––– scrittore e giornalista, opinionista, storicista, meridionalista, culturalmente unitarista ––– "Baciata da Dio, stuprata dall'uomo. È Napoli, sulla cui vita indago per parlare del mondo."
“D10S”, la statua del popolo donata dal maestro Domenico Sepe ai napoletani, sarà inaugurata giovedì 25 alle ore 13,30 all’esterno dello stadio “Maradona”. Un dono alla città di Napoli e al suo campione più amato nel giorno dell’anniversario della sua scomparsa. Nel piazzale antistante i varchi d’ingresso del settore Distinti dello stadio a lui intitolato verrà posizionata la statua che ritrae il fuoriclasse argentino. L’opera resterà visibile fino alle ore 22 dello stesso giorno, in attesa della sua definitiva collocazione nel medesimo posto, che sarà effettuata nelle prossime settimane. Oltre all’inaugurazione della statua, il Comune, rappresentato dall’assessore allo sport Emanuela Ferrante, dall’assessore alla Mobilità Edoardo Cosenza e dall’assessore alla Legalità Antonio De Iesu, omaggerà la memoria della leggenda azzurra con una composizione floreale raffigurante il mitico numero dieci. All’evento commemorativo saranno presenti, oltre ai rappresentanti delle istituzioni cittadine, alcuni ex compagni di squadra di Maradona e Diego Armando Maradona junior.
Angelo Forgione – 61 anni dello stadio di Fuorigrotta oggi! Il 6 dicembre del 1959 si disputava la primissima partita allo “stadio del Sole”. Il Napoli batteva la Juventus con il risultato di due reti a una. Impianto colossale poi dedicato nella primavera del 1961 all’apostolo Paolo da Tarso, portatore dell’evangelizzazione in Occidente partendo da Puteoli, l’antica Pozzuoli, ove sbarcò nel 61 d. C.Lo stadio, ancora per poco “San Paolo”, festeggia oggi i suoi 61 anni con la delibera di Giunta per il via libera, a furor di popolo, all’intitolazione a Diego Armando Maradona. Uno stadio pronto ad essere intitolato non solo al più grande calciatore della storia qui di casa – e scusate se è poco – ma anche a un napoletano, al quale dedico la mia creatività.
Angelo Forgione – Domenica 6 dicembre saranno trascorsi esattamente 61 anni dall’inaugurazione dello stadio di Fuorigrotta, in occasione di uno storico Napoli-Juventus (2-1). Era stato chiamato “Stadio del Sole”, ma proprio nella primavera del ’61, in occasione del diciannovesimo centenario dell’approdo a Puteoli, attuale Pozzuoli, di san Paolo di Tarso nel suo viaggio da Oriente verso Roma, fu firmata la delibera dell’intitolazione all’apostolo che aveva percorso la via che dalla zona flegrea portava alla Città Eterna, compiendo i suoi passi nelle vicinanze del luogo dove era stato costruito lo stadio, ovvero l’attuale via Terracina, in cui ancora oggi sono visibili dei significativi scavi archeologici. A san Paolo sarebbero stati poi dedicati nelle vicinanze anche un parco residenziale e l’ospedale.
Il numero 61 ricorre continuamente in questa storia. Anno 61, anno 1961, i 61 anni dello stadio e pure il 61esimo anno di vita appena iniziato in cui è spirato Maradona, cui venerdì sarà ufficialmente intitolato lo stadio dalla Giunta Comunale e dal sindaco De Magistris. Un atto doveroso perché in quello stadio sono state scritte pagine importantissime della storia del calciatore più grande di sempre fattosi mito con la sua scomparsa.
