1922-2022: il silenzioso centennale del Calcio Napoli

Angelo ForgioneOttobre 1922, ottobre 2022. Avviene oggi quel che sarà celebrato tra quattro anni: i 100 anni del Calcio Napoli. Scorre da decenni una narrazione errata della fondazione del club partenopeo, consolidata nel dopoguerra e poi mai messa in discussione, eccezion fatta per i pochissimi topi d’archivio che la storia di quegli anni l’hanno letta e ricostruita. Tra questi, chi scrive, che da qualche anno va insistendo su una narrazione aderente ai fatti, ora proponendo una prova inoppugnabile del fatto che sia errato l’anno 1926, indicato come data di fondazione dallo stesso club e tatuato a bella posta sulla pelle di tanti tifosissimi azzurri. Si tratta di una lettera ufficiale scritta nel 1931 dal terzo presidente azzurro, ma prima è opportuno ricostruire la vicenda.

Nell’ottobre del 1922, mentre a Napoli si preparava l’adunata del Partito Nazionale Fascista che avrebbe dato il via alla Marcia su Roma, fu operata la fusione tra due club cittadini, il Naples Foot-Ball Club 1905 e l’U.S. Internazionale Napoli 1911, entrambi gravati da critiche situazioni finanziarie. Ne venne fuori l’Internazionale Naples Foot-Ball Club, abbreviato in Internaples, presieduto da Emilio Reale, già patron della vecchia U.S. Internazionale Napoli. Ed è proprio l’Internazionale Naples FBC (Internaples) il club che arriva a noi, perché nell’agosto del 1926, in piena continuità sociale, cambiò denominazione e divenne A.C. Napoli.

Era un tempo in cui i quotidiani sportivi riportavano soprattutto notizie e cronache di ciclismo, e il foot-ball, in crescita soprattutto nel Nord industrializzato, difficilmente trovava spazio nei quotidiani del Sud, il cui movimento calcistico risentiva di ritardi propri e di disinteresse da parte della Federazione a trazione settentrionale. Non esisteva il girone unico di Serie A, e lo scudetto era un affare delle squadre del “triangolo industriale”. Difficilissimo, pertanto, individuare la data precisa della fusione tra Naples e Internazionale, conclusa senza che la stampa dell’epoca ne desse sufficiente rilievo. E però, in virtù delle approfondite ricerche (ancora in corso), si può fare certamente riferimento al giornale napoletano Il Mezzogiorno, il più attento alle vicende del calcio campano.

Nell’edizione del 28-29 settembre del 1922 (1) fu preannunciata “una fusione fra i due più gloriosi ed anziani circoli calcistici della Provincia: Naples e Internazionale”.

L’edizione del 2-3 ottobre (2) informò che, in vista di una partita amichevole contro la U.S. Puteolana, l’Internazionale Napoli avrebbe schierato “una formazione ben poderosa”, per effetto de “l’accordo quasi raggiunto” per la fusione dei due club cittadini.

Ancora l’edizione del 13-14 ottobre (3) dava avviso che nella sede sociale dell’ U. S. Internazionale era convocata un’Assemblea Generale e pregava i soci di non mancare “dovendosi discutere argomenti di alto interesse”. Possibile che in quell’occasione si dovesse approvare proprio la fusione con il Naples Foot-Ball Club.

Infine, l’edizione del 30 ottobre (4), notificava l’assenza di alcuni elementi dell’Internazionale nel match amichevole contro la Bagnolese, “pur inquadrando nelle proprie fila alcuni degli elementi del vecchio Naples, la cui fusione col club del cav. Reale è ormai un fatto compiuto”.

Si può dunque affermare con ragionevole certezza che la fusione, ovvero la nascita dell’Internazionale Naples Foot-Ball Club (Internaples), cioè il Napoli, avvenne nella seconda metà del mese di ottobre del 1922.

Nonostante l’incoraggiante fusione, la situazione finanziaria del club restò deficitaria, e perciò, nel 1925, il patron Emilio Reale, per garantire sicurezza al club, cedette la presidenza al facoltoso commerciante Giorgio Ascarelli, che iniziò a spendere per rinforzare la squadra. Furono ingaggiati l’allenatore lombardo Carlo Carcano, già calciatore della Nazionale, e la giovane promessa piemontese Giovanni Ferrari. Dalle giovanili fu promosso in prima squadra un certo Attila Sallustro. Quella compagine arrivò a giocarsi, con esito infelice, la doppia finale di Lega Sud del luglio 1926 contro l’Alba Roma, valevole per l’accesso alla doppia finalissima nazionale per lo scudetto contro la vincitrice della Lega Nord.

Nella vignetta, Emilio Reale a sinistra e Giorgio Ascarelli a destra, stanti le difficoltà finanziarie, discutono di una tabella rimossa dai balconi della sede del club presso Palazzo Mastelloni in piazza Carità.

