Le 7 strisce sulla Pastiera napoletana? Una “bufala” nata nel 2016.

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Angelo ForgioneLa fantasia dei napoletani è proverbiale e affonda le sue radici nella nascita stessa della città, nella mitica leggenda della donna uccello Parthenia, la Sirena che, insieme a Ligea e Leucosia, si getta in mare in preda alla disperazione causata dall’insensibilità di Ulisse alla malia del loro canto e finisce defunta sulle sponde rocciose dove viene fondata la Palaeopolis pregreca, nominata appunto Parthenope.
Sono trascorsi millenni e le leggende continuano ad essere partorite, alcune riferite a miti e simboli autentici, altre inventate di sana pianta, senza alcun esoterismo di fondo… come quella recentissima delle sette strisce di pasta frolla incrociate a croce greca – tre in un senso e quattro nell’altro – che dovrebbero coprire la deliziosa Pastiera napoletana. Rappresenterebbero la “planimetria” ippodamea a scacchiera di Neapolis, il centro storico Unesco, con i suoi plateai / decumani intersecati dagli stenopoi / cardi. Una fantasia che non trova corrispondenza nel numero, visto che i plateai / decumani sono effettivamente tre ma gli stenopoi / cardi che li intersecano sono assai più di quattro (e irregolari).

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Una fantasia che, soprattutto, non trova alcun riscontro nelle documentazioni storiche e nelle primissime ricette scritte al tempo del Regno di Napoli, tra l’epoca barocca e quella neoclassica. La nascita della Pastiera napoletana è infatti databile al Cinquecento, ma la preparazione, come quelle di altre squisitezze partenopee, è stata incubata, modificata e perfezionata nel tempo all’interno dei monasteri dell’antica Napoli. Nel Settecento, proprio le suore di San Gregorio Armeno ne avrebbero canonizzato la versione attuale, diversa da quella dell’epoca barocca precedente. Il nome “Pastiera”, infatti, come già divulgato da chi scrive, compare per iscritto nel 1693 nel trattato di cucina Lo scalco alla moderna del marchigiano Antonio Latini, scritto a Napoli e qui pubblicato nel 1693. La ricetta è quella della Di Grano, detto alla Napolitana Pastiera, una torta a metà tra il rustico e il dolce in cui, oltre a grano e ricotta, era prevista una bella quantità di formaggio Parmigiano grattato, pepe, sale, pistacchi in acqua rosa muschiata e latte di pistacchi, tutto raccolto in pasta di marzapane stemperata con altri aromi antichi.

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Il Latini non fa alcun riferimento al numero di “sfogli” di marzapane per la copertura, e non lo fa neanche il pugliese Vincenzo Corrado, capocuoco presso il palazzo Cellamare di Napoli, che nel 1773, cioè ottant’anni più tardi, pubblica la prima edizione de Il Cuoco Galante, dove si legge la preparazione della Torta di frumento. Le modalità descritte dal Corrado insegnano a preparare una Pastiera più aderente a quella dolce di oggi, pur partendo dalla cottura del grano in un brodo di cappone, “la quale si coprirà con altra pasta a striscie”, senza alcuna indicazione di quantità.

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Neppure il napoletano Ippolito Cavalcanti, nel 1837, accenna in alcun modo alle sette strisce nella sua ricetta scritta nell’appendice dialettale Cucina casarinola all’uso nuosto napolitano inserita nella prima edizione del suo ampio trattato didattico Cucina teorico-pratica, vero e proprio compendio dell’ormai moderna cucina napoletana. Le indicazioni del Cavalcanti insegnano a preparare una Pastiera dolce, pur offrendo l’opportunità di farla “rusteca”.

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Il Cavalcanti scrive di “cancellata de tante laganelle”, senza precisare quante. Non lo fa nessuno per secoli, facendosi pastiere di ogni strisciatura nelle case e nelle pasticcerie vesuviane. Fino al 2016, quando una pasticceria nel cuore dei decumani distribuisce ai suoi clienti un racconto cartaceo intestato alla onlus “I Sedili di Napoli” in cui si narra dell’opportunità di coprire la Pastiera proprio con sette strisce, esattamente come quella mostrata dal pasticciere immortalato nella foto.

