Le vessazioni degli automobilisti napoletani

Angelo Forgione – Ogni colonizzazione prevede che i colonizzati siano spremuti come bancomat. Oltre ai balzelli di benzina e tassa di possesso (e tangenziale a Napoli), gli automobilisti campani sono stati messi in condizione di pagare la RC auto più alta d’Italia, di avere paura di fare incidenti e di non denunciarli quando si verificano.
Con questa strategia, le società assicurative, quasi per intero del Nord, hanno abbassato artificiosamente il loro rischio, che ora è tutto a carico dei contraenti, e si sono garantite un esercizio più che vantaggioso. I campani, di fatto, non sono beneficiari di un onere a pagamento ma veri e propri tassati senza servizi.
Le truffe ci sono, e molte in Campania (secondo le statistiche dell’ANIA), ma questo è l’alibi per spremere i veri truffati, ovvero i tanti onesti che non provocano incidenti e vedono crescere continuamente il loro “premio”. La maggiore incidenza di truffe è compensata dalla minore casualità di incidenti, ora neanche più denunciati vista la psicosi generata. Ma il primo dato è enfatizzato mentre il secondo è insabbiato.
Inutile discutere di colpa generica quando questa la si fa scontare scientificamente agli innocenti. È la stessa differenza che passa tra il misero scippatore di Napoli e il ricco truffatore d’alta finanza di Parma.
E che dire dell’ennesimo aumento della Tangenziale di Napoli? Il problema non è il pedaggio, ma il costo del pedaggio. Gli scienziati del lucro lo aumentano con precisione svizzera mentre i transiti diminuiscono. Atlantia S.p.A. del gruppo Benetton di Treviso, la holding che gestisce gran parte della rete autostradale e la stessa Tangenziale napoletana, fa in modo di mantenere costante negli anni gli introiti. Le tariffe, dagli anni ’70, non servono più a ripagare l’investimento iniziale, e i costi di manutenzione costituiscono una percentuale molto bassa rispetto all’arricchimento dell’azionista privato, che ha trovato la gallina dalle uova d’oro.
Il 31 Dicembre del 2006 la tariffa era di 65 centesimi; dopo sette anni è salita a 95. Un aumento silenzioso e diluito nel tempo, oltre i parametri di rincaro. L’espediente sta nel fatto che la tariffa è soggetta ad incrementi omologati ai periodici aumenti autostradali. Proprio questo impone una distinzione perché un asse urbano non può subire l’identico incremento delle tratte autostradali, differenti per funzioni, finalità e utenze. Altro trucco sta nell’arrotondamento che fa scalare il balzello verso l’alto di 5 cent alla volta. È l’ennesima conferma di una vessazione continua senza possibilità di reazione da parte del popolo napoletano.