Don Tonino Palmese, docente di Teologia e di Pedagogia, chiede al Prefetto di Napoli di conservare la vecchia denominazione dello stadio e sposarla alla nuova (“San Paolo – Maradona”), mentre la diocesi di Pozzuoli, competente per il quartiere di Fuorigrotta, ha invece già “abdicato”:
La memoria di un popolo, il nostro, aperto per sua natura alla cultura dell’incontro, si è mantenuta viva per molto tempo prima che lo stadio venisse costruito, e si manterrà viva ancora dopo. È nel cuore, nella coscienza, di ogni abitante di questa terra che essa vive. Ci sembra invece che intitolare lo stadio a Diego Armando Maradona possa oggi essere un segno di richiamo ai valori fondanti lo sport, facendo riferimento a uno dei suoi più grandi rappresentanti, e a una passione che dall’ambito puramente sportivo deve diffondersi in tutto il tessuto sociale, politico, economico della nostra terra flegrea, con particolare attenzione ai più bisognosi secondo quella generosità che fu anche del giocatore argentino.Ben venga, dunque, l’intitolazione a Diego Armando Maradona del principale impianto sportivo della nostra città, se questo aiuterà la crescita umana e sociale della nostra terra purché non si perda la memoria delle nostre radici e ci siano iniziative culturali significative che mettano in evidenza i fondamenti greco-romani e cristiani della storia del nostro territorio. Senza radici profonde dove andiamo?”
San Paolo portò l’evangelizzazione in Occidente e dalle sponde flegree iniziò la sua diffusione. Il problema, dunque, è studiarla la storia, e chissà quante persone, fino ad oggi, abbiano approfondito il perché lo stadio di Fuorigrotta fosse stato intitolato a san Paolo.
Ne abbiamo chiacchierato a La Radiazza di Gianni Simioli (Radio Marte) con monsignor Gennaro Matino, docente di Teologia pastorale e scrittore.
Angelo Forgione – 6 dicembre 1959. Sessant’anni tondi sono trascorsi dalla data dell’inaugurazione dello stadio “del Sole” di Fuorigrotta, poi dedicato all’Apostolo Paolo di Tarso in ricordo del suo sbarco sulle coste flegree nel febbraio dell’anno 61. Compie dunque 60 anni l’opera in travertino e cemento dell’architetto razionalista Carlo Cocchia, necessaria dopo le distruzioni della guerra.
Bisogna infatti fare un passo indietro di diciassette anni dal taglio del nastro per leggere tutta la storia del grande stadio di Napoli. Anno 1942: lo stadio “Partenopeo” del rione Luzzatti di Gianturco, simbolo della modernità fascista, con una capienza di quarantamila spettatori, viene raso al suolo dai raid aerei degli anglo-americani che colpiscono violentemente Napoli. In vista dei Mondiali in Italia del ’34, era stato edificato in cemento armato al posto del vecchio ligneo “Vesuvio”, voluto nel ‘30 da Giorgio Ascarelli.
La necessaria costruzione di un nuovo stadio napoletano viene deliberata il 22 dicembre 1949 dal Comune di Napoli, col supporto del CONI e del Governo, grazie ai finanziamenti della schedina a pronostici Sisal appena nata e all’assegnazione alla città di un miliardo di lire da parte del Consiglio dei Ministri, con gran fastidio negli ambienti calcistici del Nord-Italia, tanto da porre i dirigenti del Napoli in contrasto con la Lega Calcio, accusata di essere governata da una “casta milanese” maldisposta al cospicuo finanziamento del Governo.
Il progetto originario prevede un solo anello, quello attualmente al livello superiore, ma ne viene aggiunto uno ulteriore al di sotto del livello stradale per ottenere una capienza di circa novantamila spettatori. Il plastico del monumentale stadio viene presentato da Achille Lauro e dal primo ministro Mario Scelba, ma ci vogliono però dieci anni per vedere il completamento del nuovo impianto, il cui cantiere si apre nel nuovo arioso quartiere di Fuorigrotta il 27 aprile 1952.
Il 6 dicembre 1959, dunque, il Napoli prende finalmente possesso della sua nuova comoda e maestosa casa. Miglior battesimo non si può celebrare: battuta la Juventus con immediato record di spettatori della Serie A. I club del Nord verificano immediatamente quel che significava per i napoletani il loro nuovo tempio del calcio.
