Sarri come nessun napoletano mai

Angelo Forgione – Un imbarazzato inviato di JuventusTV in piazza San Carlo a Torino documenta i festeggiamenti per il 7° scudetto bianconero consecutivo, quello del #my7h, tra l’altro conteggiandone 36.
Non è però questo il tema del giorno del mitologico tricolore della Juventus. Tiene banco la sospensione della partita Sampdoria-Napoli per cori discriminatori contro i napoletani, sollecitata da Maurizio Sarri, che il razzismo contro Napoli l’ha sempre denunciato, mostrando persino il dito medio a un manipolo di “calorosi” tifosi juventini prima della partita allo Stadium. C’è voluto lui, toscano di Bagnoli, per fare quello che avrebbe dovuto fare qualche napoletano prima di lui, e questo è storico almeno quanto il record di punti della storia azzurra. Forse ha salutato i napoletani così.

Solita storia, lo Scudetto resta al Nord. È il n. 104!

Angelo Forgione Scudetto numero 32 per la Juventus. E la ripartizione dei diritti televisivi del Calcio (tabella a lato), primaria fonte dei bilanci dei club italiani, continua a rappresentare un grande limite alla competitività della Serie A. Finché sarà assegnata in base ai bacini d’utenza, cioè al numero dei tifosi, il club bianconero, più di Milan e Inter, otterrà la fetta più grossa e beneficerà del grande seguito dell’Italia bianconera, Sud compreso. Qualcuno, per cambiare la storia, studia la modifica del sistema, proponendo il parametro della densità popolativa delle città al posto dei bacini d’utenza (frutto di sondaggi e non di censimenti), e l’aumento della percentuale da dividere in parti uguali (oggi il 40% della torta).
Tratto dal ‘Brigantiggì’, il mio commento all’epilogo del campionato italiano di Calcio, vinto ancora una volta dalla Juventus, tra limiti strutturali e caratteriali di Napoli e Roma ed errori arbitrali.

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Clicca qui per vedere l’intera puntata del Brigantiggì

Dov’è la Vittoria, il libro della settimana (Canale 21)

Tratto dalla rubrica Il libro della settimana (Canale 21 Napoli), l’intervista a cura di Federica Flocco su Dov’è la Vittoria (Magenes, 2015).

De Sanctis e la goliardica incoerenza

l’accanimento dell’Olimpico dice che non è problema causato dagli ultras

Angelo Forgione – Roma-Sampdoria di domenica 16 febbraio, curve dell’Olimpico vuote per cori di discriminazione territoriale dei tifosi romanisti. Prima del fischio d’inizio della partita, il settore dei Distinti Sud occupato dai tifosi della Roma intona ancora cori contro il popolo napoletano. Seguono applausi dalla tribuna Monte Mario. Cori di invocazione al Vesuvio anche durante la partita, e persino dopo, al termine del fragoroso inno di Venditti, il cui sfumare da spazio alle esortazioni vesuviane. Troppo forte la rabbia della recente e dolorosissima eliminazione dalla Coppa Italia con Maradona che alzava pollice, indice e medio davanti le telecamere. E così, un problema che si è fin qui considerato dei soli ultras, cioè da stadio, si è rivelato invece molto più diffuso e radicato. Vera e propria intolleranza, poi hai voglia a dire che la chiusura dei settori penalizza anche i tifosi meno incandescenti. Contro l’Inter, sabato 1 marzo, si giocherà in un Olimpico ancora più vuoto, e quelle dei Distinti Sud sapevano che sfida stavano lanciando.
Sulla vicenda si è espresso il portiere giallorosso Morgan De Sanctis, per anni al Napoli a fare da vero e proprio capitano senza fascia, sempre pronto a spendere qualche buona parola per la città partenopea anche nei momenti di maggiore aggressione mediatica. Ha provato a sensibilizzare i tifosi romanisti, evidenziando quella che ha definito un’anomalia tutta italiana: “Se c’è un po’ di cultura, di buon senso e di responsabilità, anche quella minoranza si deve rendere conto che non è più il caso di continuare a fare questo tipo di manifestazioni, chiamiamole pure goliardiche”. Morgan De Sanctis non ha avuto il coraggio di condannare i suoi attuali tifosi, scegliendo la diplomazia alla coerenza. Era lui quello che il 25 aprile 2013, alla vigilia della trasferta di Pescara, disse ai microfoni di Radio Marte: “Ci sono tanti tipi di discriminazione, gli stessi napoletani sono oggetto di discriminazione territoriale che però non viene considerata tanto grave quanto dovrebbe. I cori beceri contro la nostra tifoseria vanno puniti”. Ma si sa, nel mondo del calcio, in cui si cambiano città e tifosi come le macchine, il savoir-faire è fondamentale, e De Sanctis ha percorso la strada meno impervia.
A chi scrive non piace neanche lo striscione “noi non siamo sporchi romani”, esposto in una curva del San Paolo per “rispondere” alle offese ricevute. E neanche il lancio ripetuto di petardi al’indirizzo dei “nemici”. Quelle non sono risposte e autodifesa ma malcostume che si somma a malcostume, perché agli ultras non importa nulla delle offese ricevute, che sono anzi ottimo pretesto. Le punizioni cambieranno a fine anno, perché è ormai chiaro che i tifosi se ne infischiano delle sanzioni severe. La sospensione della pena è stata introdotta per arginare il rischio, nella certezza che il Napoli fosse ospitato solo una volta l’anno, ma senza considerare che l’idiozia dei tifosi più accesi si sarebbe manifestata anche in partite senza il Napoli di scena. Il rischio è quello di ammainare bandiera bianca e abituare a ritenere normali certe manifestazioni che di normale non hanno nulla, perché certi cori non sono goliardate da stadio ma nascono da una certa propaganda ottocentesca anti-meridionale, amplificata dai media nel Novecento, tradotta in messaggi deviati nelle arene calcistiche della nazione che sono entrate – ed entrano – nella testa e nei comportamenti dei bambini, persino nelle scuole (clicca qui). E tutto questo deve finire. Mai smettere di indignarsi.

