Van Aalderen: «L’Italia non può prescindere da Napoli»

Angelo Forgioneforgione_vanaalderen_maggio15Interessante appuntamento con Maarten Van Aalderen, presidente dell’Associazione Stampa Estera in Italia, alla scuola di giornalismo dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, in occasione della presentazione del suo libro Il Bello dell’Italia. L’inviato per l’Italia e la Turchia del quotidiano olandese De Telegraaf ha risposto alle domande degli allievi sulla professione giornalistica e ha accennato ai motivi per cui ha voluto parlare di Napoli nell’introduzione del suo saggio.

Nel video, un piccolo estratto della conferenza relativo ai passaggi sulla città partenopea.

Maradona o Messi? Diego superiore perchè “limitato”

Lombalgia e tossicodipendenza per l’unico vero rivoluzionario del Calcio

 

Angelo Forgione Il paragone tutto argentino tra Messi e Maradona spunta sempre fuori ad ogni magia di Lionel, colui che si è già assicurato un posto tra i grandissimi di tutti i tempi a suon di goal e dribbling, e con una carriera ancora tutta da completare. Ma spunta anche ad ogni flop della “pulce”, che da modo di evidenziare lo scarso carisma di cui è dotato.


Un dato è certo: Messi è evidentemente più incisivo di Maradona in fase realizzativa ma nel complesso Diego fu ben altra cosa per decisività e genialità. Fu lui che, venendo via da Barcellona, fece grande un Napoli mediocre, portandolo ai vertici del calcio nazionale e internazionale. Fu lui a vincere un campionato mondiale sostanzialmente da solo. A Messi tutto questo, al momento, manca.
Immaginiamo che oggi Lionel lasci il comodo e ricco Barcellona e si trasferisca all’Udinese (paragonabile per risultati al Napoli del 1984), club che, mettendogli vicino degli ottimi calciatori e non dei fuoriclasse assoluti, vinca lo scudetto in tre anni, in un campionato territorialmente spaccato in due da sempre. È questo quello che fece Maradona lasciando la Catalogna per Napoli. Immaginiamo che Messi diventi decisivo in nazionale come non lo è mai stato, a tal punto da vincere un mondiale praticamente da solo. È questo quello che fece Maradona nel 1986.
È inconfutabile che Maradona abbia reso il Napoli campione d’Italia e d’Europa e l’Argentina campione del mondo. E lo fece su una magica caviglia sinistra ricostruita dopo l’operazione chirurgica che gli salvò la carriera, messa a rischio dall’entrata killer del basco Goikoetxea. La memoria corta fa dimenticare anche la cronica patologia del “pibe de oro”, la lombalgia che lo costringeva a continue e logoranti infiltrazioni di cortisone grazie alle quali spesso riusciva ad andare in campo. Come se non bastassero gli handicap fisici, Maradona limitò se stesso con la sua tossicodipendenza, nata a Barcellona e trascinata ben oltre la fine della carriera. Quando riuscì a tenerla a bada dimostrò al mondo di poter scendere in campo con una decina di calciatori neanche eccelsi e vincere una Coppa del Mondo. Pensiamo allora a un Diego con la gamba mai operata, senza mal di schiena, lontano dalle droghe e “regolare” come Messi. Solo così conciato sarebbe risultato umano e avvicinabile, anche per i suoi avversari, che per fermarlo puntavano dritto alle sue gambe; Maradona non era né rispettato né tutelato, come lo è invece Messi, ed era un capopopolo per due popoli: gli argentini e i napoletani. “Ripagati” i primi, privati delle isole Malvinas dagli inglesi, “ripagati” anche i secondi, sottratti del rispetto dai settentrionali.
Messi, pur al 100% delle sue capacità fisiche e con la sua immensa classe, non ha fatto il Barcellona, zeppo di fuoriclasse. Anzi, si può sostenere che sia più Messi ad esser stato fatto dal Barça, il club che ha creduto nelle sue qualità garantendogli assistenza sanitaria quando, in età preadolescenziale, era effetto da un disturbo della crescita, facendolo guarire e maturare nella sua “cantera” e rendendolo il più brillante gioiello tra i tanti gioielli. Messi lo sa, ed è per questo che è grato al Barcellona, che è la sua casa, il suo club eterno. I paragoni sono solo un gioco per soddisfare chi vuol dare allo show-business un nuovo Re, un nuovo idolo massimo per i tempi moderni. La verità è che “la pulce” rievoca “el pibe”, ricorda le sue magie, ma non sarà mai Diego, l’unico vero rivoluzionario del Calcio, il Che Guevara del pallone, il calciatore inviso ai potenti che sovvertì ogni gerarchia e fece vincere il Napoli, un club storico d’Italia, ma pur sempre della periferia del Calcio mondiale. Fu proprio lui a dire nel 1995 «tutti dicono: “Questo è stato il migliore del Barcellona, questo è stato il migliore del Real Madrid, questo è stato il migliore del Chelsea…”. Io sono orgoglioso di essere stato il migliore a Napoli». Il migliore… del mondo… a Napoli, non il migliore del Napoli. Maradona si è riempito d’orgoglio per aver conquistato il trono e la gloria dal basso, smettendo la maglietta del ricco Barcellona, e mica per infilare quella della Juventus! Pur di fuggire dall’inferno catalano accettò alla cieca la maglia che Paolo Rossi aveva rifiutato qualche anno prima.
Diego era un antiaziendalista capace di dettare campagne acquisti a Ferlaino. Giordano e Careca, giusto per citare la storica Ma-Gi-Ca, li volle lui al suo fianco, e quelli lasciarono le loro squadre del cuore, la Lazio e il São Paulo, pur di giocare col più grande di tutti. Diego condizionò le convocazioni in nazionale del cittì Carlos Bilardo. E si mise contro i dinosauri della FIGC, della sua AFA e della FIFA, che gli fecero pagare tutto.
Messi è nel gotha del Calcio ma nel Barcellona più forte di sempre vi è nato, vi è cresciuto e vi “morirà”. Determina risultati e segna a raffica, più di Maradona, ma nel suo fortissimo club, e molto meno in nazionale. Delizia tutti gli amanti del Calcio nel mondo, ma non cambia gerarchie, non detta gli acquisti, non indirizza le convocazioni in nazionale e non ha il piglio del rivoluzionario. Diego fu un calciatore che sfidò e piegò le leggi della fisica e della logica, un calciatore che andò ben oltre il football. Insomma, Messi sarà pure un Carracci ma Maradona è un Caravaggio.