In vista della stagione 1926-27, irruppe a decidere la formula del campionato l’ormai affermato regime fascista, impegnato nel processo di “nazionalizzazione” del Regno d’Italia. Mussolini, non consentendo che il calcio italiano restasse spaccato tra Nord e Sud e mostrasse disgregazione sociale, impose d’ufficio alla FIGC, tramite il CONI, l’unificazione delle due leghe territoriali in un’unica “Divisione Nazionale”, articolata in 20 squadre, di cui 17 del Nord e 3 del Sud. Alle meridionali, il titolo sportivo spettò alle due finaliste dell’ultima Lega Sud, ovvero l’Alba Roma e l’Internaples, più la Fortitudo Roma, quest’ultima ammessa perché presieduta da Italo Foschi, uno degli ideatori della riforma fascista del Calcio.

Ascarelli, di origine ebraica, a quel punto, dovette porsi un serio problema: Mussolini detestava gli inglesismi e il benevolo Fascismo andava “ossequiato” per aver interrotto la dittatura decisionale della FIGC e dei club del Nord, che avevano provato in tutti i modi a tenere spaccata l’Italia del calcio. Il nome “Internaples” andava cambiato, e anche la vera denominazione “Internazionale Naples” ricordava l’Internazionale comunista, avversaria politica del Fascismo. Il presidente suggerì allora la più opportuna adozione del semplice nome italiano della città, che non avvenne il 1 agosto 1926, data trascritta erroneamente da qualche cronista dell’epoca e ripetuta a cascata negli anni, ma il 25. Un articolo de Il Mezzogiorno del 12-13 agosto (5) annunciò che in serata, presso la sede dell’Internaples in piazza della Carità, si sarebbe tenuta un’assemblea dei soci per votare le modifiche allo statuto, per presentare una lista di nomi che potessero affiancare Ascarelli, Reale e gli altri dirigenti nel Consiglio Direttivo e per discutere probabilmente del “nome migliore da dare alla Società”.

Una nuova assemblea dei soci in sede (non al ristorante D’Angelo, come si narra) si tenne il 25 agosto, raccontata il giorno seguente da “Il Mezzogiorno” del 25-26 agosto (6), rivista su cui i napoletani, da un trafiletto intitolato “L’Internaples muta il nome in A. C. Napoli […]” poterono apprendere del cambio di denominazione e dell’ingresso di nuove figure facoltose nel Consiglio Direttivo: “La Società, da oggi in avanti, si chiamerà, in luogo di Internaples, Associazione Calcio Napoli. […] È bello pertanto, è bellissimo, che all’appello dell’A. C. Napoli, figure bellissime delle classi più elevate di Napoli abbiano accettato di essere al fianco di Giorgio Ascarelli e degli altri bravi dirigenti dello scorso anno […]”. Non fu una fondazione, evidentemente, tanto più che nella rosa approntata per la stagione 1926-27 figurarono molti elementi della stagione precedente, compreso Attila Sallustro, destinato a diventare presto l’idolo dei tifosi.

Come stemma sociale fu scelto un cavallo sfrenato, il cosiddetto “Corsiero del Sole”, antichissimo emblema della città di Napoli, che riprendeva il soprannome dei calciatori dell’Internaples, detti i “poulains”, i puledri.

La testimonianza del fatto che l’A.C. Napoli è di fatto nato nel 1922 la ereditiamo dal successore alla presidenza del defunto Ascarelli, Giovanni Maresca di Serracapriola, in una lettera del 1931 indirizzata all’ex calciatore azzurro Lesllie William Minter, pioniere inglese del calcio napoletano e già calciatore dell’U.S. Internazionale Napoli 1911. Osservando con attenzione la missiva, battuta ovviamente con una macchina da scrivere dell’epoca, si nota che di fianco alla data 5 marzo 1931 si legge: “[…] piccola ricompensa è la tessera che le offro, ma il ricordo della vecchia, modesta Internazionale che è diventata oggi il possente Napoli, gliela renderà certo gradita”.

Se si volesse essere rigorosamente filologici, si dovrebbe dire in realtà che non vi è neanche continuità societaria tra il Napoli del Ventennio e quello attuale, dacché l’A. C. Napoli cessò l’attività nel 1943 a causa della guerra. A far rinascere il calcio napoletano fu, nel gennaio del 1945, la nuova Associazione Polisportiva Napoli, che un anno più tardi riallacciò i fili con il passato assumendo la storica denominazione di Associazione Calcio Napoli. Il 25 giugno del 1964, tra sali e scendi dalla A alla B, il Napoli, soffocato dai debiti, cambiò ancora denominazione in Società Sportiva Calcio Napoli, sodalizio decretato fallito il 2 agosto 2004. Il titolo sportivo fu acquisito il successivo 6 settembre da Aurelio De Laurentiis, che scelse la provvisoria denominazione “Napoli Soccer”. La precedente fu ripristinata il 24 maggio 2006, con l’acquisizione del marchio e dei trofei più importanti della storia azzurra; una storia oggi centenaria,anche se lo stesso club e i tifosi la festeggeranno con quattro anni di ritardo.


