Doppio appuntamento venerdì 22

Angelo ForgioneVenerdì 22 marzo doppio appuntamento tra il centro di Napoli e la zona flegrea con la mia saggistica.
Si comincia nel cuore della città, alle ore 18, con la presentazione de il Re di Napoli al megastore la Feltrinelli di Chiaia. Ne parlerò in compagnia del presidente della Fondazione Univerde Alfonso Pecoraro Scanio, promotore con successo della petizione #PizzaUnesco, dell’antropologo della contemporaneità Marino Niola e del presidente dell’Associazione Verace Pizza Napoletana Antonio Pace.

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Alle 20.30 la location sarà invece quella de Le Matiz Event, presso la caffetteria ‘Fumo e Caffè’ di Villaricca (NA), in via Torino 34, per la presentazione di Dov’è la Vittoria, nell’ambito di un più ampio dibattito organizzato dal Club Napoli Azzurri Flegrei sulla passione azzurra, sulle due Italie nel calcio e sulla violenza verbale e fisica negli stadi, al quale prenderanno parte, tra gli altri, anche Antonella Leardi e Gianni Improta.

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Napoli tra tradizione e innovazione

Venerdì 12 ottobre, in un’affollata Casina Pompeiana, nella Villa Comunale di Napoli, si è discusso di Tradizione ed Innovazione all’evento organizzato da MAVV – Wine Arte Museum e patrocinato dal Comune di Napoli, con la partecipazione del mondo accademico locale e quelli di iOS Apple Developer Academy.
Il mio intervento si è dipanato dalla ferrea identità partenopea, che fa profonda tradizione, per giungere al difficile presente dell’innovazione, in cui le capacità locali sono enormi ma mortificate dalle condizioni minoritarie connesse a una irrisolta Questione meridionale.
Rivolgendomi all’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio, promotore della trionfante petizione per il riconoscimento UNESCO dell’Arte dei Pizzaiuoli Napoletani, nonché docente presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e l’Università Tor Vergata di Roma, ho raccontato all’intera platea di un mio confronto con il sociologo Domenico De Masi, il quale affermò che «i napoletani, negli ultimi 200 anni, hanno inventato solo la pizza, una boiata per avvinazzati, mentre tutto il mondo ha inventato i microprocessori».
«E invece – ho detto ai presenti – la FIFA, da otto anni, appalta i biglietti anticontraffazione dei Mondiali di Calcio a una factory di Arzano, che fornisce ticket con microprocessori contactless e antenna per identificazione a radiofrequenza e crittografia anticlonazione inseriti nella carta da stampare. I napoletani, da sempre, sono una risorsa per il mondo. Smettiamo di mortificarli. Piuttosto, diamogli gli strumenti economici, politici e burocratici, mettiamoli in condizioni paritarie rispetto al Nord, e poi rendiamo competitiva tutta l’Italia, e allora vedremo che anche da questo territorio ci sbalordiranno non solo in quanto a tradizione ma anche per innovazione».
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“Apple è Annurca”, Napoli tra tradizione e innovazione

