Il ritorno del Corsiero del Sole

Angelo Forgione Complimenti e applausi al Basket Napoli per aver capito l’importanza della Storia della città e per aver coraggiosamente recuperato non un simbolo ma il simbolo di Napoli, con tanto di tre gigli a marcare l’apice del percorso della Capitale. Fattura discutibile ma messaggio ineccepibile.
Sogno, da divulgatore storico, il giorno in cui anche la SSC Napoli sappia fare la sua fondamentale parte per onorare una gloriosa simbologia che significa la nobiltà e l’indomabilità del popolo che rappresenta.

Il Corsiero Napolitano, la Ferrari dei cavalli

Angelo Forgione Il cavallo è il simbolo di Napoli ma anche rappresentante di eccellenza del suo territorio. Nel mondo in cui ci si avvaleva degli equini per spostarsi e guerreggiare, Napoli era celeberrima per la sua peculiare razza, tra le migliori del pianeta. Principi, re e regine di tutto il mondo facevano a gara per possederne uno.
Il Cavallo Napolitano ha origini antichissime. Gli Etruschi scelsero l’area capuana per impiantare i loro allevamenti equini, in un ambiente climatico favorevole, a ridosso degli insediamenti greci della costa flegrea, dove successivamente i Romani ereditarono la razza e la incrociarono con cavalli berberi importati dal Nord Africa, generando i migliori esemplari per la corte imperiale.
In seguito, Federico II portò a Napoli dei cavalli orientali, veloci e leggeri, che si fusero con quelli locali. La selezione della razza si consolidò nel XIII secolo, quando Carlo D’Angiò, considerata l’elevata qualità raggiunta dai cavalli locali, non ritenne opportuno migliorarli con l’introduzione di sangue di altre razze.

Una esemplare bellissimo, longilineo, snello ma anche poderoso e robusto di zampe, il Napolitano era il cavallo più apprezzato al mondo, insieme a quello iberico, berbero e turco. Una razza pregiata e ambita dalle corti medievali di tutt’Europa.
Nel XV secolo, l’esperto Ercolani scrisse che i cavalli napolitani godevano la più alta fama come cavalli da guerra. Se oggi vi sono le fuoriserie a motore, allora vi erano i corsieri di Napoli a rappresentare il top. Salire in sella a uno stallone napoletano era come mettersi alla guida di una #Ferrari, che oggi, per ironia della sorte, è incarnata da un cavallino rampante, esattamente come Napoli sin dal XIII secolo. E infatti, in una scena del film americano King Arthur del 2017 (video), la citazione è chiara è assolutamente pertinente: «O corri veloce come uno stallone napoletano o è meglio lasciar stare». Anche i famosi cavalieri della tavola rotonda sapevano che per avere una marcia in più dovevano salire in sella a un Cavallo Napolitano.


A Napoli, nel XVI secolo, si sviluppò anche un’importantissima scuola, l’Arte Equestre Napoletana, che ebbe in Federico Grisone il primo cavallerizzo al mondo a pubblicare un trattato sul tema. Le grandi scuole odierne, Vienna (Austria), Saumur (Francia) e Jerez (Spagna), hanno tutte origine da quella napoletana, la cui eccellenza nacque certamente dalla straordinaria abilità dei cavallerizzi partenopei ma anche dal bellissimo Cavallo Napoletano, pure capace, con la sua incredibile obbedienza, di danzare a ritmo di musica, talvolta persino spontaneamente.


Nel trattato “Pietra paragone” di inizio ‘700, curato da Giuseppe d’Alessandro, il Cavallo Napolitano fu considerato come miglioratore di altre razze.
Dopo il 1860, con la violenta annessione delle province borboniche da parte della monarchia sabauda, l’allevamento del Cavallo Napolitano subì le scelte di politica economico-territoriale del Regno d’Italia e fu destinato a una decadenza che ebbe il suo apice con l’avvento delle automobili, che i cavalli li misero nel motore a scoppio nei primi anni del ‘900. La pregiata razza equina napoletana, però, è oggi in fase di specifico recupero ippotecnico.