La gabella dura da 41 anni. La Tangenziale fu infatti progettata negli anni sessanta, in pieno boom economico, perché fosse un ponte viario da oriente a occidente. Il “balzello al casello” è un retaggio della sua costruzione. Un’infrastruttura ideata, progettata e realizzata con capitale interamente privato, primo esempio in Italia di project financing: 70% Iri, 15% Sme, 15% Banco di Napoli, senza finanziamenti dello Stato. La costruzione prima e l’esercizio poi, furono affidati alla “INFRASUD S.p.A.” del gruppo Iri-Italsat, con denominazione “Tangenziale di Napoli S.p.A.”. Gli investimenti iniziali furono senza dubbio notevoli e per sostenerli si adottò il pagamento del pedaggio. 300 lire nel 1972, anno di apertura al traffico, divenute praticamente 1.850. Un tributo dovuto per una convenzione della durata di 33 anni tra Anas e società di gestione firmata il 31 Gennaio del 1968 e scaduta nel 2001, quando proprio la società di gestione ritenne di non poter coprire le spese di manutenzione. La concessione è stata rinnovata nel 2008, con l’impegno da parte dell’azienda ad effettuare una serie di opere che giustificano il prolungamento del pedaggio. Necessità o espediente? Dovrebbe trattarsi di necessità perché nella proroga della concessione era prevista la realizzazione di un collegamento con l’asse occidentale che dovrebbe passare all’esterno della zona ospedaliera (pro utenti Ospedale Monadi) e uno spostamento più all’esterno dei caselli della stessa zona ospedaliera. Ma dopo cinque anni nulla è stato ancora messo in cantiere. Sta di fatto che per sette anni, dal 2001 al 2008, il pedaggio è proseguito nonostante fosse scaduta la convenzione e oggi, dopo 41 anni di esercizio, i costi iniziali sono stati abbondantemente ammortizzati.
Certo, l’arteria ha una manutenzione d’eccezione con una ripavimentazione costante, 65 telecamere di cui 34 nelle gallerie, tutor, una complessa sala monitoraggio, barriere fonoassorbenti e display informativi; sono poi 350 circa gli addetti tra casellanti e funzionari. Ma il pedaggio resta un’iniqua tassa a carico degli automobilisti napoletani come non accade in alcun’arteria cittadina d’Europa, oltre a rappresentare la principale causa della congestione del traffico, specialmente nelle ore di punta.
La Tangenziale è la più grande opera pubblica realizzata a Napoli nel dopoguerra, se si eccettua la costruenda nuova metropolitana. La superstrada urbana è una lunga striscia d’asfalto lunga 21 km che s’inerpica sulle colline di Capodimonte, dei Camaldoli e del Vomero per poi adagiarsi sulla zona flegrea verso Pozzuoli, raccordandosi infine con la Domitiana. Una strada ben progettata che sul piano tecnico-urbanistico è di livello superiore persino al G.R.A. di Roma e alle Tangenziali milanesi. Basti pensare alle soluzioni ardite utilizzate per adattare il progetto alla conformazione geologica dei siti stretti tra mare e collina: il viadotto di Capodichino, che per 1.360 metri “sorvola” il tessuto urbano, e la galleria che passa sotto la Solfatara sopportando una temperatura di 40°. Talmente solida che nel 1980 la struttura non riportò alcun danneggiamento dal terremoto e i giapponesi accorsero in massa a studiare il miracolo d’avanguardia.