Paradossale Paolo Guzzanti: «il Piemonte non voleva Napoli e Roma ma se le ritrovò»

Sulle modalità con cui fu realizzata l’annessione del Regno delle Due Sicilie a quello di Sardegna ne abbiamo lette di varie correnti, ma quelle che propone Paolo Guzzanti in un’intervista su Il Fatto Quotidiano del 26 marzo le battono davvero tutte in quanto ad originalità e fantasia.
Alla domanda “Lei crede alla Trattativa Stato-mafia?”, il giornalista-politico ha risposto così:

«Certo. C’è stata. Questo è un paese mafioso che con la mafia ha sempre trattato. […]
Il Regno di Napoli fu concesso dalla camorra. I piemontesi erano sbalorditi. Non avevano nessuna intenzione di prendersi il sud di Italia e tantomeno la Roma papalina e si ritrovarono a gestire questo peso gigantesco. […]»

Vero che mafia e camorra si allearono con gli invasori, ma che tra loro non vi fosse una “trattativa” è in contraddizione con la risposta stessa, e che i malavitosi avessero imposto ai garibaldini di prendersi il Sud controvoglia è roba da farsi una bella risata.

L’inghilterra calunniava, il Borbone si difendeva

Angelo Forgione – Su Il Mattino di domenica 13 luglio Ugo Cundari ha commentato il Cenno storico delle opere pubbliche eseguite nel Regno di Napoli sotto l’augusta dinastia dei Borbone, rarità editoriale – col contributo di una mia postfazione – che illustra un lungo elenco di realizzazioni compiute dai sovrani borbonici e da Ferdinando II in particolare. Cundari scrive (giustamente) che il testo vide (probabilmente) la luce per volontà dello stesso Ferdinando II, citando l’editore, il quale, a sua volta, nella premessa scrive che si tratta (probabilmente) di “un’operazione di restyling dell’immagine pubblica voluta dalla dinastia, la quale doveva essere seriamente preoccupata di ristabilire un consenso che appariva corroso e minato”. La frase, così limitata, induce a pensare a una propaganda spontanea, mentre in realtà si trattò di autodifesa da quella che lo stesso editore chiama “propaganda contraria – prevalentemente di stampo anglosassone (vedi l’operato di Lord Gladstone) – che condusse una battaglia interna allo stesso Regno delle due Sicilie […], preparando uno schieramento favorevole a quelli che sarebbero dovuti apparire, quindi, liberatori del popolo da una secolare oppressione”. L’elenco del Cenno storico fu pubblicato con tanto di spese effettuate per dimostrare che l’immobilismo del governo borbonico non corrispondeva alla realtà dei fatti, e per contrastare la propaganda contraria di delegittimazione.
Cundari scrive inoltre che delle opere pubbliche di cui si parla nessuna fu progettata in certi territori, lasciati apposta fuori da ogni nuovo investimento. Non è specificato di quali territori si tratta. Erano quelli siciliani. In effetti, gran parte degli interventi riguardano il territorio continentale “al di qua del Faro”, e decisamente più rari – ma non inesistenti – furono i lavori compiuti in Sicilia. L’Isola, su cui insistevano gli interessi degli Inglesi, era il luogo da cui provenivano maggiori malcontenti e moti di rivolta, sobillati dai britannici, veri e propri destabilizzatori del Regno, ed è più o meno noto che la politica di governo attuata in quella zona fu, per così dire, mirata a un certo isolamento. Non a caso è lì che sarebbero sbarcati i Mille garibaldini.
Erano tempi di sotterfugi e grandi mire internazionali. Era l’epoca in cui si iniziava a scavare il Canale di Suez. Era il principio delle politiche economiche dei governi consegnate all’indebitamento bancario. Eppure le opere elencate furono effettivamente realizzate, senza particolare indebitamento. Il mio contributo alla pubblicazione vuole proprio dimostrare che quanto fatto, e fu fatto, non si avvalse dei prestiti bancari e non arrecò particolare aggravio per il popolo.