Se il razzista allo stadio gioca a nascondino

Angelo Forgione – Nei giorni scorsi si è accesa una polemica sulle parole pronunciate da Raffaele Auriemma nel dibattito sulla chiusura della curva milanista per discriminazione razziale nei confronti dei napoletani, durante la trasmissione Tiki Taka di lunedì 31 settembre (guarda a 1:20:00). Due giorni prima gli ultrà rossoneri erano rimasti all’esterno dello stadio, dove avevano inscenato una protesta a base di cori e striscioni anti-napoletani. La polemica, evidentemente, mi ha travolto indirettamente e tante sono state le rischieste di esprimermi sulle parole del telecronista tifoso napoletano di Mediaset Premium. Cosa ha detto Auriemma per attrarre l’ira dei suoi e vedersi costretto a scrivere un editoriale per chiarire il suo pensiero? «Io me ne frego – ha detto il popolare telecronista – e non mi piace questa severità presunta per chi dice “coleroso”. Il colera a Napoli c’è stato tre giorni nel Settanta, non è che sono arrivati i lanzichenecchi da queste parti. Chi fa questi cori non sa neanche a cosa si riferisce. È ignoranza, è idiozia, è bisogna ripartire dalla scuola. Il capo ultras del Milan ha ragione quando dice che questi cori ci sono da decenni. Noi napoletani non ci offendiamo e non ci sentiamo colpiti dal razzismo. Sono cori da stadio e questo devono rimanere. Il vero razzismo è quello tra calciatori. La repressione peggiora le cose perché questi vanno fuori e fanno peggio».
Le parole di Auriemma sono frutto di un parere intimo e l’errore è stato quello di iniziare a esternare un pensiero a titolo personale per poi estenderlo a tutti i napoletani. Che invece, in gran parte, dimostrano da tempo di pretendere il rispetto che troppo spesso viene a mancare e avrebbero sperato in un altro tono dalla voce napoletana di Premium Calcio. Auriemma ce l’ha più con la giustizia sportiva – e fa bene – che solo ora usa il pugno di ferro per certe manifestazioni che si sono ripetute per anni senza alcun provvedimento. Anch’io non mi offendo per l’ignoranza di chi dimostra palesemente e in pubblico di essermi inferiore culturalmente, ma a differenza di Auriemma mi indigno al cospetto dell’ignoranza destabile di un uomo in età avanzata che si esprime col linguaggio razzista e dice di non esserlo perché “quei cori sono solo roba da stadio”, salvo autoconfutarsi nell’arco di cinque secondi cinque… giusto il tempo di confessare, quasi fosse un’attenuante invece che un’aggravante, che certi cori sono normali dal momento che si fanno anche a scuola. Vero, ed è proprio questo il problema. Dunque, tutto dovrebbe essere corretto proprio nelle scuole ma non si può consentire che certa propaganda sia considerata innocua e prosegua impunemente. Lasciamo pure che negli stadi ci sia volgarità, a Milano come a Napoli; lasciamo pure che si tifi contro gli avversari invece che a favore dei propri colori. Ma il razzismo é pericoloso, ancor più quando è subdolo e nascosto nelle pieghe della proverbiale volgarità. Soprattutto perché quello contro i napoletani è una costante della giovane storia d’Italia e non accenna ad arrestarsi, non solo allo stadio. E i media hanno già contribuito a fomentarlo nel 1973 ricamando sul colera a Napoli, allontanando i turisti dalla città che sono tornati con lentezza solo dopo il G7 del 1994.