Se ti piace l’argomento, leggi Dov’è la vittoria ed.2022 (Angelo Forgione – Magenes)

Quel giorno d’agosto del 1926 in piazza Carità

stemmi_calcio_napoliAngelo Forgione Sì, lo so, ci risiamo. Al primo giorno d’agosto io continuo ad avvertire che il Calcio Napoli è nato nell’agosto del 1922 e il mondo azzurro continua ovviamente a festeggiare la data convenzionale del 1 agosto 1926. Siamo alle 94 candeline, ufficialmente, ma in realtà gli anni sono 98.
Club nato come Internazionale Naples Foot-Ball Club 1922, abbreviato in Internaples, e poi semplicemente ridenominato Associazione Calcio Napoli nell’agosto del 1926 per compiacere il regime fascista con una gradita italianizzazione. Nel giugno del 1964 il cambio in Società Sportiva Calcio Napoli.
D’altronde, con la Carta di Viareggio emanata il 2 agosto 1926, fu l’Internaples ad essere ammesso dal Coni fascista alla Divisione Nazionale. Se l’A.C. Napoli fosse stata fondata “ex novo”, non avrebbe potuto partecipare al massimo campionato ma sarebbe partita dalla Terza Divisione Campana.
Il facoltoso Giorgio Ascarelli era già presidente dall’agosto del 1925, quando la precaria situazione finanziaria dell’Internaples aveva convinto Emilio Reale, primo presidente, a cedergli il club così da garantire più sicurezza economica al club.

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piazza_carita_acnapoliChe poi, il cambio di denominazione non avvenne neanche in quel primo giorno d’agosto ma nel venticinquesimo, come testimonia un articolo de Il Mezzogiorno del 26-27 agosto 1926, dove si informava che l’assemblea dei soci del 25 agosto aveva formalizzato un cambio di nome: da Internaples Foot-Ball Club, appunto, ad Associazione Calcio Napoli.
Quella riunione non si tenne nemmeno al ristorante D’Angelo, come qualcuno narra, ma nella sede sociale di piazza Carità, presso il palazzo Mastelloni. L’insegna dell’Associazione Calcio Napoli è ben visibile in una foto d’epoca dello slargo, in cui si trovava il monumento a Carlo Poerio poi spostato nel 1939 in piazza San Pasquale a Chiaia.

Non si comprende da dove sia venuta fuori la data del 1 agosto, riferendosi peraltro a una fondazione che non fu. Facile che qualche storico/giornalista abbia commesso per primo l’errore, e tutti gli siano andati dietro acriticamente.
Il fatto è che una narrazione imprecisa, ripetuta continuamente, diventa ufficiale, come dimostra la falsa datazione della nascita della pizza margherita.

Ma voi non date troppo conto alle mie ricostruzioni e fate gli auguri alla SSC Napoli, che sempre in agosto fu. L’importante, alla fine, è che il club scalci come il Corsiero del Sole, il suo primo simbolo, che poi è quello della città sin dal XIII secolo: il nobilissimo cavallo imbizzarrito significante l’indomito e sfrenato popolo napoletano.

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per approfondimenti: Dov’è la Vittoria, A. Forgione (Magenes)

95 candeline azzurre, anche se se ne festaggiano solo 91

Angelo Forgione Il 25 agosto 1926, Giorgio Ascarelli radunò i soci dell’Internaples Foot-Ball Club nella sede di piazza Carità. Era presidente del club azzurro da un anno, e aveva ereditato la carica da Emilio Reale, che era presente in qualità di socio alla riunione in cui il suo successore propose:
«Pur grati a coloro che sono stati la nostra matrice, l’importanza del momento e la maggiore dignità cui il nostro sodalizio è chiamato mi suggeriscono un nome nuovo, nuovo e antico come la terra che ci tiene, un nome che racchiude in sé tutto il cuore della città alla quale siamo riconoscenti per averci dato natali, lavoro e ricchezza. Io propongo che l’Internaples Foot-Ball Club da oggi in poi, e per sempre, si chiami Associazione Calcio Napoli».
Esisteva già il sodalizio, esisteva già la maglia azzurra, esisteva già la rosa con Attila Sallustro, esisteva già un nome inglese, che fu semplicemente cambiato e italianizzato, accostato al simbolo del Corsiero del Sole. Non nacque nulla di nuovo. L’Internaples era nato nell’agosto del 1922. Il Napoli italianizzato nel nome aveva già 4 anni.

