L’identità del “molo borbonico”

Angelo Forgione – Quello crollato sul lungomare di via Partenope a Napoli per le mareggiate dei giorni scorsi era un monumento o no? Era un molo, un semplice arco o uno scarico fognario? Ed era davvero borbonico? Il collasso dell’opera ha indignato un po’ tutti ma ha anche sollevato mille domande sul valore e sull’identità del manufatto. Facciamo chiarezza.
Diciamolo subito: non era un monumento. No che non lo era, e in questi termini non vi è perdita tale da gridare al depauperamento dell’immenso patrimonio artistico certamente mal tutelato di Napoli, che ha ben altre criticità ormai croniche da risolvere (vedi Galleria Umberto I). Era però una testimonianza del passato e, in quanto tale, rappresentava un simbolo. Non poca cosa, dacché le comunità diventano tali quando i simboli li riconoscono e vi ci si affezionano.
Di cosa si trattava, dunque? Del terminale di sbocco di un’antica cloaca cittadina ad alveo aperto, la principale in epoca vicereale, detta “il chiavicone“, che iniziava nei pressi di Montesanto e convogliava le acque reflue e i liquami della collina del Vomero e tutte quelle che incontrava nel suo percorso verso il Chiatamone, per poi sfociare in mare, sulla spiaggia di Chiaja. Il viceré “urbanista” don Pedro de Toledo, nel 1536, lo fece bonificare per aprire la strada oltre le antiche mura che da lui prese il nome, ovvero via Toledo, e le acque di scarico, dopo i lavori, continuarono a scorrere in un tunnel sotterraneo. Lo descrisse il canonico Carlo Celano ne Le Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli del 1692: “E da sapersi che sotto di questa strada [di Toledo] vi è un condotto, o chiavicone, così ampio e largo che adagiatamente camminar vi potrebbe una carrozza per grande che fosse; e questo principia dalla Pignasecca presso la porta Medina […] e va a terminare alla chiesa della Vittoria sita fuori la porta di Chiaia dove dicesi il Chiatamone. In questo chiavicone entrano quasi tutte le acque piovane che scendono per diversi cammini dal monte di S. Martino”.
Restava scoperto il tratto oltre la nuova strada di Toledo, nella zona rupestre a ridosso del mare, dove nel Cinquecento ancora non c’era neanche il palazzo vicereale (poi reale). Quel tratto fu coperto definitivamente solo in epoca borbonica con le risistemazioni del tratto di fronte al Castel dell’Ovo. Nel 1839, nelle sue Appuntazioni per lo abbellimento di Napoli, un ampio piano urbanistico in parte attuato nel ventennio successivo e in parte adottato in età postunitaria, Ferdinando II stimolò anche un intervento sul lungomare, tra la salita del Gigante (l’odierna via Cesario Console), la strada di Santa Lucia e oltre, di cui si occupò l’ingegnere civile Bartolomeo Grasso nel 1844. Il progetto, documentato in un disegno custodito all’Archivio Storico del Comune di Napoli, mostrava la futura nuova strada del Chiatamone, ossia il nuovo lungomare.

progetto_chiatamone_grasso1844

Al punto 7 si indicava esattamente “Cloaca e Sbarcatoio”. Fu così realizzata un terminale coperto ad arco di protezione dalle mareggiate, con una piccola penisola a cuneo protesa verso il mare per l’attracco delle barchette dei pescatori di Santa Lucia, che potevano risalire al livello stradale attraverso una scalinata.

Non un molo in senso stretto del termine ma una sorta di stazionamento con funzione chiara che fu accentuata qualche anno più tardi, allorché la spiaggia fu cancellata per effetto delle risistemazioni del lungomare d’epoca tardo ottocentesca, in tempo di Regno d’Italia, con la colmata a mare per la realizzazione di via Partenope in luogo dell’arenile, rimosso il quale, a compensazione della perdita, fu rifatto lo “sbarcatoio”, allungando la penisola a cuneo in modo da creare un piccolo porticciolo, una banchina più adatta al comodo dei pescatori, che così potevano sostare anche per tirare le reti così come facevano prima dalla spiaggia. Stessa finalità per una banchina creata all’altezza dello slargo della Vittoria, ove inizialmente doveva essere collocata una statua dell’ammiraglio Caracciolo e poi fu innalzata una colonna di epoca romana.