Tutte le volte che Napoli è arrivata prima

Made in Naples sulle pagine di Cultura e Società de Il Mattino

Da Il Mattino di Domenica 14 luglio 2013, un articolo firmato da Ugo Cundari incentrato sul libro Made in Naples di Angelo Forgione. (clicca sull’immagine per ingrandire)

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Aggressione ai tifosi del Foggia? La devastazione parte dai pugliesi?

Angelo Forgione – Lungi da chi scrive difendere i soliti violenti, sempre di più, che si scannano col pretesto di una partita di calcio, ma meritano una revisione gli incidenti verificatisi Sabato 17 Novembre in via Caldieri, all’uscita della tangenziale del Vomero, dove è transitato un bus che stava portando decine di tifosi del Foggia allo stadio “Arturo Collana” per la partita con il CTL Campania valevole per il Campionato Nazionale Dilettanti. Le accuse sono piovute sui tifosi napoletani incolpati di una vile aggressione. Si è detto che gli ultras napoletani (?) hanno teso un agguato premeditato ai tifosi foggiani danneggiando il loro autobus e dando fuoco alle auto.
Sono passati cinque giorni in cui se ne sono sentite di cotte e di crude, ma nessuno si è preso la briga di analizzare le immagini amatoriali degli accadimenti che, se analizzate con maggiore attenzione, pare proprio facciano evincere qualcosa di diverso. Sembra che siano stati i tifosi foggiani a danneggiare con mazze e pietre alcuni motoveicoli sulla strada, provocando una reazione (non certo giustificata) dei napoletani. La stampa nazionale ha parlato univocamente di aggressori napoletani raggruppatisi all’improvviso e addirittura il Foggia calcio, attraverso un comunicato stampa, ha condannato l’aggressione e chiesto punizioni esemplari. Tutto l’ambiente dauno si è detto allibito e ha chiesto di scovare i responsabili di un’aggressione “immotivata”.
Immotivata? A vedere il video ripreso da uno stabile sulla strada si può avere un’indicazione sull’accaduto. Partiamo dal presupposto che è verosimile che chi ha documentato la cosa non era li fuori al balcone e sia stato attirato dai rumori. È altrettanto verosimile quindi che prima di accorgersi di quanto stava avvenendo e poi prendere la telecamera sia passato qualche minuto. Il filmato mostra chiaramente in partenza che il pullman dei tifosi foggiani è fermo, preceduto da un paio di  furgoncini bianchi di cui uno a bloccare il traffico. Proprio da quei furgoncini sono già scesi altri tifosi foggiani che visibilmente sono radunati sul fianco destro dell’autobus intenti a danneggiare alcuni scooter sotto tiro sul lato della strada, rovesciati e fatti oggetto di colpi con corpi contundenti. A 0:03 si vede chiaramente un uomo mentre sferra tre randellate ad uno dei motoveicoli per poi rientrare a bordo del pullman, e questo dimostra che è un foggiano. Non si riesce a capire se uno di loro abbia già inoltrato un fumogeno in una vettura condotta da un passante napoletano capitato li per caso e sfortuna, fermo in coda, che di li a poco vedrà la sua automobile andare in fiamme; o se lo farà qualcun altro scambiandolo per pugliese. Sta di fatto che i tifosi foggiani si sono spinti quasi fino alla rotonda, tant’è che a 0:06 si vede un uomo correre sul marciapiede per risalire sull’autobus dopo aver notato l’arrivo dei napoletani. A quel punto spunta dal fondo della strada, proveniente dalla rotonda, un’adunata locale richiamata da quella violenza gratuita che evidentemente già durava da qualche minuto. Anch’essi armati di mazze che corrono in direzione dei foggiani i quali, capito il pericolo, se la danno tutti a gambe rientrando di corsa sia a bordo del pullman già in movimento che del furgoncino bianco (cosa che si vede benissimo). Quando i napoletani raggiungono l’automezzo più grande lo colpiscono mentre l’autista mette tutti in salvo.
Detto che ciò che ruota attorno al calcio è argomento che disgusta sempre più, va rimarcato che questo caso ha assegnato ai napoletani colpe non proprie oltre a quelle della reazione ugualmente condannabile. Il video non mostra cosa sia accaduto prima, e non si capisce se vi sia stato già un contatto tra le due fazioni in precedenza, ma certifica che i napoletani sono sbucati (o riapparsi) a devastazioni da parte foggiana in corso. Dopo, testimoni anonimi raccontano di circa cinque “tifosi” foggiani che, una volta arrivati allo stadio, sarebbero scesi dall’autobus e avrebbero assaltato, armati, la caserma dei Carabinieri di via Gemito, costringendo gli occupanti a barricarsi dentro. Pare che anche il bar Diodato di Via Ribera sia stato devastato dai pugliesi.
Assistere all’indolenza o la malafede di chi non verifica con un minimo di intuito o correttezza i fatti per cercare di capirli spaventa e fa pensare sia per l’informazione che per la verità da acclarare sempre. Il giudice sportivo non ha preso decisioni, tutto evaporato, e viene da chiedersi che tipo di trattamento avrebbero avuto questi fatti se fossero accaduti in occasione di campionati maggiori. Al governo, alla Federcalcio e a tutte le leghe, maggiori e minori, consigliamo di rimettersi in discussione perchè la violenza avanza sempre più. Altro che osservatori e repressione.

La demolizione dell’ecomostro dell’Arenella

La demolizione dell’ecomostro dell’Arenella

Non sono bastati i tre giorni annunciati il 29 Febbraio scorso, ma va bene anche così. La fase definitiva di abbattimento dell’ecomostro dell’Arenella è iniziata stamane all’alba. Svincolo della tangenziale chiuso dalle 6:00 alle 10:00 per consentire la prima fase di demolizione (foto di Riccardo Siano).