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Nuove rivelazioni sui misteri del principe di Sansevero

A più di duecento anni dalla sua scomparsa, Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, non smette di stupire. I misteri che ha celato nella Cappella di Santa Maria della Pietà nel cuore di Napoli, continuano ad affascinare appassionati e ricercatori che si dedicano allo studio delle sue controverse invenzioni. Alcuni di questi enigmi, grazie all’esito di recentissimi studi condotti da una équipe scientifica, ora hanno finalmente una soluzione, e saranno pubblicati in esclusiva nel numero di febbraio della rivista mensile Fenix diretta da Adriano Forgione con un articolo dello scrittore Maurizio Ponticello.
Per la prima volta, gli straordinari risultati dell’indagine saranno svelati al pubblico durante una conferenza stampa patrocinata dalla Provincia di Napoli, il giorno 12 febbraio 2014 alle ore 12:30, presso lo storico Caffè Gambrinus di Napoli in Piazza Trieste e Trento.
Al tavolo, coordinati dal caporedattore de Il Mattino Vittorio Del Tufo, saranno presenti il direttore di Fenix Adriano Forgione, il giornalista scrittore Maurizio Ponticello e il coordinatore della équipe scientifica che ha svolto la ricerca.

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Recensione di “Made in Naples” da “il Brigante”

Da il Brigante, magazine per il Sud del terzo millennio di Giammarino Editore, la recensione di Made in Naples pubbicata nel n.32 di dicembre 2013. Clicca sull’immagine per ingrandire.

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Joe Bastianich: «innamorato della cucina di Napoli». Ma cade sulla parmigiana.

joe-bastianich-la-vendetta-e-servita_partpAngelo Forgione Il popolare giudice di “MasterChef” Joe Bastianich, in occasione della manifestazione Eataly di Roma, ha confessato di prediligere la napoletana (ma anche la città) tra tutte le buonissime cucine d’Italia: «sono particolarmente innamorato della cucina di Napoli». Ma poi è cascato sulla parmigiana e sulla sua provenienza: siciliana o campana? «Io penso che sia una cosa siciliana, direi» (guarda il video da Repubblica.it). Risposta a sensazione, senza troppa convinzione. E il popolare quotidiano online ritiene svelato l’arcano. Macché!
Come ho scritto in Made in Naples, ne Il Cuoco galante del napolitano di origini pugliesi Vincenzo Corrado, il primo trattato scritto di cucina mediterranea (1773), compare una spiegazione per cuocere le melanzane come le zucchine, alla napoletana (a Napoli si fa anche la parmigiana di zucchine; ndr). Spiegazione poi ripresa dall’aristocratico napoletano Ippolito Cavalcanti nella Cucina teorico-pratica (1839), dove è proposta la prima ricetta delle “Milinsane alla parmegiana, gloria culinaria di Napoli, e poi anche di Sicilia, giacché i due regni, in quegli anni, erano unificati sotto i Borbone. Sono infatti tanti i punti di unione tra la cucina napoletana e quella siciliana, a cominciare dalla rosticceria, innovata dai monzù, napoletanizzazione dei cuochi francesi monsieur, voluti a corte dalla regina Maria Carolina. Fu proprio la sovrana la vera ispiratrice della fortunata fusione della cucina francese con la tradizione napoletana e siciliana, capace di regalare ai posteri incredibile varietà e rinomata bontà. Sartù, arancini e supplì furono proprio una vittoria degli chef d’Oltralpe che riuscirono a imporre con grande difficoltà il riso alla pastaiola Napoli, capitale delle Due Sicilie.
Di Parmigiana ognuno fa la sua variante, a Napoli, in Sicilia e pure in Emilia. Già, proprio in Emilia. Ma perché la ritroviamo anche lì? Non bisogna dimenticare che i Borbone di Napoli erano imparentati coi Borbone di Parma e che Carlo di Borbone, Re di Napoli, figlio della parmigiana Elisabetta Farnese, era stato Duca di Parma e Piacenza. Il nome “Parmigiana”, o alla parmigiana, deriverebbe proprio da un modo di cucinare alla parmigiana – adottato anche nelle cucine borboniche del Regno meridionale – se è vero che proprio nel testo del Cavalcanti si trovano altre ricette “alla parmegiana”: strati sovrapposti di ortaggi fritti, inframezzati da formaggio parmigiano e poi cotti al forno. Tra Parma, Napoli e Palermo, l’asse culinario ha una storia comune tra il Settecento e l’Ottocento.