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Nient’altro che un’ottima operazione di marketing territoriale che però non sfonda con la sola diffusione cartacea e con la pubblicazione su corpodinapoli.it. C’è bisogno dei social network affinché la divulgazione della nuova leggenda bruci i tempi biblici della tradizione orale e corra a velocità della rete. Le pubblicazioni sui portali identitari e soprattutto sui gruppi facebook napoletanisti si ripetono con un certo impulso a Pasqua del 2019, tutti ricalcando a cascata lo scritto de “I Sedili di Napoli” e quindi senza offrire fonti a coloro che le chiedono, pochi per la verità. Pasqua 2020 è quella dell’esplosione virale della bufala, e ci casca anche qualche divulgatore di spicco. La leggenda metropolitana è ormai virale, e me ne accorgo sulla mia pelle l’11 aprile, vigilia della Resurrezione, pubblicando su Facebook un post sulla storia della Pastiera con una foto allegata che mi ritrae in quarantena al balcone con la mia Pastiera in mano. La mia “cancellata” a rombi è realizzata con sei strisce, esattamente come in passato, quando mai nessuno ha trovato nulla da contestare. Stavolta, invece, apriti cielo! Fioccano commenti del tipo mi cadi proprio sulla pastiera! Le strisce devono essere 7″, come se proprio io abbia commesso alto oltraggio alla napoletanità. Buona parte dei lettori, invece di beneficiare della storia documentata della Pastiera napoletana loro offertagli, del sorprendente passaggio dalla torta rustica alla torta dolce, trovano da ridire sul numero di strisce.
Il giorno seguente, sera della domenica di Pasqua, il presidente della Onlus “I sedili di Napoli”, Giuseppe Serroni, pubblica un suo post sulla pagina Facebook personale (taggando il titolare della pasticceria da cui tutto ha avuto origine) con cui si dice “lieto dell’attuale divulgazione di massa, col copia-incolla, in molti casi” della storiella, avvertendo che “il documento originale è del 2016, quando la Pasticceria Ippolito a San Gaetano, cominciò a distribuirlo ai suoi acquirenti”.

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Nonostante l’ammissione pubblica, qualcuno continua a chiedere le fonti a Serroni, il quale avvisa che non c’è nessuna fonte storica. La cosa è nata un po’ per scherzo, un po’ come “ipotesi” per ricordare che abbiamo Radici storiche e Culturali molto antiche e che la Sacralità muove ancora oggi le azioni dei Napolitani. Oggi vedo, con un sorriso, che questa “teoria” è diventata “verità” perché quest’anno sta invadendo i Social”. Macché! Nessuna verità, neanche tra virgolette; non può diventarlo uno “scherzo-ipotesi” nato per attrarre clienti in pasticceria, click sul web e like sui social, a meno che non si voglia credere anche, per esempio, che la pizza margherita, già esistente almeno nel 1858 borbonico, sia stata inventata per l’omonima Savoia regina d’Italia nel 1889. Almeno lì sono passati un secolo e mezzo di delicata retorica risorgimentale. Qui siamo di fronte a un’invenzione suggestiva alla quale in tanti hanno creduto in men che non si dica, ma pur sempre tale.

La vera storia della Pizza Margherita a ‘Domenica Luna Live’

La vera storia della pizza margherita, ma anche del pomodoro e delle mozzarella, alla trasmissione Domenica Luna Live (Tv Luna) condotta da Paola Mercurio.

contributo tratto da History Channel

A battesimo la rinascita di Carditello

Rinasce la Real Tenuta di Carditello! Nella mattinata di sabato 29 ottobre la piccola reggia borbonica in tenimento di San Tammaro, riacquistata dallo Stato grazie all’interessamento dell’ex ministro dei beni culturali Massimo Bray, riaprirà al pubblico, dopo un primo restauro durato un anno e mezzo che ha riedificato l’immagine complessiva del sito assicurando un primo livello di fruizione. Nel galoppatoio antistante l’edificio centrale andrà in scena lo spettacolo “Cavalli e Cavalieri”, esibizione equestre in tre momenti: una rievocazione storica sul cavallo Persano a Carditello nel XVIII secolo, un saggio d’alta scuola italiana e delle esibizioni del 4° Reggimento Carabinieri a Cavallo con fanfara.
Presto si passerà a un secondo lotto di lavori che restituirà definitivamente la Tenuta borbonica alla sua vocazione propulsiva per la rinascita del territorio, dopo decenni di abbandono e saccheggi, di lotte e storie commuoventi, su tutte quella di Tommaso Cestrone.