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articoli digitalizzati de Il Mezzogiorno (12-13 e 25-26 agosto 1926)

leggi qui la storia del Napoli

50 anni dopo, la maglia sbarrata che inaugurò la nuova SSC Napoli

kappa_napoli_sbarrata.jpgAngelo Forgione La seconda maglia del Napoli 2016/17, inaugurata con la cinquina d’agosto al Monaco, ci riporta alla divisa della stagione 1964/65, la prima con la denominazione Società Sportiva Calcio Napoli S.p.A., seguita alla precedente Associazione Calcio Napoli, già trasformazione dell’Internaples Foot-Ball Club 1922. Il cambio avvenne il 25 giugno del 1964, per arginare i grandi problemi economici del club. Achille Lauro non versò una lira per il capitale sociale ma ottenne il quaranta per cento delle azioni per i crediti vantati. Fu eletto presidente Roberto Fiore, dopo una serie di scontri e tentativi di ricreare addirittura un “nuovo” Napoli, il Napoli Football Club, per iniziativa di Giovanni Proto, consigliere comunale monarchico, ma il compagno di partito Lauro non lo seguì. Il dissidente, talmente adirato da strappare la tessera dell’Unione Monarchica e da dichiararsi indipendente in consiglio comunale, si associò con Carlo Del Gaudio e spostò gli interessi sul CRAL Cirio in Serie D, cambiandogli il nome in Internapoli.
napoli_2016_17La nuova SSC Napoli di Fiore (e Lauro) disputò il campionato 1964/65 di Serie B. La tradizionale maglia azzurra dell’AC Napoli fu messa in naftalina per privilegiare una scaramantica maglia sbarrata, ricalcata da quella del Bologna, che l’anno prima si era laureato campione d’Italia con una sbarra rossoblù. La maglia accompagnò la squadra, allenata da Bruno Pesaola, al secondo posto in cadetteria a suon di vittorie e alla promozione in A. L’anno seguente, il presidente Fiore mantenne la scaramantica bianca sbarrata, indossata dai nuovi acquisti Altafini e Sivori. Il neopromosso Napoli (in foto) chiuse la stagione 1965/66 al terzo posto, alle spalle di Inter e Bologna, e vinse il suo primo trofeo internazionale, la Coppa delle Alpi.
napoli_1965_66La maglia sbarrata cedette il posto alla tradizionale azzurra nella stagione 1966/67, restando però seconda divisa. La scaramanzia si esaurì nella stagione 1967/68, quando venne introdotta una seconda maglia rossa, in ricordo di quella indossata nella finale di Coppa Italia del 1962 disputata e vinta contro la Spal. La squadra partenopea aveva approntato una inconsueta maglia di colore rosso per non confondersi con la casacca bianco-azzurra dei ferraresi.
Una sartoria milanese ha realizzato nell’agosto 2015 una splendida riedizione vintage della maglia sbarrata di cinquant’anni fa, con stemma cucito recante serigrafia dei tre gigli capetingi borbonici.

Auguri SSC Napoli, ma nascondi l’età

Angelo Forgione 1 agosto, giorno di festeggiamenti per il Napoli, l’unico club del Sud capace di misurarsi contro il ricco Nord del calcio. Una ricorrenza che però è inventata di sana pianta, perché in realtà la SSC Napoli di anni ne ha quattro in più di quelli che ci suggerisce la storia mal narrata, e se c’è un giorno di agosto da celebrare, quello è semmai il 25, non l’1. Faccio chiarezza, dopo aver già divulgato nel mio libro Dov’è la Vittoria (Magenes) e in diverse altre occasioni, anche allo stesso presidente Aurelio De Laurentiis in una mia conferenza sulla storia del caffè al Mostra Agroalimentare Napoletana M.A.G.N.A.

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Inganna tutti la data del 1926, che non è la data di fondazione del club ma quella del cambio di denominazione per motivi politici. Dal nome inglese a quello italiano, dettato dall’applicazione della Carta di Viareggio, uno statuto ufficializzato proprio nell’agosto 1926 dal commissario straordinario della FIGC e presidente del CONI Lando Ferretti per mettere letteralmente il movimento calcistico italiano nelle mani del Fascismo e ricondurre il Calcio al processo di “nazionalizzazione” mussoliniana.

Il Napoli era già nato nell’ottobre del 1922, allorché si era realizzata la fusione tra Naples Foot-Ball Club e l’U.S. Internazionale Napoli, e si era costituito l’Internaples Foot-Ball Club, che aveva eletto come presidente Emilio Reale (patron anche della vecchia U.S. Internazionale) e scelto il colore azzurro. Quella squadra, il primo Napoli, militava nella Lega Sud della Prima Divisione Nazionale, divisa in due competizioni distinte del Nord e del Sud.

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Dal 1898, infatti, anno di fondazione della Federazione Italiana Foot-Ball, poi FIGC, il Nord-Italia monopolizzava il campionato italiano, rendendolo espressione del “triangolo industriale” appena nato e relegando le squadre centro-meridionali al ruolo di comprimarie, prima escludendole dai tornei che assegnavano il titolo di campione d’Italia e poi fingendo, nel 1912, di ascoltarne le proteste con la concessione di una finalissima tra le squadre vincitrici di un Girone Nord (con Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia e Veneto) e di un Girone Sud (con Toscana, Lazio e Campania). Finali pro forma, perché tutti, compresa la FIGC, erano ben consci del divario creato tra i due movimenti calcistici – uno in cui i soldi delle zone industrializzate avevano condotto al semiprofessionismo e l’altro ancora fermo al totale dilettantismo – e sapevano che le finalissime non avrebbero espresso alcun significato tecnico-agonistico.