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Abbattimento ecomostro Arenella, Forgione a “8News”

Abbattimento ecomostro Arenella: Forgione a “8News”

Vittoria e soddisfazione di V.A.N.T.O. su Canale 8

si ringrazia la redazione giornalistica di Canale 8 per aver gratificato la nostra battaglia di sensibilizzazione in collaborazione con Ecoradio che ha riacceso i riflettori sulla questione unitamente alle varie finestre televisive e giornalistiche sull’argomento nel corso degli ultimi quattro anni.

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Finalmente addio al “mostro” dell’Arenella

Finalmente addio al “mostro” dell’Arenella

una battaglia anche di V.A.N.T.O. finalmente vinta

Angelo Forgione per napoli.com
Finalmente! Dopo 25 anni, l’ecomostro dell’Arenella sta andando giù. Lo scheletro di 5 piani all’estremità della galleria sullo svincolo dell’uscita Arenella della tangenziale scomparirà per sempre dalla vista di automobilisti napoletani e turisti. E con esso anche il suo gemello nascosto all’altra estremità del tunnel. È partita l’auto-demolizione a carico dei proprietari. Ne avevo fatto una battaglia di V.A.N.T.O. a questo punto vinta e con grande soddisfazione, quando, dopo articoli, denunce  (e scatti fotografici tra macchine sfreccianti) collaborai con Ecoradio per chiederne l’abbattimento al Comune di Napoli con il supporto di Legambiente.

L’annuncio è stato dato dalla giunta De Magistris e dal procuratore aggiunto Aldo De Chiara, già protagonista della vicenda nel 1988 in qualità di pretore per l’antiabusivismo, che lo scorso Agosto chiese al Comune la trasmissione degli atti relativi al condono richiesto nel 1994 in occasione della sanatoria del primo governo Berlusconi. La demolizione rientra in un programma più ampio del Comune nei confronti di immobili sequestrati e piantonati dalla magistratura a difesa del territorio come bene comune.

video tratto da TMNews

Corteo identitario “Difendi Napoli, difendi il tuo futuro”

Corteo identitario “Difendi Napoli, difendi il tuo futuro”

Una delegazione di V.A.N.T.O. ha partecipato alla manifestazione “Difendi Napoli, difendi il tuo futuro”  del 4 Febbraio insieme ad altri undici movimenti e gruppi identitari non solo napoletani. Il cordone dei manifestanti, circa duecento persone, ha sfilato partendo da Piazza Matteotti per arrivare a Palazzo San Giacomo intonando cori per chiedere la bonifica delle aree inquinate della città, l’abolizione del pedaggio sulla Tangenziale, l’equiparazione delle assicurazioni meridionali a quelle del centro-nord, l’allentamento della pressione di Equitalia e, più in generale, per chiedere più giustizia per il Sud e per i cittadini del Mezzogiorno.
V.A.N.T.O. era presente con un grande striscione su cui era scritto “Sud: 150 anni di malaunità” e, pur recandosi sotto il Municipio per richiedere simbolicamente una politica sempre più attenta al popolo meridionale e fattività per il riscatto della città, si è astenuta dall’intonare alcuni cori contro il Sindaco De Magistris lanciati da altri movimenti e dai quali prende le distanze  per coerenza ideologica verso la propria “mission” non solo in funzione meridionalista ma anche in chiave di denuncia costruttiva del degrado urbano della città e del vilipendio della sua immensa cultura.

Ennesimo aumento Tangenziale: 90 CENTESIMI

Ennesimo aumento Tangenziale: 90 centesimi!

