” neo barbarico di tanti cittadini del Nord. La nostra grande fortuna sta nel fatto che appena possiamo prendiamo il treno o montiamo in macchina pronti a macinare chilometri per raggiungere la nostra amata terra anche solo per un paio di giorni e anche se siamo tristi quando ripartiamo, siamo carichi e pieni di energia per affrontare le settimane che ci separano dal successivo viaggio.
Insomma la mia vita è cambiata, in meglio assolutamente e a ricordarmelo da qualche mese c’è un piccolo Pulcinella che stringe un cuore rosso tatuato sul mio avambraccio, lo esibisco fiera e fiera rispondo a chi mi chiede “Perché?”: perché amo un Napoletano, Napoli e tutto ciò che ci ruota intorno! E vi assicuro che MAI c’è stupore o sorpresa nella reazione delle persone quasi come se tutti sapessero che nel momento in cui vieni a contatto con il Sud…rimani “contagiata”, ti si appiccica alla carne, ti invade l’anima e ti riempie il cuore…Ora ho 36 anni… una vita stabile qui…ma un progetto che prima o poi si potrebbe realizzare… voglio vivere a Napoli!
Dopo quasi 7 anni di convivenza il mio Napoletano me lo sposo…a fine Settembre! Naturalmente a Napoli nella bellissima cornice del Maschio Angioino e poi tutti a mangiare una pizza!
Viaggio di nozze…. indovinate? Napoli… voglio scoprire ogni angolino che in questi 7 anni ancora non ho fatto in tempo a conoscere!
Un forte abbraccio a tutti

Claudia da Milano