Nel 1925, la precaria situazione finanziaria dell’Internaples aveva convinto Emilio Reale a cedere il club al facoltoso commerciante Giorgio Ascarelli, più adatto a garantire sicurezza al club. Il nuovo presidente, il secondo della storia del club (non il primo come si racconta), aveva ingaggiato l’allenatore lombardo Carlo Carcano, già calciatore della Nazionale, e la giovane promessa piemontese Giovanni Ferrari. Dalle giovanili era stato promosso in prima squadra un certo Attila Sallustro. Quella compagine era poi arrivata a giocarsi, con esito infelice, la finale di Lega Sud contro l’Alba Roma, valevole per l’accesso all’inutile finalissima nazionale per lo scudetto.
A quel punto irruppe il regime fascista, impegnato nel processo di “nazionalizzazione” del Regno d’Italia. Mussolini, non consentendo che il Calcio italiano restasse spaccato tra Nord e Sud e mostrasse disgregazione sociale, impose d’ufficio alla FIGC, tramite il CONI, l’unificazione delle due leghe territoriali in un’unica ‘Divisione Nazionale’, articolata in 20 squadre, di cui 17 sarebbero state del Nord e 3 del Sud, e più precisamente: le prime 16 squadre della Lega Nord; la diciassettesima dello stesso campionato da designare con un torneo tra le retrocesse (vinse l’Alessandria, ndr); le restanti tre dalla ex Lega Sud, ossia le due finaliste dell’ultimo torneo, Alba Roma e Internaples, più la Fortitudo Roma, quest’ultima ammessa perché presieduta da Italo Foschi, uno degli ideatori della riforma fascista del Calcio. I sodalizi del Nord protestarono per le decisioni superiori, riunendosi più volte a Genova, Torino e Milano, ritenendo le tre squadre di Napoli e Roma inadeguate alla competizione e usurpatrici di posti spettanti al Calcio settentrionale. L’ostracismo, però, dovette piegarsi alla volontà politica. A Napoli, a quel punto, si pose un problema serio. Mussolini detestava gli inglesismi, e pur italianizzando il nome Internaples ne veniva fuori la “Internazionale”, che ricordava l’Internazionale comunista, avversaria politica del Fascismo. Il presidente Ascarelli, di origine ebraica, suggerì allora la più opportuna adozione del semplice nome italiano della città. Un articolo de Il Mezzogiorno del 12-13 agosto annunciò che una riunione sociale presso la sede di piazza della Carità avrebbe probabilmente stabilito il “nome migliore da dare alla Società”.

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Una nuova assemblea dei soci si tenne il 25 agosto, riportata da Il Mezzogiorno del 25-26 agosto, per formalizzare il cambio di denominazione di una società che era stata fondata nel 1922: da Internaples Foot-Ball Club ad Associazione Calcio Napoli.

Una data, quella del 25 agosto, erroneamente tradotta dalle cronache successive come 1 agosto, giorno in cui non accade di fatto nulla. Il giorno 2 agosto, la Commissione di Riforma dell’Ordinamento della Federazione aveva emanato ufficialmente la Carta di Viareggio, con cui era nato finalmente il campionato unito. Il 3 agosto l’Internaples aveva ottenuto l’affiliazione alla nuova Lega Nazionale.

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L’8 agosto, il settimanale Tutti gli Sport aveva pubblicato un articolo in cui si leggeva di “interessamento benevolo del Governo nella questione che non si sarebbe risolta se non fra molti anni di umiliazioni, di abile politica del Sud verso i papaveri del Nord“, di “eguaglianza dei diritti e dei doveri di tutte le società italiane”, di “sacrificio iniziale” delle “società di testa in favore di quelle finora ingiustamente trascurate”, di “legittima aspirazione a progredire” della squadre e dei calciatori del Sud.