Cirino Pomicino: «1% d’aumento». Ma in realtà è del 6%…
la giunta De Magistris prenda posizione 

Angelo Forgione – È la più grande opera pubblica realizzata a Napoli nel dopoguerra, anzi l’unica prima della costruenda nuova metropolitana. Si tratta della Tangenziale di Napoli che consente di attraversare velocemente la città. Ma farlo, caso unico in Italia, non è gratuito.
Il 31 Dicembre del 2006 la tariffa era di 65 centesimi; dopo soli cinque anni sta per toccare quota 90. Un aumento intorno al 40%, silenzioso e diluito nel tempo, oltre i parametri di rincaro della rete autostradale. Il vero “espediente” da contestare sta appunto nel fatto che la tariffa è soggetta ad incrementi omologati ai periodici aumenti autostradali. Proprio questo impone una distinzione perché un asse urbano non può subire l’identico incremento delle tratte autostradali, differenti per funzioni, finalità e utenze. Altro trucco sta nell’arrotondamento che fa scalare il balzello verso l’alto di 5 cent alla volta. È l’ennesima conferma di una vessazione continua senza reazione del popolo napoletano, già sperequati con assicurazioni, accise di carburanti e bollo auto gonfiato.
Il presidente di “Tangenziale di Napoli” Paolo Cirino Pomicino dice che è obbligato dalla convenzione in essere e che l’aumento è dell’1 per cento e quindi contenuto. Ma la matematica, si sa, non è opinione, è 85 più 0,085 fa 85,085 cent. Ad arrivare a 90 si comprende che in realtà l’aumento in arrivo è del 6 per cento, e ogni commento su una speculazione continua è superfluo, così come ogni considerazione su alcuni politici e manager meridionali che dimostrano in questa maniera di essere “manovrati” dai poteri del Nord.
Più di 6 milioni di euro al mese derivano attualmente dallo stop al casello, e tanto basta a dare l’esatta portata dell’affare Tangenziale. Soldi che finiscono in buona parte al Nord, alla holding “Atlantia S.p.A.” controllata dalla famiglia Benetton di cui la mucca da mungere di nome  “Tangenziale di Napoli” fa parte.
La Tangenziale è proprio come un’autostrada, con tanto di caselli e pedaggi. Tant’è che la denominazione ufficiale è “Autostrada A56”. Eppure, nonostante tutto ciò gravi sulla vita quotidiana dei napoletani, quello del dazio è un problema “cronico” della città ormai assuefatta a questa gabella. Tutto ciò dura da 39 anni e nulla fa pensare che non sia per sempre.
Progettata negli anni sessanta, in pieno boom economico, perché fosse un ponte viario da oriente a occidente, la superstrada urbana è una lunga striscia d’asfalto lunga 21 km che s’inerpica sulle colline di Capodimonte, dei Camaldoli e del Vomero per poi adagiarsi sulla zona flegrea verso Pozzuoli, raccordandosi infine con la Domitiana. Una strada ben progettata che sul piano tecnico-urbanistico è di livello superiore persino al G.R.A. di Roma e alle Tangenziali milanesi. Basti pensare alle soluzioni ardite utilizzate per adattare il progetto alla conformazione geologica dei siti stretti tra mare e collina: il viadotto di Capodichino, che per 1.360 metri “sorvola” il tessuto urbano, e la galleria che passa sotto la Solfatara sopportando una temperatura di 40°. Talmente solida che nel 1980 la struttura non riportò alcun danneggiamento dal terremoto e i giapponesi accorsero in massa a studiare il miracolo d’avanguardia.
Poco meno di 300 mila transiti giornalieri, e chissà quanti di questi fruitori si siano mai domandati da cosa si motivato il pagamento del pedaggio in Tangenziale. Il “balzello al casello” è un retaggio della sua costruzione. Un’infrastruttura ideata, progettata e realizzata con capitale interamente privato, primo esempio in Italia di project financing: 70% Iri, 15% Sme, 15% Banco di Napoli, senza finanziamenti dello Stato. La costruzione prima e l’esercizio poi, furono affidati alla “INFRASUD S.p.A.” del gruppo Iri-Italsat, con denominazione “Tangenziale di Napoli S.p.A.”. Gli investimenti iniziali furono senza dubbio notevoli e per sostenerli si adottò il pagamento del pedaggio. 300 lire nel 1972, anno di apertura al traffico, divenute praticamente 1.400. Un tributo dovuto per una convenzione della durata di 33 anni tra Anas e società di gestione firmata il 31 Gennaio del 1968 e scaduta nel 2001, quando proprio la società di gestione ritenne di non poter coprire le spese di manutenzione. La concessione è stata rinnovata nel 2008, con l’impegno da parte dell’azienda ad effettuare una serie di opere che giustificano il prolungamento del pedaggio. Necessità o espediente? Dovrebbe trattarsi di necessità perché nella proroga della concessione è prevista la realizzazione di un collegamento con l’asse occidentale che dovrebbe passare all’esterno della zona ospedaliera (pro utenti Ospedale Monadi) e uno spostamento più all’esterno dei caselli della stessa zona ospedaliera. Si farà è solo una giustificazione su carta di una gabella da esigere ancora?
Sta di fatto che per sette anni, dal 2001 al 2008, il pedaggio è proseguito nonostante fosse scaduta la convenzione e oggi, dopo 39 anni di esercizio, i costi iniziali sono stati certamente ammortizzati.
Certo, l’arteria ha una manutenzione d’eccezione con una ripavimentazione costante, 65 telecamere di cui 34 nelle gallerie, tutor, una complessa sala monitoraggio, barriere fonoassorbenti e display informativi; sono poi 350 circa gli addetti tra casellanti e funzionari. Ma il pedaggio resta un’iniqua tassa a carico degli automobilisti napoletani come non accade in alcun’arteria cittadina d’Europa, oltre a rappresentare la principale causa della congestione del traffico, specialmente nelle ore di punta.