Auguri SSC Napoli, ma nascondi l’età

Angelo Forgione 1 agosto, giorno di festeggiamenti per il Napoli, l’unico club del Sud capace di misurarsi contro il ricco Nord del calcio. Una ricorrenza che però è inventata di sana pianta, perché in realtà la SSC Napoli di anni ne ha quattro in più di quelli che ci suggerisce la storia mal narrata, e se c’è un giorno di agosto da celebrare, quello è semmai il 25, non l’1. Faccio chiarezza, dopo aver già divulgato nel mio libro Dov’è la Vittoria (Magenes) e in diverse altre occasioni, anche allo stesso presidente Aurelio De Laurentiis in una mia conferenza sulla storia del caffè al Mostra Agroalimentare Napoletana M.A.G.N.A.

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Inganna tutti la data del 1926, che non è la data di fondazione del club ma quella del cambio di denominazione per motivi politici. Dal nome inglese a quello italiano, dettato dall’applicazione della Carta di Viareggio, uno statuto ufficializzato proprio nell’agosto 1926 dal commissario straordinario della FIGC e presidente del CONI Lando Ferretti per mettere letteralmente il movimento calcistico italiano nelle mani del Fascismo e ricondurre il Calcio al processo di “nazionalizzazione” mussoliniana.

Il Napoli era già nato nell’ottobre del 1922, allorché si era realizzata la fusione tra Naples Foot-Ball Club e l’U.S. Internazionale Napoli, e si era costituito l’Internaples Foot-Ball Club, che aveva eletto come presidente Emilio Reale (patron anche della vecchia U.S. Internazionale) e scelto il colore azzurro. Quella squadra, il primo Napoli, militava nella Lega Sud della Prima Divisione Nazionale, divisa in due competizioni distinte del Nord e del Sud.

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Dal 1898, infatti, anno di fondazione della Federazione Italiana Foot-Ball, poi FIGC, il Nord-Italia monopolizzava il campionato italiano, rendendolo espressione del “triangolo industriale” appena nato e relegando le squadre centro-meridionali al ruolo di comprimarie, prima escludendole dai tornei che assegnavano il titolo di campione d’Italia e poi fingendo, nel 1912, di ascoltarne le proteste con la concessione di una finalissima tra le squadre vincitrici di un Girone Nord (con Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia e Veneto) e di un Girone Sud (con Toscana, Lazio e Campania). Finali pro forma, perché tutti, compresa la FIGC, erano ben consci del divario creato tra i due movimenti calcistici – uno in cui i soldi delle zone industrializzate avevano condotto al semiprofessionismo e l’altro ancora fermo al totale dilettantismo – e sapevano che le finalissime non avrebbero espresso alcun significato tecnico-agonistico.

Nel 1925, la precaria situazione finanziaria dell’Internaples aveva convinto Emilio Reale a cedere il club al facoltoso commerciante Giorgio Ascarelli, più adatto a garantire sicurezza al club. Il nuovo presidente, il secondo della storia del club (non il primo come si racconta), aveva ingaggiato l’allenatore lombardo Carlo Carcano, già calciatore della Nazionale, e la giovane promessa piemontese Giovanni Ferrari. Dalle giovanili era stato promosso in prima squadra un certo Attila Sallustro. Quella compagine era poi arrivata a giocarsi, con esito infelice, la finale di Lega Sud contro l’Alba Roma, valevole per l’accesso all’inutile finalissima nazionale per lo scudetto.
A quel punto irruppe il regime fascista, impegnato nel processo di “nazionalizzazione” del Regno d’Italia. Mussolini, non consentendo che il Calcio italiano restasse spaccato tra Nord e Sud e mostrasse disgregazione sociale, impose d’ufficio alla FIGC, tramite il CONI, l’unificazione delle due leghe territoriali in un’unica ‘Divisione Nazionale’, articolata in 20 squadre, di cui 17 sarebbero state del Nord e 3 del Sud, e più precisamente: le prime 16 squadre della Lega Nord; la diciassettesima dello stesso campionato da designare con un torneo tra le retrocesse (vinse l’Alessandria, ndr); le restanti tre dalla ex Lega Sud, ossia le due finaliste dell’ultimo torneo, Alba Roma e Internaples, più la Fortitudo Roma, quest’ultima ammessa perché presieduta da Italo Foschi, uno degli ideatori della riforma fascista del Calcio. I sodalizi del Nord protestarono per le decisioni superiori, riunendosi più volte a Genova, Torino e Milano, ritenendo le tre squadre di Napoli e Roma inadeguate alla competizione e usurpatrici di posti spettanti al Calcio settentrionale. L’ostracismo, però, dovette piegarsi alla volontà politica. A Napoli, a quel punto, si pose un problema serio. Mussolini detestava gli inglesismi, e pur italianizzando il nome Internaples ne veniva fuori la “Internazionale”, che ricordava l’Internazionale comunista, avversaria politica del Fascismo. Il presidente Ascarelli, di origine ebraica, suggerì allora la più opportuna adozione del semplice nome italiano della città. Un articolo de Il Mezzogiorno del 12-13 agosto annunciò che una riunione sociale presso la sede di piazza della Carità avrebbe probabilmente stabilito il “nome migliore da dare alla Società”.