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Quel che restava dello “sbarcatoio” era giunto a noi con un’identità poco chiara ma con un sapore di passato molto gradito da turisti e napoletani in cerca di uno scorcio suggestivo per fotografare il Castel dell’Ovo sullo sfondo. Usurato da più di un secolo di mareggiate e incuria, fino al crollo, inevitabile.

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“Il Re” presentato a la Feltrinelli di Napoli

Un intenso pomeriggio in soccorso degli archetipi napoletani che fanno buona parte dell’immagine dell’Italia nel mondo, convertiti in stereotipi dall’ingegneria sociale nazionale che da oltre un secolo e mezzo tiene la cultura meridionale al guinzaglio.
E se il piemontese Umberto Eco, riferendosi al militarismo sabaudo che conquistò il Paese, ebbe a dire che “senza l’Italia Torino sarebbe più o meno la stessa, ma senza Torino l’Italia sarebbe molto diversa”, i napoletani possono parafrasarne il paradosso dal punto di vista culturale e affermare, a buona ragione, che senza l’Italia Napoli sarebbe sempre Napoli, ma senza Napoli l’Italia non sarebbe la stessa.
Grazie ai davvero preziosissimi interventi di Marino Niola, Alfonso Pecoraro Scanio e Antonio Pace. E grazie ai presenti, ma di cuore.
Napoli non sarà mai un luogo comune!

Doppio appuntamento venerdì 22

Angelo ForgioneVenerdì 22 marzo doppio appuntamento tra il centro di Napoli e la zona flegrea con la mia saggistica.
Si comincia nel cuore della città, alle ore 18, con la presentazione de il Re di Napoli al megastore la Feltrinelli di Chiaia. Ne parlerò in compagnia del presidente della Fondazione Univerde Alfonso Pecoraro Scanio, promotore con successo della petizione #PizzaUnesco, dell’antropologo della contemporaneità Marino Niola e del presidente dell’Associazione Verace Pizza Napoletana Antonio Pace.

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Alle 20.30 la location sarà invece quella de Le Matiz Event, presso la caffetteria ‘Fumo e Caffè’ di Villaricca (NA), in via Torino 34, per la presentazione di Dov’è la Vittoria, nell’ambito di un più ampio dibattito organizzato dal Club Napoli Azzurri Flegrei sulla passione azzurra, sulle due Italie nel calcio e sulla violenza verbale e fisica negli stadi, al quale prenderanno parte, tra gli altri, anche Antonella Leardi e Gianni Improta.

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Napoli deve riavere la sua spiaggia e il suo mare!

Angelo Forgione La mia battaglia di sensibilizzazione per la restituzione del mare ai napoletani continua. Ne ho parlato anche in un frangente del mio intervento all’evento pubblico “Resto al Sud, l’agorà” e poi ieri in tivù, alla trasmissione Club Napoli All News.

Per approfondire ► https://wp.me/pFjag-96U

Presentazione ‘Napoli Capitale Morale’ a laFeltrinelli Chiaia

Dopo l’immediato successo estivo, appuntamento con la primissima presentazione di Napoli Capitale Morale per l’11 settembre, ore 18, al megastore La Feltrinelli di via Santa Caterina a Chiaia n. 23 (ang. piazza dei Martiri) a Napoli. Con l’autore, Angelo Forgione, saranno presenti gli scrittori Pino Aprile e Agnese Palumbo, e lo speaker radiofonico Gianni Simioli.

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Un viaggio nel real gusto neoclassico

Sabato 9 luglio 2016, dalle ore 10.15, arte, cultura e alta gelateria vi attendono. Una speciale sinergia tra Palazzo San Teodoro, Gelatosità ed Angelo Forgione per un‘esperienza che sa d’estate e di storia napoletana. Nelle meravigliose sale della dimora storica di Palazzo San Teodoro alla Riviera di Chiaja, il percorso museale con realtà virtuale (viaggio nella Napoli borbonica con particolare tecnologia Samsung Gear VR) sarà arricchito dalla degustazione del gusto ‘Regno delle due Sicilie’ di Gelatosità, vincitore della tappa napoletana del Gelato Festival 2015: pistacchio di Bronte, cioccolato di Modica, nocciola tonda di Giffoni, arancia bionda di Sorrento e tranci di biscotto nocciola IGP. Per divulgare le origini napoletane dell’architettura neoclassica, i tour delle 11.15, 12.15 e 14.15 saranno arricchiti dalla presenza di Angelo Forgione, che, in modo sapiente, calerà i visitatori nel periodo dei fasti di Napoli al tempo del Regno delle due Sicilie, con un focus sul Neoclassicismo e un racconto sul noto sorbetto napoletano, progenitore del gelato! Al termine del percorso sarà possibile acquistare il suo fortunatissimo libro Made in Naples ad un prezzo speciale.

