Le 7 strisce sulla Pastiera napoletana? Una “bufala” nata nel 2016.

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Angelo ForgioneLa fantasia dei napoletani è proverbiale e affonda le sue radici nella nascita stessa della città, nella mitica leggenda della donna uccello Parthenia, la Sirena che, insieme a Ligea e Leucosia, si getta in mare in preda alla disperazione causata dall’insensibilità di Ulisse alla malia del loro canto e finisce defunta sulle sponde rocciose dove viene fondata la Palaeopolis pregreca, nominata appunto Parthenope.
Sono trascorsi millenni e le leggende continuano ad essere partorite, alcune riferite a miti e simboli autentici, altre inventate di sana pianta, senza alcun esoterismo di fondo… come quella recentissima delle sette strisce di pasta frolla incrociate a croce greca – tre in un senso e quattro nell’altro – che dovrebbero coprire la deliziosa Pastiera napoletana. Rappresenterebbero la “planimetria” ippodamea a scacchiera di Neapolis, il centro storico Unesco, con i suoi plateai / decumani intersecati dagli stenopoi / cardi. Una fantasia che non trova corrispondenza nel numero, visto che i plateai / decumani sono effettivamente tre ma gli stenopoi / cardi che li intersecano sono assai più di quattro (e irregolari).

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Una fantasia che, soprattutto, non trova alcun riscontro nelle documentazioni storiche e nelle primissime ricette scritte al tempo del Regno di Napoli, tra l’epoca barocca e quella neoclassica. La nascita della Pastiera napoletana è infatti databile al Cinquecento, ma la preparazione, come quelle di altre squisitezze partenopee, è stata incubata, modificata e perfezionata nel tempo all’interno dei monasteri dell’antica Napoli. Nel Settecento, proprio le suore di San Gregorio Armeno ne avrebbero canonizzato la versione attuale, diversa da quella dell’epoca barocca precedente. Il nome “Pastiera”, infatti, come già divulgato da chi scrive, compare per iscritto nel 1693 nel trattato di cucina Lo scalco alla moderna del marchigiano Antonio Latini, scritto a Napoli e qui pubblicato nel 1693. La ricetta è quella della Di Grano, detto alla Napolitana Pastiera, una torta a metà tra il rustico e il dolce in cui, oltre a grano e ricotta, era prevista una bella quantità di formaggio Parmigiano grattato, pepe, sale, pistacchi in acqua rosa muschiata e latte di pistacchi, tutto raccolto in pasta di marzapane stemperata con altri aromi antichi.

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Il Latini non fa alcun riferimento al numero di “sfogli” di marzapane per la copertura, e non lo fa neanche il pugliese Vincenzo Corrado, capocuoco presso il palazzo Cellamare di Napoli, che nel 1773, cioè ottant’anni più tardi, pubblica la prima edizione de Il Cuoco Galante, dove si legge la preparazione della Torta di frumento. Le modalità descritte dal Corrado insegnano a preparare una Pastiera più aderente a quella dolce di oggi, pur partendo dalla cottura del grano in un brodo di cappone, “la quale si coprirà con altra pasta a striscie”, senza alcuna indicazione di quantità.

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Neppure il napoletano Ippolito Cavalcanti, nel 1837, accenna in alcun modo alle sette strisce nella sua ricetta scritta nell’appendice dialettale Cucina casarinola all’uso nuosto napolitano inserita nella prima edizione del suo ampio trattato didattico Cucina teorico-pratica, vero e proprio compendio dell’ormai moderna cucina napoletana. Le indicazioni del Cavalcanti insegnano a preparare una Pastiera dolce, pur offrendo l’opportunità di farla “rusteca”.

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Il Cavalcanti scrive di “cancellata de tante laganelle”, senza precisare quante. Non lo fa nessuno per secoli, facendosi pastiere di ogni strisciatura nelle case e nelle pasticcerie vesuviane. Fino al 2016, quando una pasticceria nel cuore dei decumani distribuisce ai suoi clienti un racconto cartaceo intestato alla onlus “I Sedili di Napoli” in cui si narra dell’opportunità di coprire la Pastiera proprio con sette strisce, esattamente come quella mostrata dal pasticciere immortalato nella foto.