“Mostro” dell’Arenella verso l’abbattimento?

“Mostro” dell’Arenella verso l’abbattimento?

il procuratore De Chiara raccoglie la denuncia di V.A.N.T.O.

Angelo Forgione – Ho cominciato ad interessarmi a fondo dell’ecomostro dell’Arenella nel 2008 con articoli, segnalazioni e denunce, fino a coinvolgere in un dibattito radiofonico su Ecoradio il Comune di Napoli e Legambiente. Le informazioni raccolte che ricostruivano la storia di questo grande “mistero” napoletano rivelavano un ruolo fondamentale nella vicenda di Aldo De Chiara, nel 1990 Pretore per l’antiabusivismo e oggi Procuratore aggiunto di Napoli.
Ebbene, durante il mese di Agosto, lo stesso Aldo De Chiara per la sezione ecologia della Procura di Napoli ha provveduto a fare richiesta al Comune di trasmettergli gli atti relativi al condono edilizio richiesto nel 1994 per la sanatoria del primo governo Berlusconi. Il sospetto è che la richiesta possa essere stata insabbiata per non doverla bocciare e per non dover procedere ad emettere una ordinanza di demolizione. L’inchiesta, dunque, mira a far chiarezza per verificare la possibilità di procedere ad una sentenza di abbattimento del “mostro” di cemento che si para agli occhi di chi transita sul raccordo urbano della tangenziale. Chiaramente questa iniziativa mi felicita enormemente per l’interessamento alla vicenda ma soprattutto perchè, dopo più di 20 anni, pare si sia finalmente deciso di intervenire, e speriamo che sia davvero. Non solo per il fabbricato più evidente ma anche per gli altri due, più nascosti dietro la galleria.

articolo per napoli.com del Febbraio 2009


Quando Napoli era la città più pulita d’Europa

Quando Napoli era la città più pulita d’Europa
Nell’800 già si faceva la differenziata

di Angelo Forgione

Napoli città sporca, fotografata nel mondo come effigie della sporcizia e dei rifiuti. Che triste destino è questo per una città che qualche secolo fa era considerata capofila d’ordine e pulizia, e che aveva iniziato le popolazioni italiane persino all’uso del bidet!