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Il Mavv, nell’ambito degli incontri culturali organizzati con il Patrocinio morale del Comune di Napoli, discuterà venerdì 12 ottobre presso la Casina Pompeiana alle ore 17.30 di tradizione e innovazione a Napoli, metropoli capace di coniugare cultura, arte, storia con la modernità.
L’incontro vuole porre l’accento sul valore delle tradizionali eccellenze napoletane che fanno di Napoli una Città, culturalmente e scientificamente, viva ed innovativa, risaltandone le sue infinite potenzialità e capaci di favorire il continuo e positivo cambiamento, ribaltando ed invertendo la distorta visione con la quale, spesso e superficialmente, viene raccontata la Città.
L’iniziativa ha lo scopo di favorire e sviluppare idee tra soggetti pubblici e privati come Istituzioni, Università, Associazioni, Imprese, insomma tutto quel mondo appartenente al vasto patrimonio, materiale ed immateriale, del nostro territorio cittadino, stimolando e mettendo al centro dell’attenzione politica e sociale una voglia di rinnovata azione, capace di alimentare positivamente e valorizzare tutto ciò che gravita intorno ai luoghi, alla cultura, alla sostenibilità, al cibo, al vino e all’innovazione.
Il dibattito, aperto dai saluti istituzionali di Nino Daniele, Assessore alla Cultura e al Turismo e di Maria D’Ambrosio, Assessore al Verde e alla Qualità della Vita, sarà introdotto dall’On.le Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione Univerde, e moderato dal Direttore di “Dodici Magazine”, Francesco Bellofatto.
Ospiti e relatori saranno: Angelo Forgione (Scrittore), Lello Savonardo, Giorgio Ventre, Mario Raffa, Francesco Castagna (Università degli Studi di Napoli Federico II), Eugenio Gervasio (Manager Assinrete), Luigi Iavarone (Imprenditore), Andrea D’Ambra (Coldiretti), Maurizio Russo (Imprenditore), Luigi Libra (Cantante), Patrizio Oliva (Sportivo, Campione Olimpico).
Le conclusioni saranno affidate a Matteo Lorito, Direttore del DIA Reggia di Portici dell’Università Federico II di Napoli.
Il convegno prevede la presentazione dei progetti innovativi “Adotta una Vigna”, curato dal Team di giovani innovatori “Digital Development” e “Terra Viva” contest per la rinascita del nostro territorio a cura di Luigi Libra, Cantante ed Ambasciatore della Canzone Napoletana nel mondo.
La partecipazione è aperta a tutti coloro che intendono dare un contributo positivo alla rinascita della nostra città tra tradizione e innovazione.

Pizza e Mandolino, da stereotipo ad archetipo del buon vivere

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Angelo Forgione – Stereotipi e luoghi comuni li avverso da sempre. E mi ha sempre dato fastidio l’etichetta “pizza e mandolino”, perché siamo tanto altro… il Rinascimento, l’Illuminismo e tutto ciò che abbiamo offerto al mondo… e tutto è stato eclissato dietro un’accezione umiliante che si è data a due simboli di Napoli che sono stati svuotati dei loro messaggi e resi immagine stereotipata dell’Italia nel mondo.
Il cibo e la musica di Napoli sono parte di una cultura immensa e sommersa, ma in fase di riscoperta. Sono strumento di studio per capire la storia. Sono aspetti di un’identità che trascende la geografia e il linguaggio, e perciò divenuti universali senza che però se ne conoscano davvero i significati che si portano appresso.
Altro che stereotipo, pizza e mandolino sono prima di ogni cosa archetipo napoletano del buon vivere, e in un mondo che smarrisce il vero piacere di vivere meritano di essere disincagliati dallo sterotipo imposto, insieme a tutto il resto dell’eccellenza napoletana.
Ne parliamo lunedì 4 giugno, alle ore 18, nell’Area Ospitalità del Pizza Village (ingresso libero), sullo splendido lungomare di Napoli, tra una mandolinata e l’altra. Un convegno a più voci da me moderato, per celebrare l’Arte del Pizzaiuolo Napoletano patrimonio dell’Umanità UNESCO e per aprire un dibattito concreto su quel che c’è da fare per tirare fuori la napoletanità dal cono d’ombra della banalizzazione.

 

FuoriRoma racconta l’ossessione di De Luca per Napoli

Angelo Forgione – «Si Salierno tenesse ‘o puorto Napoli fosse muort’», dice qualcuno per un impulso competitivo sintomatico di un provincialismo litigioso e inacidito. Una rivalità unilaterale che Napoli ignora – non esistono detti napoletani contro Salerno – e che è implicita ammissione di un complesso d’inferiorità. Magari anche di Vincenzo De Luca, almeno così pare ascoltando Isaia Sales a FuoriRoma di Concita De Gregorio: «Una satrapia di provincia. Chiunque si è opposto è stato fatto fuori. È vendicativo. A Salerno c’è un sistema massonico senza massoni. De Luca, insediatosi alla Regione, ha continuato a comportarsi come se fosse il sindaco di Salerno, facendo leva su un leghismo in salsa meridionale, contro gli immigrati e i napoletani, e fa costruire una piazza di un metro più grande del Plebiscito».
Concita De Gregorio sintetizza la Salerno degli ultimi 25 anni: «È il principato di De Luca, diventato signore e padrone di un feudo che oggi governa dalla poltrona di presidente della Regione. Sa tutto, controlla tutto. E se occorre, punisce. Gestisce attraverso i figli e l’attuale sindaco un flusso incessante di denaro. […] Passerà Salerno, quando sarà il momento, che non sembra lontano, di congedare i principi, di risalire a ritroso all’origine dei soldi, di denunciare i compromessi e il malaffare, di ritrovare il vento e il colore del mare».
«Il Crescent è un mostro ecologico», aggiunge una nervosa Teresa De Sio. E poi altre voci a scatenare l’ira del presidente della Regione Campania, che si sfoga su facebook: “Dopo anni e anni di aggressioni, sempre dalla stessa rete pubblica, abbiamo assistito all’ennesimo atto di squadrismo mediatico, l’ennesimo stravolgimento della realtà. Interverremo in tutte le sedi”.
Concita De Gregorio ribatte che sia De Luca che il figlio Roberto, ex assessore comunale, erano stati più volte invitati a intervenire nel programma, ma rifiutando di essere intervistati.