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Una nuova assemblea dei soci si tenne il 25 agosto, riportata da Il Mezzogiorno del 25-26 agosto, per formalizzare il cambio di denominazione di una società che era stata fondata nel 1922: da Internaples Foot-Ball Club ad Associazione Calcio Napoli.

Una data, quella del 25 agosto, erroneamente tradotta dalle cronache successive come 1 agosto, giorno in cui non accade di fatto nulla. Il giorno 2 agosto, la Commissione di Riforma dell’Ordinamento della Federazione aveva emanato ufficialmente la Carta di Viareggio, con cui era nato finalmente il campionato unito. Il 3 agosto l’Internaples aveva ottenuto l’affiliazione alla nuova Lega Nazionale.

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L’8 agosto, il settimanale Tutti gli Sport aveva pubblicato un articolo in cui si leggeva di “interessamento benevolo del Governo nella questione che non si sarebbe risolta se non fra molti anni di umiliazioni, di abile politica del Sud verso i papaveri del Nord“, di “eguaglianza dei diritti e dei doveri di tutte le società italiane”, di “sacrificio iniziale” delle “società di testa in favore di quelle finora ingiustamente trascurate”, di “legittima aspirazione a progredire” della squadre e dei calciatori del Sud.

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L’A.C. Napoli si presentò con un nuovo stemma: il Corsiero del Sole, un cavallo sfrenato, emblema della città capitale dal XIII secolo, simbolo dell’indomito popolo partenopeo. A conferma che non si trattò di fondazione ma di semplice cambio di denominazione, nella nuova rosa figurarono otto elementi della stagione precedente, compreso quell’Attila Sallustro che sarebbe diventato in seguito l’idolo dei tifosi. I risultati della stagione (solo 1 punto in classifica), disastrosi nell’impatto col “Calcio industriale”, trasformarono, per tradizione orale, il cavallo rampante in un ciuccio malandato. Il Regime non si arrese e ripescò più volte le retrocesse pur di supportare il processo di unificazione tra Nord e Sud del Calcio italiano. Anzi, nel 1927 si verificò la fusione delle due squadre romane, anch’esse a fondo classifica, e nacque l’attuale AS Roma, ammessa alla Prima Divisione.
L’A.C. Napoli cessò le attività nel 1943 a causa delle difficoltà incontrate durante lo svolgersi della guerra. A tenere vivo il calcio napoletano fu la neonata Associazione Polisportiva Napoli, che nel 1947 assunse la storica denominazione di Associazione Calcio Napoli. Il 25 giugno del 1964, tra sali e scendi dalla A alla B, la società, soffocata dai debiti, cambiò ancora denominazione in Società Sportiva Calcio Napoli, sodalizio decretato fallito il 2 agosto 2004 e poi rilevato il successivo 6 settembre, attraverso l’acquisto del titolo sportivo da parte di Aurelio De Laurentiis, che scelse la provvisoria denominazione Napoli Soccer. La precedente denominazione fu ripristinata il 24 maggio 2006, con l’acquisizione del marchio e dei trofei più importanti della storia azzurra. Insomma, si tratta di una società nata nel 1922 e rinominata cinque volte nel corso degli anni (1926, 1945, 1964, 2004, 2006). E non é perché nei suoi primi quattro anni di attività non le era consentito misurarsi direttamente con i club del Nord che bisogna considerarla più giovane di quanto non sia. Così le si sottraggono quattro anni di discriminazione settentrionale e il primissimo periodo di vita.

contributo video concesso da Giammarino Editore

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Striscione contro De Laurentiis. Ma il vero fondatore del Napoli non è Ascarelli.

