
Angelo Forgione – “La camorra e rinnegati non hanno nazionalità. Napoli ha bisogno d’amore, non di fango!!! Napoli nazione”. È il messaggio impresso su uno striscione dedicato a Roberto Saviano, a Napoli per presentare il suo La paranza dei bambini (Feltrinelli) tra centinaia di fan al rione Sanità. Messaggio chiaro. Lui, simbolo dei rinnegati, che nulla avrebbe di napoletano, come gli uomini del crimine. Dunque, lo scrittore di camorra come i camorristi, colpevoli di infangare Napoli e ammantarla d’odio. Forte affondo di stampo indipendentista, che Saviano ha commentato da facebook così:
Questo striscione campeggia a Napoli abbarbicato sul ponte della Sanità. Questo striscione lo ha messo lì chi odia Napoli. Perché fango non è raccontare, fango è uccidere, spaventare, terrorizzare, togliere speranza e azzerare ogni futuro possibile.
Accusa rispedita ai mittenti. Per Saviano sono i suoi contestatori a odiare Napoli.
L’autore del best-seller Gomorra gode di grandissimi apprezzamenti ma è anche vero che si sta allargando una schiera di chi, ad ogni sua uscita, soffre di fortissimi dolori di pancia. Il dibattito è delicato, delicatissimo, quantunque la semplificazione dello scenario riduca tutto alla disopprovazione dei sui libri e dei suoi temi, che raccontano al mondo del torbido sostrato della malavita campana. Non è questo il punto sul quale si è annodato lo scontro. La denuncia del Male è esercizio giusto, giustissimo, e il successo di Saviano, del resto, è nato proprio su questa. Gomorra ha il gran merito di aver reso letteratura fruibile ciò che i cronisti hanno precedentemente raccontato qua e là nel corso di tanti anni, di portare l’inchiesta in trincea sui comodini e di accendere i riflettori su un mondo conosciuto ma al tempo stesso indecifrabile. E ha acceso la speranza di poterlo combattere attraverso una più ampia condanna, una coscienza ben più diffusa. Era in realtà una falsa speranza, perché non sono i lettori sparsi nel mondo ad avere il potere di combattere la micro e macro criminalità italiana o a potervisi opporre, pur con tutto lo sdegno possibile. Dei mali bisogna parlare affinché si risolvano, e non era imputabile a Saviano – nessuno lo fece quando Gomorra sbancò in libreria – di gettare fango su Napoli, Caserta e la Campania tutta. Ma la lotta alla camorra non sembra aver fatto passi avanti dal 2006, anno di pubblicazione del romanzo, e sono anzi spuntati nuovi inquietanti fenomeni. Competeva e compete al cosiddetto Stato, ed è questo, solo questo, artefice di prospettive di soluzione, ammesso che vi sia la volontà di aprirle. È proprio così che Saviano, napoletano contro il Male di Napoli, con Gomorra sotto il braccio e sotto scorta, da solo a “lottare” contro il grande crimine, è diventato simbolo della lotta alla camorra, e la percezione del suo eroismo è cresciuta proporzionalmente all’incapacità dello Stato di estirpare un cancro nativo della Nazione, non di Napoli.
Dopo i libri e la speranza accesa, sono spuntati discutibilissimi film e ben confezionate serie-tivù. Alle varie stagioni televisive di Gomorra è in procinto di accodarsi anche la produzione di Zero Zero Zero, e non è difficile preconizzare un futuro in video per il fresco di stampa La paranza dei bambini. Tutto con incarichi di supervisione e diritti di autore. E nel frattempo hanno preso il sopravvento i consigli degli editori, che ormai sparano ben in vista il nome Saviano in copertina, a sovrastare i titoli dei suoi libri, ben consapevoli che di un autore-simbolo si venda il nome prima di ciò che scrive. È proprio con l’eccessiva spettacolarizzazione del Male che la denuncia di Saviano ha iniziato a perdere parte dei consensi. Non si tratta di idiosincrasia ai temi dei suoi libri ma di sdegno per il lucro su tutta l’industria che vi si è creata attorno, deteriorando oltremodo l’immagine di Napoli.
La reazione è umana. Traendo in diversi un grasso vantaggio dalla spettacolarizzazione del Male, la denuncia di Saviano sta perdendo forza persuasiva, e gli si imputa di non voler cambiare le cose, perché non converrebbe a molti. Lo scrittore, al contrario, continua a dare la rassicurante sensazione di voler accendere una luce, costi quel che costi, ma il suo nuovo libro è ancor più cupo, privo di speranza. Le baby-gang di cui narra le tristi gesta sono espressione di un fenomeno in forte ascesa negli ultimi anni, proprio quelli dei modelli imposti dalle serie-tivù a lui riconducibili. Ecco perché, per i suoi detrattori, Saviano non può più essere considerato un martire, non più emblema vivente di riscatto. A guardar bene le cose, non si può negare che il simbolo della lotta al malaffare sia diventato al tempo stesso icona della dannazione, in qualche modo emblema della marcescenza che denuncia, e abbia reso il luogo da cui estirpare il male esso stesso il Male inestirpabile. Questo è per molti Napoli oggi, non le sue eccellenze, che andrebbero esposte e non sottoposte alla dannazione imposta attraverso la spettacolarizzazione della camorra.
Ognuno può dare una personale risposta alla fatidica domanda: Saviano fa il bene o il male di Napoli? Certamente non rinfrancano alcune reazioni suscitate, per quanto stupide. Qualcuno, dopo una presentazione del nuovo libro a Milano, sulla fanpage facebook, ha scritto di Napoli come di “città priva di cultura” in cui non mettere mai piede da turista. Chiacchiere da social network ma anche spunto di riflessione.

Simbolo della lotta alla camorra e icona di dannazione, è qui che ci si divide su Roberto Saviano, che ha compreso da tempo, attraverso i social network, di avere fedeli ammiratori e coriacei detrattori. Non si tratta di chi odia Napoli e neanche di camorristi, come qualcuno ha insinuato, ma – ne sono certo – di appassionati lettori della prima ora di Gomorra. In quel che ne è seguito si è lasciato il proscenio alla dannazione, che in realtà non regna. Questo è l’errore che paga lo Scrittore, il quale sta contribuendo a togliere la speranza da lui stesso accesa. Toccava davvero a uno scrittore farlo?
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