Enzo Avitabile conquista il David di Donatello con la sua ‘Musica sacra popolare’

“Voglio ringraziare Napoli, il mio quartiere Marianella, le periferie di Napoli e del mondo per l’ispirazione”. Questa le parole di Enzo Avitabile alla vittoria dei David di Donatello come “Miglior musicista”, per aver composto la colonna sonora del film “Indivisibili” di Edoardo De Angelis, e come “Miglior canzone originale”, per “Abbi pietà di noi”, brano contenuto nella stessa colonna sonora.
Non un ringraziamento privo di significato, perché l’intima ispirazione di Avitabile nasce proprio da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, teologo moralista di Marianella e pure musicista, scrittore nel Settecento di Tu scendi dalle stelle e Quanno nascette Ninno a Bettalemme. Sant’Alfonso era un gran comunicatore, e ai fedeli della periferia di Napoli preferiva esprimersi proprio in napoletano per un’immediatezza di comprensione, ripetendo in musica l’operazione compiuta col Presepe napoletano. Così diede vita alla ‘Musica sacra popolare‘, che oggi continua a vivere in forme moderne e diverse grazie ad artisti di rilievo come Avitabile, l’altrettanto colto Gianni Aversano di ‘Napolincanto’ e, nel basso Lazio, Ambrogio Sparagna.

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La storia devozionale di Enzo Avitabile a Mizar, rubrica del Tg2 (2012)
parte 1 ► https://www.youtube.com/watch?v=EUC3ikR90DU
parte 2 ► https://www.youtube.com/watch?v=J3phlLu-ges

Il “Maschio Angioino”? È aragonese!