La mozzarella di bufala in pole position in Inghilterra

Angelo Forgione Qualcuno ricorderà il sudafricano Jody Scheckter, campione del mondo di Formula 1 con la Ferrari nel 1979, l’ultimo prima dell’era Schumacher, ed ex compagno di scuderia di Gilles Villeneuve. Sapete di cosa vive oggi? Ha un’azienda di agricoltura biologica nell’Hampshire, sud dell’Inghilterra, la Laverstoke Park Farm, considerata un modello da esperti internazionali, dove alleva bufale e produce mozzarella, formaggi e carni bufaline con tecnologia tradizionale italiana. Qualche anno fa, cercando di sfuggire al destino di invecchiare sul ponte di uno yacht a Montecarlo, si mise in testa di offrire alla famiglia il meglio in fatto di cibo. E lui la differenza la conosceva dai tempi delle gare. In scuderia Ferrari gustava pranzi fatti di pasta, formaggi e ogni altro ben di Dio. Negli altri team in cui era stato solo sandwich fatti con pane di gomma e ingredienti poco nutritivi. E allora è tornato in Italia, ha iniziato a girare le aziende agricole e nel 2010 si è fermato nel Casertano, restando favorevolmente colpito dagli allevamenti, dalla lavorazione casearia e dal gusto unico delle mozzarelle di bufala campane che vi si producevano. Qui ha capito perché gli italiani volevano quella mozzarella, distante anni luce dai prodotti che circolavano nel Regno Unito e in buona parte anche nella stessa Italia, e così ha deciso di avviare la nuova attività investendo molti danari allo scopo. Ha fatto piantare 130.000 alberi, ha fatto crescere 31 differenti varietà di erba per dare un pascolo paradisiaco alle bufale che ha fatto venire dall’Italia e dalla Romania. Alla fine ha preso la cosa sul serio, si è ingrandito, si è dotato di un sofisticato e costoso macchinario di un’industria modenese per la specifica produzione e ha creato lavoro per un centinaio di persone. Il tutto all’insegna del bio, della guerra ai pesticidi e del primo trattore al mondo che scorrazza nella tenuta con un pieno di olio di colza. E ora è il miglior produttore inglese di mozzarelle di bufala.

Un parmigiano a Caserta: «i campani sono legati all’età borbonica»

tatuaggio_giglioDa Parma a Caserta. È la storia di Carlo di Borbone, ma da qualche mese anche quella di Pier Maria Saccani, parmigiano, dallo scorso gennaio alla guida del Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana dop, ospite a Tagadà (La7) nella puntata dell’11 marzo (insieme al direttore della Reggia di Caserta Mauro Felicori; ndr). La padrona di casa, la napoletana Tiziana Panella, con un passato nella giunta provinciale casertana, gli chiede cosa l’ha colpito di più di Caserta. La risposta è chiara: «L’ospitalità, ma anche il legame col territorio. Ma, soprattutto, la conoscenza che i campani hanno del loro territorio e il grande orgoglio che hanno per la loro storia. Tutti conoscono la storia borbonica, ed è un legame morto forte!».
E se l’identità ha resistito a un secolo e mezzo di oblio storico…