Made in Naples al “Vulcano Buono”

Venerdì 15 novembre, alle ore 19, appuntamento alla libreria Mondadori del c.c. “Vulcano Buono” di Nola con Made in Naples. Colloquia con l’autore del libro la corrispondente de Il Mattino (redazione Caserta) Nadia Verdile.

Se il razzista allo stadio gioca a nascondino

Angelo Forgione – Nei giorni scorsi si è accesa una polemica sulle parole pronunciate da Raffaele Auriemma nel dibattito sulla chiusura della curva milanista per discriminazione razziale nei confronti dei napoletani, durante la trasmissione Tiki Taka di lunedì 31 settembre (guarda a 1:20:00). Due giorni prima gli ultrà rossoneri erano rimasti all’esterno dello stadio, dove avevano inscenato una protesta a base di cori e striscioni anti-napoletani. La polemica, evidentemente, mi ha travolto indirettamente e tante sono state le rischieste di esprimermi sulle parole del telecronista tifoso napoletano di Mediaset Premium. Cosa ha detto Auriemma per attrarre l’ira dei suoi e vedersi costretto a scrivere un editoriale per chiarire il suo pensiero? «Io me ne frego – ha detto il popolare telecronista – e non mi piace questa severità presunta per chi dice “coleroso”. Il colera a Napoli c’è stato tre giorni nel Settanta, non è che sono arrivati i lanzichenecchi da queste parti. Chi fa questi cori non sa neanche a cosa si riferisce. È ignoranza, è idiozia, è bisogna ripartire dalla scuola. Il capo ultras del Milan ha ragione quando dice che questi cori ci sono da decenni. Noi napoletani non ci offendiamo e non ci sentiamo colpiti dal razzismo. Sono cori da stadio e questo devono rimanere. Il vero razzismo è quello tra calciatori. La repressione peggiora le cose perché questi vanno fuori e fanno peggio».
Le parole di Auriemma sono frutto di un parere intimo e l’errore è stato quello di iniziare a esternare un pensiero a titolo personale per poi estenderlo a tutti i napoletani. Che invece, in gran parte, dimostrano da tempo di pretendere il rispetto che troppo spesso viene a mancare e avrebbero sperato in un altro tono dalla voce napoletana di Premium Calcio. Auriemma ce l’ha più con la giustizia sportiva – e fa bene – che solo ora usa il pugno di ferro per certe manifestazioni che si sono ripetute per anni senza alcun provvedimento. Anch’io non mi offendo per l’ignoranza di chi dimostra palesemente e in pubblico di essermi inferiore culturalmente, ma a differenza di Auriemma mi indigno al cospetto dell’ignoranza destabile di un uomo in età avanzata che si esprime col linguaggio razzista e dice di non esserlo perché “quei cori sono solo roba da stadio”, salvo autoconfutarsi nell’arco di cinque secondi cinque… giusto il tempo di confessare, quasi fosse un’attenuante invece che un’aggravante, che certi cori sono normali dal momento che si fanno anche a scuola. Vero, ed è proprio questo il problema. Dunque, tutto dovrebbe essere corretto proprio nelle scuole ma non si può consentire che certa propaganda sia considerata innocua e prosegua impunemente. Lasciamo pure che negli stadi ci sia volgarità, a Milano come a Napoli; lasciamo pure che si tifi contro gli avversari invece che a favore dei propri colori. Ma il razzismo é pericoloso, ancor più quando è subdolo e nascosto nelle pieghe della proverbiale volgarità. Soprattutto perché quello contro i napoletani è una costante della giovane storia d’Italia e non accenna ad arrestarsi, non solo allo stadio. E i media hanno già contribuito a fomentarlo nel 1973 ricamando sul colera a Napoli, allontanando i turisti dalla città che sono tornati con lentezza solo dopo il G7 del 1994.