Angelo Forgione È uno dei monumenti simbolo di Napoli. È una delle testimonianze del Rinascimento italiano. È il Castel Nuovo, noto come “Maschio Angioino”, quantunque di angioino abbia davvero poco se non l’origine e qualche testimonianza architettonica, soprattutto interna. La prima edificazione è effettivamente dovuta a Carlo I d’Angiò, che nel 1266, sconfitti gli Svevi, si prese il trono di Sicilia e trasferì la capitale da Palermo a Napoli, all’epoca principale centro della Terra di Lavoro. La residenza della corte cittadina, a quel momento, era il normanno Castel Capuano, giudicato inadeguato alla funzione di corte di una capitale, e il Re decise di edificare un nuovo castello in prossimità del mare. Il Castrum Novum fu innalzato tra il 1279 e il 1282, ma Carlo I non riuscì a insediarvisi, cacciato da Pietro III d’Aragona in seguito alla rivolta dei Vespri Siciliani.
Le forme attuali si devono invece ad Alfonso V d’Aragona, che nel 1442 piegò la resistenza di Renato d’Angiò e trasferì immediatamente la capitale mediterranea dell’impero catalano-aragonese da Barcellona a Napoli. L’iberico si disinteressò della Catalogna e dell’Aragona, assegnate alle cure del fratello Giovanni, e si dedicò completamente al Regno di Napoli per farne un centro culturale di primaria rilevanza in Europa. Il Sovrano, uomo interessato alle lettere e alle arti, e perciò detto “il Magnanimo”, riversò sulla città partenopea fiumi di denaro per realizzare le necessarie opere pubbliche e suggellò il suo impulso urbanistico con il rifacimento dell’antica roccaforte capetingia, irrobustita dagli artisti catalani, guidati dall’architetto Guillem Sagrera. Gli iberici realizzarono cinque resistenti torri cilindriche, quattro in piperno e una in tufo, curiosamente somiglianti a quelle del forte provenzale di Saint-André a Villeneuve-lès-Avignon, al posto delle precedenti quattro squadrate. Furono invece dei maestri italiani della scultura ad impreziosire la facciata con un insigne arco trionfale di celebrazione del nuovo regno, esempio fondamentale della storia dell’arte rinascimentale italiana, ispirato alle antiche architetture romane. Per la realizzazione del portale marmoreo d’ingresso, re Alfonso avrebbe voluto Donatello a Napoli, ma il celebre fiorentino, impegnato a Padova nella fattura del monumento equestre al Gattamelata, dovette rifiutare l’incarico. La direzione dei complessi lavori fu quindi trasferita al milanese Pietro di Martino, che produsse un singolare arco doppio, uno sull’altro. In quello superiore avrebbe dovuto trovare posto un monumento equestre in bronzo dedicato a re Alfonso, sul modello di quello per il Gattamelata, iniziato da Donatello lontano da Napoli, ma limitato alla testa del cavallo per la morte dell’artista. Il fornice alto dell’arco rimase quindi vuoto, come lo si vede da sempre. La testa equina, in seguito, fu donata a Diomede Carafa, principale rappresentante della corte napoletana e amico di Lorenzo de’ Medici, che la installò nel cortile del suo palazzo di famiglia a San Biagio de’ Librai, dove restò fino al 1806, quando fu ri-donata al Real Museo (oggi Museo Archeologico Nazionale) e sostituita con una copia.
Il Castel Nuovo ospitò da subito una foltissima corte, tale da competere con quella fiorentina e degna dell’immagine che Alfonso voleva dar di sé in quanto Re di Napoli. Frequentarono la roccaforte reale i migliori uomini di cultura filosofica e letteraria del tempo, accolti da un sovrano che vi allestì una ricca biblioteca con opere di grande interesse e che diede vita, nel 1447, all’Accademia Alfonsina, la più antica delle accademie italiane. Per decreto, il Re sostituì il latino nei documenti e nelle assemblee con l’idioma napoletano antico, elevato a rango di lingua ufficiale del Regno, mentre lo contaminavano diversi termini catalani e castigliani pronunciati dai tanti iberici al seguito. Grazie a “Il Magnanimo” era nata la grande Cultura universale di Napoli, era nato l’Umanesimo e Rinascimento napoletano, diverso da quello fiorentino nei suoi aspetti, ma ugualmente fondamentale. Non celebrato sui libri di storia italiana di oggi perché stimolato da un sovrano di origine spagnola, la cui volontà di sentirsi napoletano è stata celata dietro l’italianità dei Medici di Firenze.
Il Castel Nuovo, bombardato dagli Alleati durante la Seconda guerra mondiale e ricomposto filologicamente nelle forme del Quattrocento, lo si continuerà pure a chiamare comunemente (e impropriamente) “Maschio Angioino”, ma fa bene all’identità napoletana sapere che in realtà, per come si mostra a noi, è un Maschio Aragonese.

Presepe, tombola e canzoni. Il Natale è Made in Naples!