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L’A.C. Napoli si presentò con un nuovo stemma: il Corsiero del Sole, un cavallo sfrenato, emblema della città capitale dal XIII secolo, simbolo dell’indomito popolo partenopeo. A conferma che non si trattò di fondazione ma di semplice cambio di denominazione, nella nuova rosa figurarono otto elementi della stagione precedente, compreso quell’Attila Sallustro che sarebbe diventato in seguito l’idolo dei tifosi. I risultati della stagione (solo 1 punto in classifica), disastrosi nell’impatto col “Calcio industriale”, trasformarono, per tradizione orale, il cavallo rampante in un ciuccio malandato. Il Regime non si arrese e ripescò più volte le retrocesse pur di supportare il processo di unificazione tra Nord e Sud del Calcio italiano. Anzi, nel 1927 si verificò la fusione delle due squadre romane, anch’esse a fondo classifica, e nacque l’attuale AS Roma, ammessa alla Prima Divisione.
L’A.C. Napoli cessò le attività nel 1943 a causa delle difficoltà incontrate durante lo svolgersi della guerra. A tenere vivo il calcio napoletano fu la neonata Associazione Polisportiva Napoli, che nel 1947 assunse la storica denominazione di Associazione Calcio Napoli. Il 25 giugno del 1964, tra sali e scendi dalla A alla B, la società, soffocata dai debiti, cambiò ancora denominazione in Società Sportiva Calcio Napoli, sodalizio decretato fallito il 2 agosto 2004 e poi rilevato il successivo 6 settembre, attraverso l’acquisto del titolo sportivo da parte di Aurelio De Laurentiis, che scelse la provvisoria denominazione Napoli Soccer. La precedente denominazione fu ripristinata il 24 maggio 2006, con l’acquisizione del marchio e dei trofei più importanti della storia azzurra. Insomma, si tratta di una società nata nel 1922 e rinominata cinque volte nel corso degli anni (1926, 1945, 1964, 2004, 2006). E non é perché nei suoi primi quattro anni di attività non le era consentito misurarsi direttamente con i club del Nord che bisogna considerarla più giovane di quanto non sia. Così le si sottraggono quattro anni di discriminazione settentrionale e il primissimo periodo di vita.

contributo video concesso da Giammarino Editore

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Higuain sposa il potere, nessun pianga! Arrivederci e ringraziamenti reciproci.

