Angelo Forgione – In un’intervista a Il Mattino del 27/7/14 Gerardo Marotta è tornato a prendersela con Ferdinando IV per il declino di Napoli e per il fatto che nelle scuole – e nelle università, aggiungo io – gli studenti non studiano Filangieri e Genovesi. È una grave privazione delle radici (anche da me denunciata in Made in Naples e in ogni presentazione del libro), ma cosa c’entra il Re Lazzarone?
Sempre rancoroso per la repressione della Rivoluzione Partenopea del 1799, Marotta definisce le dolorose cento esecuzioni degli intellettuali napoletani un “genocidio” ed è francamente troppo. Certamente al patibolo venne cancellata l’eredità del “nutrimento” che aveva costituito la linfa del secondo Settecento napoletano cui attinse il mondo intero, ma erano quelli uomini favoriti da Maria Carolina e accolti a Corte prima di preparare il grande tradimento. Un centinaio di uomini di élite puniti con la pena capitale non possono equivalere a migliaia di civili massacrati in battaglia dai francesi e dagli stessi repubblicani napoletani, pronti a colpiri alle spalle da Castel Sant’Elmo. Parlare di “genocidio” appare francamente una forzatura.
Marotta non può non sapere che quella cerchia di intellettuali napoletani di parte giacobina anti-monarchica non mossero un dito in quella rivoluzione, che fu voluta e protetta militarmente dalle truppe francesi per gli interessi di Parigi, prontissima a sottrarre risorse e arte in Italia. E non può non sapere che quegli stessi intellettuali furono bravi a teorizzare ma molto meno a praticare, perdendo il governo della città dopo soli sei mesi di isolamento e di completa sterilità riformistica, e perché non più protetti dalle truppe transalpine, indebolite dall’impasse di Napoleone in Egitto.
Fu davvero l’inizio della fine, come dice Marotta? Non andrei a quella data, e neanche al 1860, perché l’Italia è repubblicana dal 1946, e in settant’anni non ha avuto la volontà di risolvere i suoi problemi interni. Ce la vogliamo prendere ancora con le cento esecuzioni del 1799?
Genovesi e Filangieri non sono studiati a scuola e nelle università d’Italia, non del Regno di Napoli. Questa interminabile querelle intorno al 1799 continua a produrre danni e a confondere le idee perché gli uomini della Rivoluzione furono proprio quelli che deviarono il grande pensiero illuminista napoletano verso le idee del giacobinismo francese, snaturando proprio la dottrina innovatrice e maestra di Antonio Genovesi, che non era anti-monarchica. E lo stesso Gaetano Filangieri sostenne il primo ministro Bernardo Tanucci. l’Illuminismo partenopeo non va confuso con il giacobinismo napoletano, proprio il movimento che assorbì gli influssi francesi e snaturò la corrente realistica. Dico con fermezza che la storia di Napoli va analizzata con serenità e senza strumentalizzazioni, nostalgie e recriminazioni.