Evento con prenotazione obbligatoria
Info e prenotazioni al numero 3398798494

Costo: 8,00 euro
degustazione gelato gratuita
acquisto libro Made in Naples facoltativo

Orari dei tour:
10.15
11.15 con Angelo Forgione
12.15 con Angelo Forgione
13.15
14.15 con Angelo Forgione
15.15

Museo di Palazzo San Teodoro Experience
via Riviera di Chiaia 281

Storia della fontana della Tazza di Porfido di Napoli

Angelo Forgione – Quando Ferdinando di Borbone, nel 1778, fece approntare la Villa Reale di Napoli, chiese all’architetto neoclassico Carlo Vanvitelli di realizzare “una passeggiata da Re”. Il figlio del più celebre e defunto Luigi realizzò un luogo raffinato e improntato ai principi di simmetria e prospettiva tipica dei giardini francesi, prevedendo fontane ed opere d’arte classiche. Tra queste, al centro del viale, una grande fontana circolare raffigurante Partenope e il Sebeto, con amorini versanti acqua. La realizzò nel 1781 il celebre Giuseppe Sanmartino, autore del Cristo Velato, inizialmente in stucco, con l’impegno di tradurlo in marmo. Rimase così, primitiva, per sette anni, e non fu mai definita perché nel 1788 fu sostituita dal Toro Farnese, uno dei pezzi della parte romana della Collezione Farnese, sottratta ai vincoli romani dal Re, legittimo erede della serie di opere d’arte della famiglia paterna. Il Toro fu circondato da una gran vasca di fontana, simile a quella che l’attorniava nelle Terme di Caracalla, ornata da raffigurazioni simboliche delle stagioni, per essere poggiato su un finto scoglio in pietra lavica affiorante dalle acque (vedi dipinto di Saverio Della Gatta – Museo di San Martino). Quando, nel 1826, la preziosa scultura fu definitivamente sistemata nel Real Museo Borbonico (attuale Museo Archeologico Nazionale), fu sostituita con un nuovo gruppo scultoreo assemblato, firmato dall’architetto ticinese Pietro Bianchi, impegnato a realizzare il nuovo emiciclo della Basilica di San Francesco di Paola di fronte al Real Palazzo. fontana_villa_2Dal centro del quadriportico normanno della cattedrale di San Matteo di Salerno Ferdinando fece rimuovere una grande vasca di granito egizio, proveniente dal Tempio di Nettuno a Paestum e risalente alla metà del V secolo a.C., che i salernitani chiamavano affettuosamente “il provolone”, facendola sostituire con un’altra vasca più piccola, sempre in granito, che in origine era il fonte battesimale dello stesso plesso religioso. La grande vasca rimossa, del diametro di circa sei metri, era stata collocata nel Duomo salernitano nel 1085, e per i cittadini locali si trattò di una dolorosa perdita. Fu portata a Napoli per essere poggiata su quattro leoni neoclassici del Bianchi (evidentemente simili ai leoni realizzati per il colonnato di San Francesco di Paola), dalle cui bocche far sgorgare acqua. Fu chiamata Fontana della Tazza di Porfido.
tom_jerry_villacomunaleLa fontana, “visitata” da Tom & Jerry appena giunti a Napoli, è ancora oggi motivo di risentimento da parte di Salerno, che richiede la restituzione della vasca di granito contro i pareri negativi dall’amministrazione municipale napoletana e dalla Soprintendenza speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei.