Angelo Forgione Pensi al Natale e vengono in mente il presepe, la tombola e le canzoni sacre. Escluso l’albero, vale per tutti, negli usi e nei costumi, la tradizione del Natale per come si è configurata nel Settecento a Napoli.
Da alcuni antichi documenti in cui se ne fa menzione, a Napoli sarebbero attribuite le primissime tracce di una rappresentazione lignea della nascita di Cristo già nel 1025, in una chiesa situata in piazza San Domenico Maggiore e scomparsa ad inizio Settecento, prima detta “la Rotonda” e poi dedicata alla “Santa Maria ad praesepe”. È una testimonianza ben più antica di quella del 1223, anno cui risale quella che è considerata la prima natività di Gesù a Betlemme con figure umane rievocata nella notte santa a Greccio, nella provincia di Rieti, per volontà di San Francesco d’Assisi.
In ogni caso, la grande tradizione presepiale napoletana del Settecento è stata capace di cambiare i canoni della rappresentazione religiosa e avviare una diffusione della stessa in tutti gli Stati preunitari e oltre i confini italiani. L’ispiratore fu il frate domenicano Gregorio Maria Rocco, personaggio popolarissimo e influente, che andava in giro per i vicoli del centro e del porto per incontrare i peccatori e cercare di convincerli a pentirsi a colpi di bastone. Padre Rocco adottò il presepe come strumento di propaganda religiosa e di redenzione, esortando i malfattori a riprodurre la scena della Natività nel tentativo di accendere in loro la fede. Carlo di Borbone amava molto intrattenersi con il religioso e la sua passione per l’intaglio del legno lo condusse a dedicarsi personalmente all’allestimento di un presepe a corte col coinvolgimento della moglie Maria Amalia nella cucitura dei vestiti e dei principini, utilizzando anche la creta. Fu solo l’inizio di un filone che contagiò tutta la città e l’intero Regno con le sue arti, per poi essere svilita proprio dall’avvento della tradizione pagana dell’albero, priva di qualsiasi contenuto artistico-culturale.
Senza dimenticare i dolci natalizi, Napoli ha lasciato la sua impronta culturale anche attraverso l’invenzione della tombola, frutto della creatività dei napoletani, che non vollero rinunciare al gioco del Lotto quando lo stesso padre Rocco riuscì a convincere Re Carlo a bandirlo durante le feste natalizie; i regnicoli avevano già inventato la smorfiaforma folcloristica di cabala legata all’esoterismo mediterraneo per l’interpretazione dei sogni legata etimologicamente ed esotericamente alla divinità greca dei sogni Morfeo.
Non va dimenticata neanche la canzone nataliziacreazione del teologo moralista napoletano Alfonso Maria de’ Liguori, nato a Marianella, che durante la novena del Natale 1754 compose l’inno Tu scendi dalle stelle, il più famoso tra i canti natalizi in lingua italiana, che Giuseppe Verdi consacrò come colonna sonora «senza la quale non sarebbe Natale». Per rendere comprensibile a tutti la sacralità del Natività, nel 1758 il religioso scrisse Per la nascita di Gesù, poi pubblicata nel 1816 col titolo di Quanno nascette Ninno a Bettalemme, una pastorale in napoletano derivata nella struttura musicale da quella in italiano.

Napoli mette in mostra un simbolo del suo Rinascimento

Angelo Forgione Dopo la testa di sfinge al Nilo, a Napoli un’altra testa è stata messa a posto. La “Protome Carafa” di Donatello, da ieri, accoglie i visitatori del Museo Archeologico Nazionale.
È innegabile che Napoli viva negli ultimi anni un interessante risveglio culturale e continui a riscoprire le sue antiche vicende. I siti museali del territorio fanno registrare interessanti aumenti di afflussi. Fioccano libri sull’identità napoletana. Nascono nuovi percorsi turistici. Vanno in scena sempre più eventi, nei grandi palazzi e nelle strade. Di contro, sembrano esplodere episodi di marcescenza adolescenziale, che ritengo frutto della recente (e di successo) spettacolarizzazione della malavita.
Insomma, Napoli continua a mostrare il suo eterno dualismo. Più si scrolla di dosso il suo torpore e più sprigiona forze oscure di opposizione alla Luce. Ma il problema è anche e ancora lì, nel mondo dei grandi media. Se accanto alla narrazione delle indegne stese giovanili, ostentazione di protervia in erba, si raccontasse anche di una testa di Donatello messa in mostra, forse qualcuno ben informato svelerebbe di un Rinascimento nato prima a Napoli che nella celebrata Firenze medicea. Racconterebbe di Alfonso d’Aragona, del Beccadelli, del Pontano e della grande stagione umanistica napoletana. Ma “il Magnanimo” era straniero, e nulla fa che spostò la capitale dell’impero catalano-aragonese da Barcellona a Napoli, mentre “il Magnifico” era italiano. Meglio continuare a parlar di Napoli a senso unico, il peggiore, e produrre orgogliosi sceneggiati e dvd sui Medici di Firenze. Non sia che si racconti di un Lorenzo che inviava regali alla Corte di Napoli, e che vi si recò per implorare il ritiro delle milizie napoletane dalla Toscana ed evitare la sua caduta, salvando diplomaticamente la patria fiorentina.
A proposito, il direttore del MANN, Paolo Giulierini, artefice della lodevole operazione “Cavallo Carafa”, è toscano, residente a Firenze.