Reggia di Caserta, un caso nato a tavola

felicori_marcianiseAngelo Forgione – Cerco di fare ancor più chiarezza sulla vicenda della Reggia di Caserta e del direttore Mauro Felicori che “permane nella struttura fino a tarda ora, senza che nessuno abbia comunicato e predisposto il servizio per tale permanenza” ma trasformato in Direttore che “lavora troppo” per innescare una strumentalizzazione di carattere marcatamente politico. E approfondisco grazie a una foto pubblicata (e illustrata) stamane su Facebook dall’autore dell’articolo de Il Mattino che ha fatto divampare la polemica, rendendo il bolognese Felicori (sul cui operato, sia chiaro, non ho motivo di dubitare; ndr) il direttore museale più famoso d’Italia, nove giorni dopo l’emissione della nota sindacale che lo contestava.
Mercoledì 2 marzo: 64esimo compleanno di Mauro Felicori. Il Direttore l’ha festeggiato con una cena al ‘Cafeina Eat’ di Marcianise, a tavola, con il suo compagno di ventura Pier Maria Saccani, parmigiano, direttore del Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana (sì, avete capito bene… la Bufala è guidata dal parmigiano), anche il caporedattore centrale casertano de Il Mattino Antonello Velardi, marcianisano, insieme ad altri colleghi di testata. A quel banchetto, Saccani non ha portato Mozzarelle di bufala dop ma Parmigiano Reggiano e Prosciutto di Parma. Velardi e i marcianisani hanno portato il vino. In un clima disteso e festoso si è anche discusso di Caserta, di Reggia, di Sud, di incapacità di fare sistema, e Felicori si è sfogato sull’atto di accusa di alcuni sindacati, emesso otto giorni prima. Il giorno seguente, Velardi ha scritto il pezzo, titolando «Il direttore lavora troppo, mette a rischio la Reggia di Caserta». Una volta pubblicato, la notizia con titolo manipolato è diventata inarrestabile, portandosi dietro il neanche troppo sottile stereotipo del casertano scansafatiche che si ribella al superiore bolognese, fino ad oltrepassare i confini nazionali. Da lì, il premier Matteo Renzi ha scritto il famoso post su facebook in cui ha annunciato che “la pacchia è finita”. Così, partendo da un serata a tavola nella provincia casertana, Felicori è diventato una star, il direttore di museo più noto e stakanovista d’Italia.
L’informazione locale aveva riportato integralmente la nota dei sindacati Uilpa, Ugl, Usb e Rsu nell’immediatezza dell’emissione, datata 23 febbraio, senza manipolarla e senza commentarla. Velardi, amico di tavola di Felicori, l’ha portata all’attenzione nazionale su Il Mattino, con grande ritardo e con il titolo “Il direttore lavora troppo”, frase che nel comunicato non c’è. E l’ha portata sul quotidiano immediatamente dopo un’allegra cena al ristorante col protagonista del pezzo, il contestato Felicori, la sera prima seduto a capotavola a gustar vino e Parmigiano e qualche ora dopo sui giornali a diventare eroe nazionale. Piccolo particolare della vicenda: il caporedattore Velardi mira ad ottenere dal PD di Renzi la candidatura a sindaco di Marcianise. Magari poteva tornare utile fornire al segretario di partito la possibilità di gonfiare il petto con un articolo “postdatato” su un direttore nominato dall’esecutivo di Governo.
Inutile dire che gran contributo alla vicenda l’hanno fornito tutti i giornali nazionali che, evidentemente, non hanno avuto alcun interesse a leggere bene la nota dei sindacati e ad approfondire la vicenda. Un coro mediatico che ha messo alla gogna, per l’ennesima volta, i lavoratori e la gente di Caserta, e del Mezzogiorno tutto.
Pochissimi hanno messo al centro del dibattito i veri problemi della Reggia, che neanche Felicori ha risolto. Stamane, mentre Velardi pubblicava la foto su Facebook, l’ormai più famoso direttore museale d’Italia era ospite alla trasmissione Agorà su Rai Tre. Nel suo intervento informava Francesco Rutelli e i telespettatori che ai giardini della Reggia di Caserta sono impiegati 2 giardinieri. 2 giardinieri per un parco di 120 ettari, che si estende su 3 chilometri, mentre i 22,5 ettari del Jardin du Luxembourg di Parigi ne contano ben 80. Ai giardini del Quirinale risultano in 14 (4 ettari), e 7 solo nella napoletana Villa Rosebery (6 ettari), abitata per pochi giorni l’anno. Dunque, invito nuovamente Mauro Felicori, come fatto di persona in diretta radiofonica, a bussare alle porte di Franceschini di Renzi, perché solo dando alla Reggia europea e l’attenzione che merita si può immaginare di farla rinascere davvero. La propaganda di Palazzo Chigi fa tutt’altro che bene.