“Lasciatemi cantare, sono un italiano!”

Protesta degli ultrà del Milan contro il divieto di razzismo anti-napoletano.

Il capotifoso milanista si è presentato al proscenio nazionale su Mediaset Premium prima di Milan-Sampdoria e ha spiegato i motivi della rumorosa protesta inscenata all’esterno dello stadio di San Siro. Era uno degli esclusi, un militante della curva chiusa per cori razzisti contro i napoletani, ma sembrava proprio non capire il perché: “Questi cori li facciamo da oltre vent’anni, da quando c’era Maradona. Non è razzismo, si fanno dappertutto, si fanno anche a scuola!”. Si è così palesato il malcostume italiano, quello cronico e radicato in ogni aspetto della società (in)civile che finisce per manifestarsi in forma massiva negli stadi. Si è materializzata anche la pretesa di proseguire il malcostume, come fosse legittimo, perché nessuno a scuola ha mai detto ai ragazzi che certe espressioni sono indecenti. L’analisi fatta dal sottoscritto in passato ha preso consistenza in pochi secondi, perché certa presunzione è figlia di una certa ideologia politica portata nelle famiglie, nelle scuole, nelle feste dei giovani militanti della politica separatista e, peggio ancora, in televisione. Quei “vent’anni” vantati dal capoultrà sono indicativi e non casuali: politica, leghista e non, e media hanno plasmato l’opinione pubblica e, secondo una ricerca recente, solo nei confronti degli extracomunitari, ogni giorno in Italia, si registrano in media 1,43 casi di incitamento all’odio, per lo più da parte di esponenti politici (il 75% del totale), mentre sono in media 1,86 gli episodi quotidiani di informazione scorretta su giornali nazionali e locali. Se si aggiungessero i casi di razzismo contro i meridionali, le statistiche lieviterebbero certamente. Vogliamo quindi considerare lo stadio un’isola di maleducazione o la punta di un’iceberg?
Lo scorso anno, dopo la chiacchierata vicenda che aveva coinvolto Boateng a Busto Arsizio, Ruggiero Delvecchio, un giovane politico tifoso del Milan e della Pro Patria, fu chiamato in causa durante la trasmissione “In 1/2 h” di Lucia Annunziata su Rai Tre e invitò a considerare che le espressioni razziste negli stadi del Nord sono normali e non riguardano solo i giocatori di colore ma anche i tifosi napoletani. L’allenatore dei rossoneri Allegri auspicò in quell’occasione che la reazione del suo calciatore sensibilizzasse su ogni malcostume, chiedendo scusa a nome dell’A.C.Milan… che però qualche giorno fa ha presentato (inutilmente) ricorso contro la chiusura della curva. Dunque, quale esempio ha dato ai suoi tifosi il club di “Sua Emittenza ventennale” Silvio Berlusconi, più volte alleato coi leghisti al Governo? E quale segnale se non quello di incentivare la protesta inscenata all’esterno (e all’interno) dello stadio? E infatti, durante Milan-Sampdoria, l’intero stadio ha mostrato solidarietà agli esclusi con la mancata esposizione degli striscioni dei Milan Club, mentre altri cori anti-napoletani degli spettatori ammessi a Corte hanno accompagnato la partita. Un boato di fischi ha poi fatto seguito all’annuncio dello speaker che ricordava il divieto di ogni forma di discriminazione razziale, religiosa e territoriale.
Sia chiaro che i provvedimenti della giustizia sportiva, benché necessari, possono solo reprimere il fenomeno ma non sconfiggerlo. Si smetterà di offendere neri, slavi e meridionali/napoletani solo quando sparirà la Lega dal panorama politico nazionale e, soprattutto, quando nelle scuole del Nord si inizierà a far capire ai ragazzini che cantare razzismo non è civile. Solo così il tifoso di turno smetterà di pretende di offendere Napoli impunemente.
Era netta la sensazione che il non punire i cori razzisti contro i napoletani nel corso degli anni, mentre venivano sanzionati quelli per i calciatori di colore, nascondesse il timore di rompere una consuetudine che avrebbe potuto generare un terremoto. C’è da scommettere, e con quote molto basse, che i gentleman del tifo rossonero sono solo i primi a subire una punizione del genere, che fa precedente e che si ripeterà altrove. Il mondo del calcio ha cercato di evitare tutto questo finché ha potuto, ma ora non può più. Ma qualcuno non ci vuole stare, e si era già capito dai manifesti affissi nelle ore che hanno preceduto la gara contro la Sampdoria. Incuranti del provvedimento, durante il match, gli ultrà milanisti hanno replicato i cori della vergogna fuori lo stadio Meazza. Chissà quanti figli e nipoti di napoletani erano tra gli ultrà rossoneri che hanno sciorinato l’intero repertorio di cori contro i napoletani, incluso quello sul Vesuvio, mentre uno striscione recitava “La chiusura del settore non cancella l’odore: Napoli merda”. Il leitmotiv è sempre quello: l’odore. Parola che in questo caso è stata adottata solo per baciare la rima, ma che nasconde un’opinione meno edulcorata: la puzza. Vi ricorda qualcosa? Giampiero Amandola, giornalista RAI del TGR Piemonte, licenziato meno di un anno fa per espressione ironica pseudorazzista: “i napoletani li distinguete dalla puzza, con grande signorilità”. Per difendersi dalla presunta puzza partenopea, i milanisti hanno indossato delle mascherine bianche lo scorso anno. Quelle stesse mascherine le stanno indossando oggi gli abitanti delle province di Napoli e Caserta che vedono riesumare bidoni ripieni di rifiuti nocivi su cui è ben in vista la provenienza Milano e tutto il Nord. A proposito, li ricordate i fischi dei napoletani all’inno nazionale prima della finale di Coppa Italia del 2012?