Sessant’anni da quel giorno e un po’ tutto è cambiato. È cambiato il calcio, è cambiata Fuorigrotta ed è cambiato lo stadio “San Paolo”, sfigurato trent’anni dopo dal ferroso restyling per i Mondiali del 1990 e degnamente ritrovato solo dopo un altro trentennio con la ristrutturazione interna operata in occasione delle Universiadi 2019. Oggi è azzurro, colorato, omologato per 55mila spettatori comodamente seduti. Pur sempre vecchio, anche se i pali delle porte non sono più squadrati come in principio. Ma anche se nulla più è romantico come quando tutto era in bianco e nero, il “San Paolo” resta lo stadio del record di spettatori paganti – 89.992 tagliandi staccati per un Napoli-Perugia del 21 ottobre 1979 – e il mitico palcoscenico del più grande calciatore della storia. E scusate se è poco.
per approfondimenti: Dov’è la Vittoria (Angelo Forgione – Magenes)
Angelo Forgione – Se non si è napoletani, ma napoletani di almeno trent’anni di età, non si può capire davvero cosa sia Edenlandia, anzi, l’Edenlandia. Questo luogo magico nel quartiere flegreo del fascismo non è semplicemente il primo lunapark a tema d’Europa. Edenlandia è una parola che fa rima con tronchi, con graffa, con tozzi-tozzi e con altre parole che la rima la baciano solo col pensiero.
Edenlandia è il luogo dove i napoletani possono tornar bambini, il luogo dove i bambini possono tornare a giocare posando lo smartphone.
Edenlandia è il luogo dove sono nato, letteralmente e provvidenzialmente, perché le acque, a mia madre, si ruppero prematuramente in un fosso stradale colto portandovici i miei fratelli, che già amavano i tronchi, la graffa e i tozzi-tozzi. Libero dal cordone ombelicale che mi avrebbe asfissiato, iniziai ad amarli anch’io, e quel parco mi sembrava immenso, sconfinato, perché ad esserlo erano i miei sogni, la mia spensieratezza.
Ieri, Edenlandia è tornata a dispensare sorrisi, e io tornato a lei, come un pellegrino a San Pietro. Mezza Napoli era lì. Emozione forte, incantesimo di una notte d’estate al chiaro di luna!
Mi sembrava piccolissima, come se fossi divenuto un gigante. Il fatto è che quando diventi adulto sono troppo ingombranti i pensieri, ma non abbastanza per non poter tirare fuori il bambino che è in te. E allora di nuovo la graffa, calda, ricca di zucchero da restare attaccato sulle labbra, sulle guance, sul muso, sulla punta del naso. Di nuovo i tozzi-tozzi. I tronchi non ancora, si faranno attendere un po’, ma ciò che importa è che Edenlandia sia di nuovo lì, sostanzialmente uguale a com’era, senza stupire ma a riavvolgere il nastro del tempo di chi l’ha vissuta negli anni in cui tutto sembrava possibile. Ed è giusto così.
La magia, sana e salva, è tornata!
Angelo Forgione– In vista della partita di ritorno di Champions League contro il Real Madrid, quasi pronti i nuovi spogliatoi e bagni ospiti e la nuova tribuna stampa dello stadio San Paolo di Napoli. È il primo lotto di lavori consentiti dal finanziamento di 25 milioni di euro ottenuto dal Comune di Napoli con un mutuo acceso presso l’Istituto per il Credito Sportivo, una banca pubblica che di certo non pratica tassi di mercato. Soldi che, ovviamente, sono destinati a gravare sul bilancio comunale.
Il sindaco De Magistris ha rimarcato lo sforzo di Palazzo San Giacomo per presentare uno stadio decente ai madrileni e per rifare, prossimamente, sediolini, bagni e servizi essenziali, sottolineando che certi lavori, in altre città, vengono effettuati con contributo delle società sportive. Dall’altra parte c’è il patron azzurro De Laurentiis che reclama somme avanzate per la manutenzione “straordinaria”. Nella diatriba ormai storica tra il Comune e la SSC Napoli paga la città, che ancora non ha una prospettiva di nuovo stadio. Resta in piedi il vetusto San Paolo, in corso di ristrutturazione necessaria, un riammodernamento necessario, con aggravio su una città che vede la sua impiantistica sportiva alla canna del gas, asfissiata dalle somme necessarie a tenere in vita il gigante di Fuorigrotta. Inutile dire che il Comune di Napoli dovrà prima o poi alienare o dare in concessione questa proprietà troppo dispendiosa. Inutile dire che il Napoli dovrà dotarsi di una struttura moderna e propria se vuole aumentare il fatturato e restare ad alti livelli di competitività.