La mozzarella di bufala fa bene alla salute

Angelo Forgione – La mozzarella di bufala campana è antiossidante, è altamente digeribile e contiene poco sale. Questo il responso di tre ricerche distinte presentate durante un convegno organizzato dal “Consorzio per la tutela del formaggio mozzarella di bufala campana Dop”.
Uno studio condotto dal professor Ettore Novellino, docente di Chimica farmaceutica e tossicologia presso l’Università “Federico II” di Napoli, ha dimostrato che, durante il processo digestivo, la mozzarella di bufala favorisce lo sviluppo di alcuni peptidi che, agendo sulle cellule intestinali, svolgono un’azione antiossidante.
Il professor Vito Corleto, docente di Gastroenterologia a “La Sapienza” di Roma, ha dimostrato invece che la mozzarella di bufala è facilmente digeribile. L’alimento, infatti, ha un contenuto di lattosio inferiore a quello presente nei prodotti ad alta digeribilità.
Infine, il professor Germano Mucchetti, docente di Scienze e tecnologie alimentari presso l’Università di Parma, ha rilevato che il latticino ha un limitato contenuto di sale.
Niente male per un prodotto talvolta sotto attacco e spesso nell’occhio del ciclone per le numerose sofisticazioni che subisce, ma che è comunque garantito dal marchio a dalla denominazione di origine (Dop). Se non è stampato sulla confezione, meglio lasciar perdere.

Il boicottaggio psicotico dei prodotti campani

Angelo Forgione Ho scelto una Melannurca per la copertina di Made in Naples, “la regina delle mele”, simbolo di perfezione e di lavorazione della Campania Felix. Ma nera, perché la Melannurca è diventata “malannurca”. Eppure in ogni occasione pubblica non ho mai evitato di dire che i prodotti campani sono più boicottati che inquinati. Solo una minima percentuale del territorio ha un’alta concentrazione di inquinanti nel terreno e nelle falde acquifere, ma la concentrazione negli alimenti è decisamente inferiore anche in quei territori, dove si muore per l’acqua che si beve e per l’aria che si respira. L’ecosistema agricolo privilegia la pianta, che non assorbe tutto quello che si trova nel terreno e ha un’incredibile azione autodepurativa. I frutti della terra assorbono in modo selettivo e tendono a rifiutare inquinanti e sostanze non “terrene”. Il problema può semmai esserci per la filiera del latte, ma i controlli nel settore sono tanti.
La Corte di Cassazione ha disposto che i prodotti coltivati nei terreni sequestrati a Caivano sono sani. E intanto un intero comparto, per colpa della malainformazione, è stato messo in ginocchio. Nessuno compra più prodotti campani. Ora la Regione Campania corre ai ripari con 23 milioni di euro per ricostruire l’immagine della produzione locale, coinvolgendo il Calcio Napoli. Il picco di tumori aumenterà, ma per altre cause. È un dramma, ma combattere un problema – lo dico sempre – non significa crearne altri.

Il Napoli allo sceicco? Molti “rumors” e poco realismo.