Rapina ad Hamisk, dibattito a “La Radiazza”

Angelo Forgione – “Vèstiti male per il viaggio e fai in modo che l’avarizia e la prudenza abbiano la meglio sulla vanità”. Stendhal scriveva così nell’Ottocento alla sorella in procinto di partire per l’Italia che era la meta indiscussa dei colti e facoltosi turisti del “Grand Tour”, invitandola a non mettere in mostra soldi e gioielli per evitare di essere derubata. Era il consiglio di chi quel viaggio l’aveva fatto partendo da Parigi, restando peraltro abbagliato dalla bellezza di Napoli che definì “senza nessun paragone, la città più bella dell’universo”.
È lo stesso consiglio che, ancora una volta, ritengo che vada rivolto non solo alle persone ricoperte di notorietà ma a tutti coloro che non hanno capito che far sentire l’odore della carne agli squali significa rischiare di farsi sbranare, in un mare senza alcuna protezione. I predatori dei rolex non guardano in faccia a nessuno, per loro conta solo notare auto di lusso per avvicinarvisi e verificare cosa ci sia al polso del conducente. Che si tratti di Hamsik piuttosto che del signor Esposito. Non è più il tempo di rimarcare, come tante volte ho fatto, i casi analoghi avvenuti a Parigi, Milano, Roma piuttosto che in cittadine più a misura d’uomo. La povertà aumenta, ed è strettamente proporzionale l’aumento dei reati predatori. Senza tutela da parte delle forze dell’ordine, anch’esse a corto di fondi, tocca alla gente capire come difendersi. È triste, ma è realtà.
Su Radio Marte, alla “Radiazza” di Gianni Simioli, ricco dibattito col sottoscritto, Francesco Borrelli e Cecilia Donadio, oltre alla testimonianza di Daniele “Decibel” Bellini.