In questo scenario a tinte fosche in cui ci perdono cittadini, tifosi, immagine della città e della società sportiva, va evidenziato che la spesa di 25 milioni per tamponare le emergenze dell’impianto flegreo e persino inferiore alla sola cifra che la Juventus ha ottenuto dalla società di marketing Sportfive Italia del gruppo francese Lagardère. 35 milioni sull’unghia, subito, per costruire il suo nuovo stadio, dei 75 concordati per la cessione del diritto all’intero incasso del contratto d’affitto fino al 30 giugno 2023, ma a condizione di trovare uno sponsor che desse il nome allo Juventus Stadium. Sono passati quasi 6 anni dei 12 pattuiti e ancora nessuno si è fatto avanti, perché la Serie A non è appetibile all’estero. Soldi quindi già persi per metà dalla Sportfive, cioè 37,5 milioni ad oggi di cui la Juventus ha beneficiato, e di fatto donati, per creare una struttura moderna e redditiva, senza contare altre voci di diritti ceduti a terzi. A conti fatti, l’operazione Continassa produsse alla Juventus un esborso di 25 milioni di euro per l’acquisto dei diritti sui terreni comunali e una liquidità immediata garantita dalla cessione di vari diritti pari a 55 milioni. A Napoli, intanto, il Comune si carica di debiti per un ferro vecchio.
in un video del 1959, le immagini della storica inaugurazione
Angelo Forgione –Un momento di storia non solo sportiva di Napoli: 6 dicembre 1959, inaugurazione dello stadio “del Sole” di Fuorigrotta, poi ‘San Paolo’ in ricordo dello sbarco dell’Apostolo sulle coste flegree nel febbraio dell’anno 61. Opera dell’architetto razionalista Carlo Cocchia, nella visione di armonia stilistica del nuovo quartiere Fuorigrotta legata alle altre strutture similari e contemporanee (Arena Flegrea, fontana dell’Esedra, edifici della Mostra d’Oltremare e facoltà di Ingegneria), alcune delle quali firmate dallo stesso architetto. Il finanziamento governativo del 1848 e la sua decennale costruzione risultarono indigesti ai rappresentanti delle grandi squadre del Nord, a tal punto che quelli del Napoli andarono all’aspro conflitto in Federazione. Già retrocesso sul campo, il club azzurro fu punito d’ufficio per un illecito sportivo non dimostrato, ricevendo dalla Lega di Milano una punizione per il tentativo di voler coalizzare i club del Sud contro i “poteri forti” del Calcio settentrionale, che facevano opposizione all’ambizioso progetto di realizzare un monumentale e necessario stadio al Sud, il futuro ‘San Paolo‘. Le indagini portarono a una decina di incontri combinati in quella stagione, di cui almeno cinque di Serie A. L’unico club a pagare moralmente fu il riottoso Napoli, schiaffeggiato per dimostare chi comandava.
Il nuovo stadio si rese necessario dopo la guerra. Lo stadio ‘Partenopeo’ di Napoli, simbolo della modernità fascista, con una capienza di quarantamila spettatori, non esisteva praticamente più. In vista dei Mondiali in Italia del ‘34 era stato edificato in cemento armato al posto del vecchio ‘Vesuvio’, stadio con tribune in legno voluto nel ‘30 da Giorgio Ascarelli al rione Luzzatti di Gianturco, ma fu raso al suolo dai raid aerei nel 1942. Il Napoli si era visto costretto a trasferirsi al ‘Campo sportivo del Littorio’ al Vomero (1929), poco dopo requisito dalle forze armate tedesche e utilizzato come campo di concentramento per i napoletani da deportare in Germania, divenendo uno dei luoghi simbolici delle Quattro giornate di Napoli. Conclusa la guerra, il Napoli tornò a giocare in quell’impianto, ormai al limite dell’agibilità. E infatti, durante l’incontro Napoli-Bari del ‘46, una tribuna cedette durante l’esultanza per un goal della squadra di casa: 114 feriti finirono all’ospedale. Ci vollero ben tredici anni per abbandonare una simile precarietà e inadeguatezza.