Angelo Forgione Finisce la storia tra Higuain e il Napoli. Poco male. Giusto il tempo del pianto dei tifosi e metabolizzare il lutto, ma poi sarà bene guardare avanti. Stiamo parlando di un calciatore di levatura internazionale, e in quanto tale è macchina da soldi gestita da un procuratore. Non è mica un console che deve lasciare in maniera coatta un posto di cui si è innamorato per scadenza del mandato. L’amore, in questo Calcio, è un sentimento che appartiene solo agli appassionati, che non partecipano al giro d’affari dello show-business ma sono proprio quelli che lo alimentano con la loro passione planetaria, ovvero il vero motivo per cui sponsor e imprenditori ci mettono quei soldoni che fanno la felicità dei calciatori. E a loro, ai tifosi, del Napoli in questo caso, vulnerabili nei sentimenti, è stata sottratta la chiarezza. Sarebbe il caso di restituirla e spiegare la verità degli eventi delle ultime settimane. De Laurentiis, Higuain e pure Marotta, lo dicano che erano d’accordo da qualche giorno, e che hanno messo in piedi il giuoco delle parti quando Gonzalo ha accettato il trasferimento a Torino. Non c’è nulla di male, perché a 90 milioni di euro un calciatore si saluta volentieri, soprattutto se ha 28 anni e 7 mesi. È un affarone irrinunciabile, e bisogna dirlo ad alta voce, altrimenti va a finire che i tifosi, che vivono d’amore, continuano a credere che nel presunto sport vi sia spazio per sentimenti profondi e romantiche rinunce. I soggetti interessati lo dicano alla gente che il calciatore aveva da tempo un accordo con la Juventus e che il Napoli ne era al corrente e ha dovuto subirlo. Certo, fino a qualche settimana fa ci voleva la zingara per scrutarlo nella sfera di cristallo. Poi, a fine giugno, con ancora negli occhi la rovesciata del record del Pipita, tuona il fulmine a ciel sereno di Nicolas Higuain a squarciale il ciel sereno, azzurro, informandoci che il fratello non vede un futuro napoletano. Il lavoro sporco lo deve fare il procuratore di famiglia; anche per lui c’è un’appetitosa fetta di torta da tagliare e divorare. Col senno di poi, sembra un copione scritto. De Laurentiis, che può provare ad allungare il contratto nell’estate 2015, dopo una stagione  infelice dell’attaccante argentino, si fa forte dell’esorbitante clausola rescissoria, che se la fissi è perché sai che a quel prezzo, semmai qualcuno arriverà a pagartelo, ti converrà perderlo. Bisogna però rimettere a lucido il calciatore per esporlo in vetrina, ma solo la zingara, che con il patron deve avere un certo feeling, sa che Sarri, il nuovo che avanza, farà il miracolo. Rivalutata l’intera rosa, Higuain come Koulibaly, e per la punta iniziano a fioccare i goal. Alla fine sono 36 in campionato, in 35 partite, record storico in Italia, roba da pazzi. A Napoli, a quel punto, c’è un tesoro che è quarto per valore solo a quello di San Gennaro, alla Collezione Farnese e ai dipinti di Caravaggio. Ma quelli sono inalienabili. Non lo è Higuain, che mentre dice ai tifosi di stare tranquilli manda il fratello a domandare offerte in giro. Spunta la Juventus, che nella sua vetrina ha Pogba ed è disponibile a convertire il suo oro nero in pepite argentine. E qui inizia la sceneggiata. Le voci si susseguono, e Gonzalo tace. Il silenzio è parola d’ordine fino al compimento delle vicende. Strategia diversa per l’argentino, che al momento di lasciare Madrid aveva detto a chiare lettere di volerlo fare. Ma lì non era idolo, e non tramava con i rivali del Barcellona. Qui c’è una città ai suoi piedi e la rivale storica acquattata dietro l’angolo, e c’è da camminare sulle uova. Non tace De Laurentiis, che licenzia definitivamente la zingara e sbandiera ai quattro venti, dallo scranno della Lega Calcio, che la Juve non è disposta a pagare la clausola rescissoria, e che non lo farà comunque perché è società di galantuomini, così sottintendendo che l’argentino e i bianconeri hanno già un’intesa preliminare. Vero è che tra Aurelio e Andreino corre buon sangue, e allora il bianconero Marotta sorride e sta al gioco: «Col Napoli non si tratta. Storia chiusa, per ora». Già, per ora. Stupido a quel punto chi non capisce. Il patron azzurro si sposta a Dimaro e da lì lancia un messaggio che apparentemente sembra indirizzato al Pipita lontano ma che è invece un nuovo indizio per il plotone disarmato della stampa e per i tifosi che pendono dalle sue labbra: «Higuain, vuoi tu davvero sposare la Juve e tradire la curva sotto la quale andavi a cantare e saltare?». Gatta ci cova. I tifosi. poverini, si illudono, e credono che il presidente stia sventando il grande sgarbo. In realtà c’è poco da sventare, perché tutto serve a pubblicare che Higuain e la Juve sono d’accordo, e che tocca solo ai torinesi decidere se pagare o no. Il copione è studiato nei minimi particolari e, trascorso qualche giorno, qualcuno diffonde la foto di un certificato sanitario spagnolo. Higuain ha già fatto le visite mediche a Madrid alla presenza di Marotta, l’uomo del “per ora”. Per ora Higuain è abile e arruolabile in bianconero e la proprietà juventina deve solo pagare. Può rinunciare, ma il sì del calciatore è cosa nota. Higuain ha tradito, in ogni caso. Lo spiffero serve a rendere sempre più concreta la prospettiva che può traumatizzare i tifosi, a sdoganare una verità perché la gente inizi a prenderne atto, nel silenzio delle due società interessate. Ormai il dado è tratto.
Giusto prendersi il bottino della clausola rescissoria, una cifra fuori mercato per un calciatore alla soglia dei ventinove, e puntare su un attaccante da valorizzare, magari più giovane, e incastonarlo in quello che è il vero segreto del Napoli di oggi, ovvero il suo sistema di gioco, che produce palle-goal in quantità industriale per l’uomo d’area di rigore. Sarà pure il tempo di ben reinvestire i soldi, tanti, che il Napoli incasserà, perché il patron De Laurentiis è sempre più nell’occhio del ciclone e non bastano gli alti standard raggiunti per farsi apprezzare da una piazza esigente, spaccata tra pro e contro l’uomo della rinascita, complessivamente refrattaria a comprendere i limiti oggettivi di una società che ottiene comunque risultati in una depressione territoriale che allontana gli imprenditori delle nuove frontiere dell’oro.
Il vero dolore, in tutta questa vicenda, è tutto per i tifosi, che vedono Higuain passare alla concorrenza. Passerà, perché Higuain, diciamolo, non è un leader, non lo è mai stato e mai lo sarà; e mai è stato bandiera e portavoce di proclami di battaglia. Higuain è cuore River Plate, la squadra dell’aristocrazia di Buenos Aires, la Juventus d’Argentina, contrapposta al proletariato del Boca di Maradona, colui che detestò Barcellona e giurò eterna avversione al potere calcistico-industriale del settentrione d’Italia. Higuain, a Napoli, ci è finito per sbaglio e per fortuna, e ora ripara. Sarebbe andato volentieri a Torino già tre anni fa, quando il Napoli fece un’offerta migliore al Real Madrid e se lo portò a casa. Credeva di poter vincere il bomber, ma non aveva fatto i conti coi poteri forti d’Italia. Non li conosceva. Li ha verificati, toccati con mano, e ha capito che a Napoli è difficilissimo trionfare. Solo uno ci è riuscito, ma quella è tutt’altra storia. Presto Gonzalo dirà, c’è da scommeterci, di essere felice di approdare nella squadra che gli dà la possibilità di farlo. Ed è proprio qui il nocciolo della questione: ovvio che Gonzalo lasci Napoli per un bel po’ di soldi in più, e in tal senso una maglia vale più dell’altra se ti fa gonfia il conto in banca e non il petto, ma va a Torino perché si sente un perdente di successo e la Juventus gli dà la chance per dimostrare di non esserlo. Se lui a Napoli ci è finito per sbaglio e per fortuna, Diego ci è finito per destino, e ci è rimasto per amore, rinunciando a un mucchio di soldi e al suo desiderio più grande: una villa con giardino e piscina dove invitare amici e parenti, che Ferlaino gli promise nel 1984 e non gli concesse mai. Berlusconi lo colpì nel punto debole, la privacy dorata, ma in fondo el pibe poteva farne a meno, poteva restarsene nel suo appartamento posillipino di via Scipione Capece e andarsene in giro di notte pur di non dare un dolore alla sua gente. Gli restava il panorama del Golfo e la voglia di vincere per sovvertire le gerarchie, non poco per un rivoluzionario con la propensione al ribaltamento degli ordini precostituiti. Non gli occorreva cambiare squadra perché sapeva che era lui a far vincere una società, non il potere di una società a dargli la chance per farlo. Riuscì nell’impresa di ribaltare gli squilibri, e il Napoli pagò in seguito lo storico sforzo.
Higuain che passa dall’azzurro al bianconero è
una storia tipica di un calcio imperniato su interessi economici talmente grandi perché i protagonisti dello show si possano preoccupare dell’identità e della moralità. Higuain avrebbe potuto rifiutare di avvalersi della clausola e annullare così la volontà juventina, se fosse stata solo tale. De Laurentiis avrebbe potuto accontentarsi di una cifra minore dall’Atletico Madrid o dall’Arsenal pur di non lasciarlo ai rivali juventini, i quali, a loro volta, non ci hanno pensato su più di tanto a portare in bianconero il capocannoniere della Serie A. Tutti d’accordo, sulla pelle dei tifosi che oggi brucia per le ferita, vittime del Calcio degli avidi legionari, delle volgari clausole e dei disonorevoli scandali, da cancellare azzerando la concorrenza e la competizione. Quella della Juventus, a dieci anni da Calciopoli, è una dispotica manifestazione di potere che nasconde una volgare sete di rivalsa sul Calcio italiano. Tornata a dominare e piegate le rilavi storiche, c’è da strappare alle più immediate concorrenti italiane del momento i pezzi pregiati (Higuain e Pjanic) e provare a lasciar loro solo la lotta per le briciole. È il progetto di Andrea Agnelli che sta diventando realtà: una Juve incontrastabile che infili sei scudetti consecutivi almeno, per essere il presidente dell’unica società italiana ad esservi riuscita e sottomettere non solo la storia dell’Inter e del Milan ma anche quella di nonno Edoardo, zio Gianni e papà Umberto. E provare a mettere sulla torta la ciliegiona della Champions League. Sarebbe uno spot internazionale per Fiat-FCA, in difficoltà nella gestione sportiva della Ferrari affidata, con pochi risultati, nientepopodimeno che a Marchionne. C’è in ballo il prestigio familiare nel precario equilibrio tra gli Agnelli, che gestiscono la Juve, e gli Elkann, che gestiscono la Ferrari, rami ereditari della monarchia di Villar Perosa. Higuain ha dato il suo assenso a partecipare a tal progetto, ma la scelta non addolori nessuno. In fin dei conti, restando in Italia ha deciso di venire a giocare al San Paolo da avversario. Sarà un bel giorno. Per il Napoli, sia chiaro, è un grande affare, e gli affari fanno la fortuna dei club moderni. A patto che li si faccia fruttare a dovere, e il club partenopeo sa farlo. Chi invece ancora crede al Calcio dei sentimenti inizi a ripensare al suo modo di viverlo, e non si strappi i capelli ma lasci che sia. E lasci perdere gli idoli a pagamento, li ignori pure in strada, esattamente come loro ignorano la gente. Passano e vanno, mentre il Napoli è sempre lì, da 94 anni, di cui i 90 che erroneamente si appresta a festeggiare sono quelli in cui si è potuto battere contro i poteri forti. Se una buona volta capissimo perché la data del 1926 è un falso storico capiremmo come gira il mondo del Calcio italiano, oggi come allora.