Forgione e Villaggio, duro e civile confronto culturale a “La Radiazza”

Villaggio: «Non ho mai detto certe frasi sul Sud».
Forgione: «Gliele ricordo io due o tre cosette»

Dopo l’intervista rilasciata a calcionapoli24.it alla vigilia di Sampdoria-Napoli e terminata con un forte scontro di opinioni nato dalle sue dichiarazioni rilasciate a SKYtg24 al tempo dell’alluvione di Genova, la posizione di Paolo Villaggio rispetto alla responsabilità esclusiva del Sud rispetto al disastro italiano meritava di essere chiarita.
Nel corso del programma “La Radiazza” di Gianni Simioli su Radio Marte, abbiamo contattato l’attore genovese che, remissivo e cauto, ha negato l’evidenza (documentata) di aver espresso certi giudizi circa la migliore cultura meridionale. Ne è comunque venuto fuori un confronto dialettico molto interessante, interrotto per esigenze di programmazione non prima di aver fornito a Villaggio degli spunti di riflessione. Speriamo ne faccia tesoro, e non solo lui.

Ancora l’ignoranza storica di Paolo Villaggio

Angelo Forgione – Per un napoletano che ha studiato (Nino D’Angelo), un genovese che non ha fatto tesoro degli errori. Paolo Villaggio, intervistato da calcionapoli24.it, si è visto costretto a tornare sulle sue dichiarazioni post-alluvione di Genova e ha rincarato la dose finendo con mandarsi letteralmente a quel paese con il giornalista Dino Viola che vi si confrontava.
Esplicita la domanda: Dopo l’alluvione di Genova lei ha detto: “I liguri hanno la presunzione di essere una cultura anglosassone diversa dalla cultura sudista borbonica, che è la piaga di tutta l’Italia”Non le sembra fuoriluogo ed ingenerosa questa dichiarazione? Ci motiva il nesso tra la disgrazia Borbone? Paolo Villaggio ha risposto così: “Noi sfortunatamente abbiamo avuto una cultura e l’abbiamo imparata dai Borbone, l’abbiamo imparata dalla mafia siciliana, dalla ‘ndrangheta calabrese e voi in casa avete una camorra che non scherza. Quindi lasci perdere ingenerosa. Si faccia un giro per Napoli con un turista inglese quando c’è la monnezza e poi senta i commenti. Lei capisce che Napoli è una grande capitale ma è diventata una città, purtroppo, più criticata. Una vergogna assoluta. La cultura borbonica l’ha presa la politica italiana. Io ho ottant’anni e non me ne frega un cazzo, ma c’è bisogno che i giovani di Napoli e del sud capiscono che devono liberarsi da quel cancro maledetto. (…) “La cultura dei Borbone era solo mafia”. Dichiarazioni che hanno fatto alzare i toni della conversazione e chiudere nettamente l’intervista.
Villaggio continua nell’equivoco di fondo, e cioè a pensare che l’Italia l’abbiano unita (con la forza) i Borbone e non i Savoia, a pensare che l’Italia è napoletanizzata mentre è piemontesizzata. Un grande uomo di cultura qual è Philippe Daverio, che non è certo meridionale, dice che lo Stato ha fallito in confronto ai Borbone. La cultura mafiosa di cui parla Villaggio non è certo borbonica, visto che Garibaldi si fece dare una grossa mano da mafia e camorra, avversarie dei Borbone, per risalire la penisola. Piccole organizzazioni di quartiere sostituite da quel momento allo Stato che al Sud non ha mai veramente messo piede.
La risposta, il comico genovese se la da da solo; Napoli è diventata una città criticata proprio da quel momento mentre prima era la capitale, e non solo del Sud. E la politica italiana non ha preso alcuna cultura borbonica ma semmai il burocratismo piemontese. La tutela del territorio era una priorità dello Stato borbonico (guarda il video), devastato ad esempio dall’applicazione a tutto il Paese dello Statuto Albertino che, essendo tarato per il territorio piemontese a bassissimo rischio sismico, non prevedeva norme edilizie antisismiche e di contrasto alle calamità naturali. Il Sud ne rimase improvvisamente sprovvisto e le conseguenze si palesarono molto presto poichè, secondo la cultura governativa sabauda, non era compito dello Stato preoccuparsi del soccorso per le popolazioni sinistrate. L’Italia che frana, tra torritorio e monumenti, è conseguenza di quegli errori mai veramente riparati.
La smetta il nostro di parlare di cultura (borbonica) alludendo a sottocultura senza essere acculturato in materia e senza conoscere veramente la differenza tra cultura borbonica, fatta di arte e difesa attiva del territorio, e cultura piemontese basata sul militarismo e sulle spese belliche che necessitavano di risorse da incamerare, comprese quelle del Sud. Se l’Italia è famosa nel mondo per essere truffaldina è perchè è nata da una truffa. Piemontese, non Napoletana. La cultura è cultura ed è napoletana la sola aristocrazia europea d’Italia, è meridionale la lingua italiana nel mondo, la buona cucina e il buon gusto. Questo ha preso l’Italia da Napoli e dal Sud ma non vuole prenderne atto.
Solo in una considerazione Villaggio ha in parte ragione: i giovani di Napoli e del Sud devono capire che bisogna liberarsi di un cancro maledetto. Gran parte ne farebbe volentieri a meno, ma se lo Stato non fa la sua parte al Sud, lasciandolo in mano alle mafie, non possono essere i cittadini onesti a dover andare in guerra contro la malavita organizzata, quella che, rubando il futuro a tutti, dà da mangiare ai disoccupati. Perchè questi dovrebbero decidere di morire di fame?
Insomma, un Villaggio tra ignoranza cronica e demagogia pura. E pure presunzione visto che, a differenza dell’umile Nino D’Angelo, ha snobbato tutte le precisazioni dopo il suo “peccato originale”. Anche in questo la Napoletanità ha vinto, ancora una volta.