Il 22 dicembre ‘49 fu finalmente deliberata dal Comune di Napoli, col supporto del CONI e del Governo, la costruzione di un colossale stadio, ormai necessario, ma per vedere la sua inaugurazione si dovette attendere un decennio esatto.
1954 – Achille Lauro e il primo ministro Mario Scelba presentano il plastico del nuovo stadio
il cantiere, aperto il 27 aprile 1952
Il 6 dicembre ’59, il Napoli prese possesso della sua nuova comoda e impnente casa. E fu subito record della Serie A. Miglior esordio non poteva celebrarsi: vittoria sulla Juventus (2-1). Le nordiche verificarono immediatamente quello che avevano temuto e ciò che già significava per i napoletani il loro nuovo tempio del calcio.
Poi deturpato il quartiere di Fuorigrotta, e sfigurato anche lo stadio con lo scempioso restyling dei Mondiali 1990, l’impianto è purtroppo divenuto un problema per le casse comunali e un limite per le ambizioni del Napoli.
(maggiori approfondimenti su Dov’è la Vittoria – Magenes).
Nel servizio dell’11 dicembre dell’Istituto LUCE, il filmato di quella “assolata” domenica di del dicembre di cinquantacinque anni fa.
Angelo Forgione – Accordo in vista per il restyling dello stadio ‘San Paolo’. Secondo le indiscrezioni, Comune di Napoli e Società Sportiva Calcio Napoli sembrerebbero essere già d’accordo su quello che dovrà essere lo studio di fattibilità da presentare nei prossimi mesi, per poi dare il via ai lavori. Non ci sarebbe troppo da giore se non fosse che il dibattito va avanti da almeno quindici anni, e verte più o meno sempre sugli stessi punti: rimozione dell’indegna copertura in ferro realizzata per i mondiali del 1990, del terzo anello pure in ferro, installazione di un maxischermo, apertura dei parcheggi sotterranei, rifacimento della tribuna stampa, creazione di aree vip, realizzazione di attività commerciali e rifacimento dell’area urbana esterna. Il fatto è che, mentre negli ultimi tre lustri Napoli ha discusso di stadio nuovo o rifatto, entusiasmandosi per i vari disegni di questo e quel progetto (inutile), l’Europa e il suo Calcio sono cambiati, e la prospettata conclusione della vicenda napoletana non può che essere inadeguata.
L’operazione prevista è all’insegna del “meglio di niente”. Si tratta di una ristrutturazione di uno stadio vecchio, inaugurato nel 1959 (la delibera di costruzione fu siglata nel 1949), e con evidenti limiti incancellabili. È solo un necessario passo avanti, pur costoso, per restituire decenza ad una struttura indecente di cui ci si vergogna nelle notti europee, ma non quello di cui necessitano Napoli e il Napoli per avvicinarsi agli standard moderni. È come ristrutturare un palazzo condominiale in pessime condizioni per renderlo degno dal punto di vista urbanistico quando c’è bisogno di costruire un albergo con servizi e attrazioni. Occorrerebbe costruire un impianto nuovo, altrove o sulle “macerie” del ‘San Paolo’, di proprietà, con gli spalti a ridosso del terreno di gioco, con tutte le strutture interne ed esterne necessarie per l’accoglienza delle famiglie e per l’attrazione degli sponsor. Altrove, dove gli stadi li pagano proprio i privati, è così che si sta ragionando da tempo, e anche in Italia, seppur a fatica, si sta inaugurando la stagione degli stadi “privati”, a partire dal caso limite della Juventus, proseguendo per l’Udinese, e poi per la Roma, con Milan, Inter, Lazio e Fiorentina che ragionano in questo senso. A Napoli ci si dovrà purtroppo accontentare di una ristrutturazione di uno stadio comunale, che tale resterà, con tanto di pista di atletica e altri grossi vincoli architettonici e urbanistici impossibili da aggirare.