De Laurentiis: «il Napoli è nato nel 2004». Maradona, scudetti e storia cancellati?

Angelo Forgione – «Il Napoli è nato con me nel 2004, altro che 1926! Ho comprato un pezzo di carta per 33 milioni di euro. Il Napoli non esisteva più, potevo anche chiamarlo Partenope». Sono parole del presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, per cui la storia del Napoli a lui preesistente non esisterebbe più. È chiaro che non sia così, e lo sa bene anche il patron azzurro, che magari non sa che la vera nascita del Napoli è datata 1922 ma era ben conscio, nel 2004, che avrebbe speso 33 milioni di euro per acquistare una storia importante, con un certo peso commerciale. Certo, avrebbe potuto cambiare la denominazione e partire dai dilettanti invece che dalla Serie C1, magari in un’altra città, senza spendere milioni per un pezzo di carta, senza palmarès, senza storia e senza ritirare la n.10. E invece l’ha fatto, e l’ha fatto a Napoli, dove non aveva concorrenza sportiva, perché non è persona sprovveduta ma lungimirante e attenta agli investimenti.
Tifosi irritati, e non solo i tifosi.
Ma Aurelio De Laurentiis non va preso alla lettera. Aurelio De Laurentiis va interpretato per i messaggi che manda a tutto l’ambiente. Ne ho parlato con il direttore di Tuttonapoli.net e coi tifosi alla trasmissione Club Napoli All News di Tele Club Italia, spaziando anche su temi extra-calcistici.