informazioni@paolovillaggio.com

Due indizi per dire che Mazzarri potrebbe lasciare

Due indizi per dire che Mazzarri potrebbe lasciare
le dichiarazioni del post-Genoa inducono a una deduzione precisa

Angelo Forgione – Potrò sbagliarmi, e francamente lo spero, ma Mazzarri mi sembra al momento fortemente orientato a lasciare Napoli.
L’ha fatto capire tra le righe portando ad esempio i casi di Delneri alla Sampdoria dello scorso anno e di se stesso al Livorno nell’annata 2003-04 culminata con la promozione dei labronici. Si tratta in entrambi i casi di abbandoni dopo un grande risultato.
Mazzarri ha detto ai microfoni di “Premium Calcio” che si meraviglia di tutto questo rumore perchè, nelle circostanze prese ad esempio, tutti sapevano che quelle guide tecniche erano già proiettate su altre panchine. E nel caso personale di Livorno ha detto: «quello che ho passato io in quell’anno li… uno capisce, valuta e poi fa delle considerazioni che poi spiega agli altri». Da ciò si evince che l’allenatore del Napoli ha maturato delle convinzioni di cui è il solo custode e che non ha ancora rivelato a nessuno. È quindi possibile che potrà anche stupirci a risultato acquisito.
Un altro passaggio su cui soffermarsi è quello in cui il mister dice: «Vedete… quando le cose vanno male per gli allenatori, in tre secondi si cambiano. Quando un allenatore fa bene è giusto che valuti tante cose». E questo significa che, mentre spesso i presidenti mettono gli allenatori sotto la lente di ingrandimento e li giudicano, in questo caso è lui che sta giudicando il Presidente.
La mia sensazione è che Mazzarri stia mettendo De Laurentiis di fronte a delle scelte. Per restare pretenderebbe un rafforzamento della squadra con giocatori di caratura per affrontare degnamente la Champions e per tentare l’assalto allo scudetto. È un vincente e vuole vincere, fiuta l’opportunità e vuole che Dela gliela dia; e se non può farlo qui lo vorrà fare altrove. E poi, giustamente, mira ad un riconoscimento economico per il suo ottimo lavoro. Ora tocca al Presidente lasciare o raddoppiare.

Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza. Manca il terzo indizio, ossia la prova. Oppure la controprova in cui francamente tutto l’ambiente deve sperare senza però ritenere un uomo insostituibile. Del resto il caso Quagliarella-Cavani deve pur insegnare qualcosa.

intervista a Mazzarri da Premium Calcio
Passaggio sull’esempio Del Neri alla Samp a 1:35′
Passaggio sull’esempio Livorno 2004 a 2:32′
Passaggio sul rapporto allenatori-presidenti a 2:57′