Dovrebbe essere il Napoli, con l’ausilio di eventuali sponsor (sperando che arrivino), a farsi carico delle spese di ristrutturazione, utili a riattare la Curva A, a sistemare l’impiantistica elettrica e idraulica, i servizi igienici, gli spogliatoi, il fossato, per sostituire i sediolini (forse azzurri e non più rossi; ndr), creare aree vip e attività commerciali. Il resto è tutto ancora da definire. Il Comune conserverebbe l’uso di uffici e palestre, ma anche della pista di atletica, così come del diritto di organizzare concerti con esclusione del prato, che il Napoli ha rigenerato qualche anno fa rendendolo il migliore d’Italia. L’opzione concerti indicherebbe anche la rimozione di tutte le strutture in ferro riversate sullo stadio per i Mondiali del 1990, responsabili della propagazione al suolo delle vibrazioni strutturali e causa dell’intervento nel 2005 della Commissione Provinciale di Vigilanza, che dichiarò chiusa la stagione dei concerti e inibì l’accesso al terzo anello durante le partite di Calcio.
Più di questo il patron De Laurentiis non può fare, e se ha deciso di farlo è perché ha compreso che non è possibile andare oltre in una piazza che mostra evidenti gli svantaggi di localizzazione geografica, dove un’operazione stile ‘Juventus Stadium’ è impossibile da compiere, e dove è difficile far confluire capitali privati esterni per dotarsi di uno stadio polifunzionale di proprietà che incida sensibilmente sul fatturato del club. Gli altri corrono, e qualche passo avanti pur va fatto. Meglio di niente.
Angelo Forgione –De Laurentiis sì, De Laurentiis no. I tifosi del Napoli sono ormai spaccati in due fronti, tra chi sostiene il progetto in corso e chi invece si professa totalmente ostile al presidente. La parola più gettonata dai secondi è “pappone”, quella che si insinua nei bar e negli uffici della città, dove la frustrazione per lo scudetto che non arriva mai cresce. Ma dov’è la verità? Chi ha ragione?
A leggere le cifre dell’ultimo bilancio della SSC Napoli, chiuso al 30 giugno 2014 con un record storico di 237 milioni (151 nel 2013), potrebbe venir fuori un quadro sinistro, fatto di un club che incassa tanto e spende solo in parte. Messa così sembra che non si possa non dar ragione ai contestatori, ma non tutto è come appare. Nell’ultima chiusura rientrano la faraonica plusvalenza della cessione di Cavani e i ricavi della scorsa Champions League, e i costi di gestione sono aumentati, con un’impennata degli ingaggi e degli ammortamenti dei calciatori in organico. È lo scotto da pagare per poter ingaggiare qualche campione e tenere una società ad alti livelli, come quelli in cui si è attestato il sodalizio partenopeo (unica squadra italiana da cinque anni nelle coppe europee).
La bilancia è quasi in equilibrio, ma con l’eliminazione dalla Champions League di agosto e il mantenimento dei calciatori di prima fascia inizia a pendere verso il passivo: si va infatti incontro a un prossimo bilancio tutt’altro che florido. Stante la ferrea volontà di De Laurentiis di non indebitarsi con le banche, il tesoretto che ha in cassa non lo sperpererà di certo gettandolo dalle finestre prossime di mercato ma lo terrà in buona parte al sicuro per mantenere l’equilibrio dei conti. Insomma, la verità è che De Laurentiis ha sì il portafoglio col lucchetto ma non “pappa” granché. Nel calcio italiano di oggi vince chi si indebita e il patron azzurro non intende mettere la società nei guai. Dunque, in assenza di forti investitori all’orizzonte, un Napoli virtuoso è grasso che cola.
Il vero problema resta lo stadio. Secondo la relazione del Coni Servizi, firmata da Michele Uva, direttore generale del Coni Servizi, nella relazione consegnata al Comune di Napoli lo scorso luglio per stimare il valore d’uso dell’impianto in funzione del rinnovo della convenzione con la SSC Napoli, il “San Paolo”, se adeguatamente sfruttato, potrebbe fruttare oltre 31 milioni. Sempre pochi rispetto ai quasi 41 dello “Juventus Stadium”, ma molti rispetto ai 21,5 messi a bilancio dal club azzurro nel 2014 (15 nel 2013) a causa delle carenze dell’impianto di casa. Non spiccoli, ma soldi che, ad esempio, avrebbero potuto trattenere Reina, cioè conservare il valore del bisognoso reparto difensivo. E intanto un nuovo stadio, il cui progetto è da depositare in Comune entro il 31 maggio prossimo, è ancora una chimera.