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Via al restauro dello storico ponte di Chiaia

Angelo Forgione – Partito ad agosto il cantiere per il restauro dell’ormai fatiscente ponte di Chiaia, nell’ambito del più ampio progetto «Monumentando», che prevede il recupero estetico di 27 opere storico-artistiche di Napoli.
Fu il Viceré Manuel Zunica y Fonseca conte di Monterey, a volere, nel Seicento, la costruzione (a spese dei residenti) del ponte Monterey, in pietre e mattoni, per unire la zona di Monte di Dio spaccata in due. La strada di Chiaja sottostante, principio dell’antichissima via Puteolana verso i Campi Flegrei, si inoltrava tortuosamente lungo l’alveo naturale esistente tra il monte Echia di Pizzofalcone e l’altura di San Carlo alle Mortelle. Nel 1539, Don Pedro de Toledo, il “vicerè urbanista”, nell’ambito dei lavori di ampliamento della città, fece allargare la strada per creare un più agevole collegamento tra la residenza vicereale e il lungomare di Chiaja, e fece realizzare il Pendino di Chiaja, una rampa per collegare la via bassa con la zona sovrastante di Pizzofalcone. Nel 1636, con la ponte_chiaja_4zona ormai urbanizzata ed edificata, fu necessario realizzare il ponte. Fu poi Ferdinando II di Borbone, nel 1834, una volta appreso della presenza di lesioni che ne compremettevano la staticità, a disporne restauro e restyling in stile neoclassico, con l’abbattimento della rampa, da sostituire con un torrino di scale (dove poi avrebbe trovato posto anche un’ascensore nel Novecento), e degli edifici connessi. Il nuovo ponte, ad opera di Orazio Angelini, fu ornato con stemmi borbonici e cittadini, e bassorilievi rappresentanti degli angeli da un lato (di Tito Angelini e Gennaro Calì) e dei cavalli sfrenati sull’altro (Tommaso Arnoud), simbolo della città capitale e della parte peninsulare del Regno delle Due Sicilie. ponte_chiaia_3Nel 1860, con l’invasione dei piementesi, lo stemma dei Borbone fu sostituito con quelli dei Savoia. I regnanti di Torino non misero neanche una pietra per realizzare quell’arco e forse neanche lo oltrepassarono mai. Chissà se un giorno qualcuno provvederà a ricollocare il simbolo di chi abbellì e mise in sicurezza la nobile strada di Chiaja.

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Presentazione DOV’È LA VITTORIA a La Feltrinelli di Napoli

Mercoledì 10 giugno, alle ore 18:00, la Feltrinelli di Napoli Chiaia propone “Le due Italie nel pallone”, evento di presentazione del libro Dov’è la Vittoria di Angelo Forgione.
Con l’autore interviengono Luigi Necco e Rosario Pastore.

Feltrinelliclicca qui per guardare il booktrailer

Evento sul sito lafeltrinelli.it

Lamont Young via dal Vomero con la forza

Angelo Forgione – Chi ha letto Made in Naples, nella trattazione de “la speculazione edilizia” (pagina 288), avrà appreso che le validissime proposte urbanistiche per la città di Napoli formulate da Lamont Young, eclettico architetto napoletano di origini britanniche, furono boicottate dall’imprenditoria legata alle banche torinesi che misero le mani sul Vomero e sul centro della città, contribuendo all’esplosione dello scandalo della Banca Romana. L’urbanista contestò veementemente la realizzazione delle funicolari che conducevano al Vomero perché in antitesi col suo concetto di trasporto urbano più ampio e futurista. Il primo progetto di metropolitana fu infatti suo: “Già nel 1872, presentò i disegni della metropolitana di Napoli che prevedevano la costruzione di una strada ferrata sotterranea, con strutture sopraelevate in alcuni tratti, di connessione tra Bagnoli, Posillipo, Vomero, San Ferdinando e Capodimonte”. […] Entrò in un violento contrasto con la Banca Tiberina di Torino, che avviò la realizzazione delle funicolari di Chiaia e di Montesanto, in conflitto con i prospetti dell’urbanista, e gli espropriò nel 1886 un suolo di proprietà tra i tanti confiscati per costruire la stazione di via Cimarosa”.
Lamont Young morì suicida nel 1929, nella sua abitazione di Pizzofalcone, al culmine di un’esistenza fuori dal suo tempo, in una città già troppo difficile per il suo genio a metà strada tra creatività partenopea e rigidità anglosassone.
Ecco di seguito il decreto prefettizio del 1888 con cui il Prefetto Morelli decretò la cancellazione della proprietà privata della famiglia Young.

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