Era Luglio del 2008 quando il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, affiancato del sottosegretario di Governo Guido Bertolaso, annunciava la fine della crisi, lanciando in pompa magna una campagna di decoro per farne la città più pulita e ordinata d’Italia. Nulla di tutto ciò si è verificato, né la fine della crisi né l’inizio di un’educazione al decoro che di fatto manca a una buona parte di Napoletani. Ma del resto di quale educazione si può parlare se le montagne di rifiuti ancora oggi invadono le strade della città e del suo hinterland?
Napoli non è questa, e non lo è stata nel periodo più fulgido, quando le sue strade del centro erano pulite e non si trovava neanche una carta a terra lungo la Via Toledo, considerata la strada più bella del mondo insieme a Broadway nell’ottocento. Sembrerà strano ma il culto della nettezza urbana e l’attuazione della raccolta differenziata non furono invenzione del nord opulento ma si iniziarono, e seriamente, proprio a Napoli prima dell’unità d’Italia, prima che altrove e per volontà di Ferdinando II di Borbone.

Lo si evince dalla “Collezione delle Leggi e dei Decreti del Regno delle Due Sicilie” in cui è possibile apprendere che il 3 Maggio 1832 l’allora Prefetto di Polizia borbonica Gennaro Piscopo ordinò quanto segue: «Tutt’i possessori, o fittuarj di case, di botteghe, di giardini, di cortili, e di posti fissi, o volanti, avranno l’obbligo di far ispazzare la estensione di strada corrispondente al davanti della rispettiva abitazione, bottega, cortile, e per lo sporto non minore di palmi dieci di stanza dal muro, o dal posto rispettivo».
Il prefetto diede disposizioni in merito alla differenziazione dei rifiuti aggiungendo che «questo spazzamento dovrà essere eseguito in ciascuna mattina prima dello spuntar del sole, usando l’avvertenza di ammonticchiarsi le immondezze al lato delle rispettive abitazioni, e di separarne tutt’i frantumi di cristallo, o di vetro che si troveranno, riponendoli in un cumulo a parte». Le “immondezze” dovevano essere prelevate nelle ore mattutine e trasportate fuori città «ne’ siti che verranno destinati».

Piscopo presentò un documento in dodici articoli che descrivevano le modalità della raccolta e le relative responsabilità e sanzioni. La pena era severa e poteva arrivare persino alla detenzione. Era tutta la questione igienica ad essere trattata; vigeva dunque il divieto di gettare a qualsiasi ora dai balconi «alcun materiale di qualunque siasi natura», comprese «le acque servite per i bagni». Fa specie e non poco che era assolutamente vietato «lavare o di spandere panni lungo le strade abitate».

Val la pena ricordare che anche Goethe, nel suo viaggio in Italia, aveva avuto modo di ammirare già nel 1787 il riciclo degli alimenti in eccesso che si attuava tra Napoli e le campagne tutt’intorno.

Ampliando l’orizzonte sul decoro di quell’antica capitale che non c’è più, è utile far riferimento ad alcune regole urbanistiche e paesaggistiche sempre attingibili dagli archivi. Una su tutte: la proibizione di edificazione sul lato panoramico del nuovo “Corso Maria Teresa”, poi ribattezzato dopo l’unità d’Italia “Corso Vittorio Emanuele”, concepito come una panoramica “tangenziale” che univa i due estremi della città dell’epoca. Oggi questa strada è panoramica solo nel tratto a valle del Parco Grifeo e in pochi altri piccoli tratti, deturpata da palazzi neanche particolarmente belli che impediscono la spettacolare vista del golfo.

Particolare cura era prestata alla protezione dei beni culturali: un decreto del 16 Settembre  1839 “fece obbligo di vigilare sulla conservazione dei monumenti e sui restauri perché non si alteri né si deturpi l’antico con lavori moderni”. Oggi invece l’arte contemporanea invade e offende i giardini di Palazzo Reale.

Non è da trascurare che, prima dell’unità d’Italia, Napoli era la città più popolosa con i suoi 447.065 abitanti, mentre Torino ne contava 204.714, Milano 196.109 e Roma 194.587. E se oggi la città partenopea è la più densamente popolata d’Italia con i suoi 8.315 per chilometro quadrato, questo lascia intendere che i problemi sono gli stessi di allora, ma con soluzioni e risultati ben diversi.

Di quella città pulita e ordinata non c’è più traccia, ma è forse il caso di recuperarla ad esempio per le nuove generazioni e per tutti coloro che credono che un’altra Napoli non c’è mai stata.

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