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Angelo Forgione La Curva B dello stadio San Paolo risponde al presidente Aurelio De Laurentiis sulla fondazione del Napoli. Nella partita di Europa League contro il Midtylland, esposto un vistoso striscione: «1 agosto 1926 Onore al vero fondatore Giorgio Ascarelli».
Il primo presidente, però, è Emilio Reale, che cedette la carica ad Giorgio Ascarelli nel 1925. Il fatto è che, come ho più volte evidenziato e pure scritto in Dov’è la Vittoria, il Napoli non è nato nell’estate del 1926 ma in quella del 1922, quando si realizzò la fusione tra Naples Foot-Ball Club e l’U.S. Internazionale Napoli e si costituì l’Internaples Foot-Ball Club, che scelse il colore azzurro. Nel 1925, Emilio Reale cedette la presidenza al facoltoso commerciante Giorgio Ascarelli, capace di garantire sicurezza al club. Quella squadra, in cui già giocava l’idolo Attila Sallustro, militava nella Lega Sud della Prima Divisione Nazionale, divisa appunto in due competizioni distinte del Nord e del Sud.
Nell’estate del 1926, il regime fascista, impegnato nel processo di “nazionalizzazione”, sancì l’unificazione delle leghe Nord e Sud in un’unica ‘Divisione Nazionale’, non potendo consentire che il Calcio italiano restasse spaccato e mostrasse disgregazione sociale. Fu quindi deciso che città come Napoli e Roma dovessero confrontarsi con Milano, Torino e Genova. Ma Mussolini non gradiva gli inglesismi, e il termine “Internazionale” ricordava l’Internazionale comunista, avversaria politica del Fascismo. Il presidente Ascarelli, di origine ebraica, suggerì la più opportuna adozione del nome italiano della città:

«Pur grati a coloro che sono stati la nostra matrice, l’importanza del momento e la maggiore dignità cui il nostro sodalizio è chiamato mi suggeriscono un nome nuovo, nuovo e antico come la terra che ci tiene, un nome che racchiude in sé tutto il cuore della città alla quale siamo riconoscenti per averci dato natali, lavoro e ricchezza. Io propongo che l’Internaples Foot-Ball Club da oggi in poi, e per sempre, si chiami Associazione Calcio Napoli».

In agosto, l’assemblea dei soci formalizzò semplicemente un cambio di nome di una società che esisteva dal 1922: da Internaples Foot-Ball Club ad Associazione Calcio Napoli. Il 2 agosto, la Commissione di Riforma dell’ordinamento della Federazione emanò ufficialmente la ‘Carta di Viareggio’, con cui nacque il campionato unito, e il 3 agosto l’A.C. Napoli ottenne l’affiliazione alla Lega Nazionale, presentandosi con un nuovo simbolo: il Corsiero del Sole, un cavallo rampante e sfrenato, emblema della città capitale dal XIII secolo. Esisteva già il sodalizio, esisteva già la maglia azzurra, esisteva già la rosa con Attila Sallustro, esisteva già un nome inglese, che fu semplicemente cambiato e italianizzato, accostato al simbolo del Corsiero del Sole. Non nacque nulla di nuovo. L’Internaples era nato nell’agosto del 1922. Il Napoli italianizzato nel nome aveva già 4 anni.
I risultati fallimentari della stagione (solo 1 punto in classifica) avrebbero trasformato il cavallo rampante in ciuccio malandato. Nel 1964, l’Associazione Calcio Napoli cambiò ancora denominazione, divenendo la Società Sportiva Calcio Napoli.

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articoli digitalizzati dell’agosto 1926

‘Ricomincio da Sud’, puntata 5

Ricomincio Da Sud è una trasmissione radiofonica, in onda il mercoledì alle 22.00 su Radio Punto Nuovo, che scandaglia il mondo del meridionalismo dotto. Ospiti della puntata numero 5 Federico Salvatore e Angelo Forgione. In studio Bruno Gaipa, Annamaria Pisapia e Salvatore Argenio.

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