dibattito sul progetto Napoli di De Laurentiis tratto da Club Napoli All News (Tele Club Italia)
Angelo Forgione –Mentre Napoli e Cagliari giocavano a chi sbagliava e segnava di più, il presidente De Laurentiis e il sindaco De Magistris assistevano allo spettacolo lontani l’uno dall’altro. La tregua tra il Comune di Napoli e la SSC Napoli, dopo la ventilata fuga in direzione Palermo, si è nuovamente interrotta in un’accesa discussione a Palazzo San Giacomo di venerdì scorso, e tra le parti è di nuovo gelo per la volontà del sindaco di aprire i cancelli dello stadio ai concerti di Vasco Rossi e Jovanotti del prossimo luglio. Il patron azzurro non ci sta, perché ha speso soldi per rifare il prato, e non ci stanno neanche i residenti attorno all’impianto sportivo, rappresentati dal comitato civico ‘Fuorigrotta vivibile’, che ha chiesto una convocazione urgente al Comune e ha inviato una diffida al Prefetto per segnalare l’esistenza di un fascicolo in Procura per inquinamento acustico. Furono proprio Mariano Attanasio e Teofilo Migliaccio, presidente e legale del comitato, a sollevare anni fa il problema delle strutture in acciaio montate per i Mondiali del 1990, che scaricavano al suolo le forti vibrazioni attraverso i sostegni della copertura e raggiungevano i palazzi circostanti. Risultato: veri e propri micro-terremoti che aprirono anche piccole lesioni nei fabbricati attorno. L’allarme fu lanciato proprio durante un concerto di Vasco Rossi nel luglio del 2004: in coincidenza dell’orario d’inizio il segnale monocromatico dell’Osservatorio Vesuviano cominciò a registrare un “fenomeno di rilievo”, che si protrasse per l’intera durata dell’esibizione musicale. Ballarono i fans del ‘Blasco’ ma anche i residenti di Fuorigrotta, che abbandonarono le abitazioni per timore di un sisma. Nel 2005 intervenne la Commissione Provinciale di Vigilanza, inibendo l’accesso al terzo anello in ferro durante le partite di Calcio. E finì anche l’epoca dei concerti nell’impianto flegreo.
Lo stadio continua ad essere un problema per la Città, che non ha altri spazi idonei per i grandi eventi musicali, ed è un gran problema anche per il Calcio Napoli, che perde potenzialmente 15 milioni di euro all’anno a causa delle carenze dell’impianto di casa. A certificarlo è la relazione del Coni Servizi, firmata da Michele Uva, direttore generale del Coni Servizi, nella relazione consegnata al Comune di Napoli lo scorso luglio per stimare il valore d’uso dell’impianto in funzione del rinnovo della convenzione con la SSC Napoli. Il club azzurro, nelle sue voci di bilancio 2012-2013, ha introitato 15 milioni dallo stadio, che, se adeguatamente sfruttato, potrebbe produrne invece oltre 31. Considerando i 41 milioni a bilancio della Juventus, i 34 del Milan, i 21 della Roma e i 20 dell’Inter, è evidente il limite rappresentato al momento dall’impianto di Fuorigrotta. “Lo stadio San Paolo – sottolinea Michele Uva – non può essere ad oggi considerato uno stadio moderno che permette lo sfruttamento delle potenzialità proprie della SSC Napoli».
I 15 milioni di euro annuali “non spremuti” frenano il passo in avanti che il virtuoso Napoli, giustamente refrattario al ricorso al credito delle banche, potrebbe e dovrebbe compiere al limite del suo percorso di costante crescita. Risorse che avrebbero consentito di trattenere qualche ‘top player’, o comprarne qualcuno in più per sostituirlo. Un vuoto che non può consentire ulteriori ritardi alla ristrutturazione dell’impianto da parte della società e del Comune. Il progetto doveva essere despositato in Comune entro marzo 2015, ma una nuova proroga ha portato il limite al 31 maggio. Non sono più tollerabili altri rinvii.