Angelo ForgioneRispetto il lavoro della redazione di Cronache di Napoli ma non riesco a trovare ragionevolezza nella notizia della cessione del Calcio Napoli allo sceicco Hamad bin Kamad bin Khalifa bin Ahmad Al Thani, presidente della Federcalcio del Qatar, per la sola visibilità in vista dei Mondiali in casa del 2022. Che dei contatti ci siano stati è verosimile, e del resto lo yacht dell’ex primo ministro qatariota Hamad bin Jassim bin Jaber Al-Thani ha fatto bella mostra di sé al porto di Napoli lo scorso luglio. Ma credo che in quell’occasione sia potuta nascere al massimo l’idea di portare la finale di Supercoppa a Doha.
I qatarioti vogliono diventare i padroni del Calcio europeo, certo, ma non per il gusto di alzare coppe e trofei. Attraverso il loro fondo sovrano Qatar Holding, stanno divorando l’economia continentale e il Football gli serve per quel che rappresenta nei tempi moderni, ovvero come strumento per ottenere consensi e accesso ad affari ben più remunerativi. Il Qatar, grande, anzi piccolo come l’Abruzzo, é la terza riserva al mondo di gas naturale liquefatto (LNG), risorsa che frutta miliardi di euro. La larghissima famiglia Al Thani va dove si moltiplicano i suoi soldi. A Parigi, ad esempio, dove il tifoso del PSG Nicolas Sarkozy, da presidente della Repubblica, gli aprì le porte firmando un trattato fiscale molto vantaggioso per i residenti e gli investitori qatariori sul territorio francese, esentandoli dalle imposte sulle plusvalenze immobiliari. Insomma, la Francia è divenuto un paradiso fiscale ad hoc per gli sceicchi e Tamim bin Hamad Al Thani si è preso il PSG.  Con Hollande al posto di Sakozy all’Eliseo le cose non sono cambiate. Tra i due paesi intercorrono interessi in tema di turismo, aviazione, gas, petrolio, elettricità, infrastrutture, sicurezza del territorio, politiche sociali e cooperazione scientifica.
Un altro pezzo della famiglia, Abdullah Bin Nassar Al Thani, altro uomo d’affari e cugino di quello del PSG, sempre nel 2010, comprò il Malaga in Spagna. Iniziò a metterci bei soldi, perché le sue prospettive erano su un nuovo stadio in periferia e sul porto della città. Gli accordi coi politici spagnoli sono venuti meno e i rubinetti si sono praticamente chiusi. “Non ho trovato il rispetto e la stima: mi dispiace, ma adesso me ne vado“; così ha annunciato il proprietario qualche mese fa, e ora cerca acquirenti per levare le tende.
I qatarioti in Italia ci sono venuti, come in ogni parte d’Europa, ma non per il Calcio. Approfittando della crisi, hanno acquistato la maison Valentino e la Costa Smeralda, e continuano ad investire nel settore immobiliare. Ma il nostro pallone non gli interessa, perché è sgonfio, fallimentare, e non apre ad affari veramente appetitosi. Loro sanno bene in che condizioni versa il nostro Paese, perché stanno contribuendo all’alienazione di pezzi della nostra economia, e sanno che l’Italia è un inferno fiscale; e sanno pure che neanche gli stadi nuovi con le strutture ricettive attorno riusciamo a fare. Sicuramente sono a conoscenza del fatto che il Sud-Italia è la macroarea arretrata più estesa e popolosa dell’Eurozona, cioè una colonia interna. Loro che investono in Gran Bretagna, Francia e Germania, quale vantaggio reale potrebbero ottenere immettendo danari nel Napoli? Farebbero più presto a comprarsi quello che gli serve, visto che è in (s)vendita; e infatti già lo fanno, senza girarci troppo attorno.

Sabato 11, festa alla Reggia di Carditello

Dopo il memorabile atto di acquisto della Reggia di Carditello, le associazioni del Forum di Agenda 21, insieme al Comune di San Tammaro e il Consorzio di Bonifica invitano tutti a festeggiare a Carditello sabato 11 gennaio insieme a tutti coloro che in questi anni, a diverso titolo e in diverso modo, si sono battuti per la salvezza della Reggia di Carditello, cogliendo in tal modo lo spirito del messaggio di Bray su “Carditello, Tommaso e la voglia di cambiare del Mezzogiorno”.
L’evento, al quale il Ministro ha voluto da subito confermare la sua presenza, avrà luogo, anche grazie all’ennesima disponibilità del Giudice Valerio Colandrea, dalle ore 10.30 alle ore 13.30, in una porzione all’aperto del galoppatoio della Reggia, che sarà animato da musica, giochi per bambini e famiglie con l’Arci Ragazzi di Caserta e un aperitivo realizzato a cura della NCO – “Nuova Cucina Organizzata” coordinata da Peppe Pagano.
L’ingresso al sito sarà libero e aperto a tutti. Sarà possibile parcheggiare lungo le mura di cinta della Reggia, salvo esigenze particolari di persone diversamente abili. Il costituendo gruppo di “Angeli di Carditello”, formato da volontari della protezione civile dei diversi comuni della zona e dalle associazioni di Agenda 21, accoglierà e assisterà i visitatori durante la mattinata, nello stile delle tante aperture straordinarie realizzate nei diversi anni passati.
Per raggiungere la Real Tenuta di Carditello seguire le indicazioni indicate sulla pagina Facebook dell’evento.

tratto da “la Radiazza” (Radio Marte) del 10 gennaio