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Nient’altro che un’ottima operazione di marketing territoriale che però non sfonda con la sola diffusione cartacea e con la pubblicazione su corpodinapoli.it. C’è bisogno dei social network affinché la divulgazione della nuova leggenda bruci i tempi biblici della tradizione orale e corra a velocità della rete. Le pubblicazioni sui portali identitari e soprattutto sui gruppi facebook napoletanisti si ripetono con un certo impulso a Pasqua del 2019, tutti ricalcando a cascata lo scritto de “I Sedili di Napoli” e quindi senza offrire fonti a coloro che le chiedono, pochi per la verità. Pasqua 2020 è quella dell’esplosione virale della bufala, e ci casca anche qualche divulgatore di spicco. La leggenda metropolitana è ormai virale, e me ne accorgo sulla mia pelle l’11 aprile, vigilia della Resurrezione, pubblicando su Facebook un post sulla storia della Pastiera con una foto allegata che mi ritrae in quarantena al balcone con la mia Pastiera in mano. La mia “cancellata” a rombi è realizzata con sei strisce, esattamente come in passato, quando mai nessuno ha trovato nulla da contestare. Stavolta, invece, apriti cielo! Fioccano commenti del tipo mi cadi proprio sulla pastiera! Le strisce devono essere 7″, come se proprio io abbia commesso alto oltraggio alla napoletanità. Buona parte dei lettori, invece di beneficiare della storia documentata della Pastiera napoletana loro offertagli, del sorprendente passaggio dalla torta rustica alla torta dolce, trovano da ridire sul numero di strisce.
Il giorno seguente, sera della domenica di Pasqua, il presidente della Onlus “I sedili di Napoli”, Giuseppe Serroni, pubblica un suo post sulla pagina Facebook personale (taggando il titolare della pasticceria da cui tutto ha avuto origine) con cui si dice “lieto dell’attuale divulgazione di massa, col copia-incolla, in molti casi” della storiella, avvertendo che “il documento originale è del 2016, quando la Pasticceria Ippolito a San Gaetano, cominciò a distribuirlo ai suoi acquirenti”.

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Nonostante l’ammissione pubblica, qualcuno continua a chiedere le fonti a Serroni, il quale avvisa che non c’è nessuna fonte storica. La cosa è nata un po’ per scherzo, un po’ come “ipotesi” per ricordare che abbiamo Radici storiche e Culturali molto antiche e che la Sacralità muove ancora oggi le azioni dei Napolitani. Oggi vedo, con un sorriso, che questa “teoria” è diventata “verità” perché quest’anno sta invadendo i Social”. Macché! Nessuna verità, neanche tra virgolette; non può diventarlo uno “scherzo-ipotesi” nato per attrarre clienti in pasticceria, click sul web e like sui social, a meno che non si voglia credere anche, per esempio, che la pizza margherita, già esistente almeno nel 1858 borbonico, sia stata inventata per l’omonima Savoia regina d’Italia nel 1889. Almeno lì sono passati un secolo e mezzo di delicata retorica risorgimentale. Qui siamo di fronte a un’invenzione suggestiva alla quale in tanti hanno creduto in men che non si dica, ma pur sempre tale.

Caravaggio e il suo periodo napoletano

Angelo Forgione Milano, Roma, Napoli, e poi ancora Malta e la Sicilia. Questo il percorso di Michelangelo Merisi di Caravaggio, diverso in ogni luogo in cui è stato. Il Caravaggio napoletano è senza dubbio già lontano da quello romano, e totalmente distante da quello milanese. Nella sua maturazione influirono certamente i suoi turbamenti personali ma anche, e sensibilmente, l’ambiente partenopeo. Si legge in Napoli Capitale Morale (Magenes, 2017):
“Iniziò per il milanese un periodo ricco di impegni in un centro in cui vi era lavoro per tutti e dove proprio i ben accolti milanesi e lombardi erano pronti a commissionargli nuovi incarichi. In un primo periodo alloggiò in un’abitazione nei Quartieri Spagnoli, osservando quotidianamente la già complessa umanità dei vicoli, per poi essere ospitato nel panoramico Palazzo Cellammare, la residenza nobiliare a Chiaja della famiglia Carafa-Colonna. Del soggiorno napoletano approfittò per perfezionare le conoscenze anatomiche proibite dalla Chiesa, e così abbandonò definitivamente la lombardità delle sue pur celebri nature morte, sostituendo un certo realismo descrittivo con un più deciso pathos esistenziale dei corpi e un drammatico uso di luci e ombre con cui cavò letteralmente le figure dall’oscurità e superò anche la tecnica applicata nella fase romana. Con il nuovo linguaggio del “tenebrismo”, il Maestro produsse meravigliosi dipinti che suscitarono gran scalpore e influenzarono incisivamente i tanti caravaggisti locali, da Battistello Caracciolo a Jusepe de Ribera, e l’intera evoluzione artistica di Napoli, dando il via a un percorso inarrestabile verso la cultura pittorica barocca.”
Tomaso Montanari, nel video, illustra la Storia e la trasformazione artistica di un artista dannato, il più grande del suo tempo, grande amico del più importante poeta del Seicento, il napoletano Marino.

Clicca qui per vedere il luogo in cui Caravaggio fu aggredito e sfregiato, pochi mesi prima di morire.

L’antica Porta Reale dello Spirito Santo a Toledo

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Antonio Joli – Porta dello Spirito Santo prima della demolizione

lapide_porta_spirito_santoAngelo Forgione A metà del Seicento, alla vigilia dall’implacabile peste, Napoli, con i suoi circa 300.000 abitanti, risultò la più popolosa città d’Occidente. L’incremento demografico fu stimolato dalle primissime estensioni attuate nel Cinquecento dal viceré spagnolo Pedro de Toledo, che attirò l’aristocrazia in città assicurandogli l’esenzione di alcune tasse, sradicandola così dalle sedi feudali, con lo scopo di addomesticarla e tenerla sotto controllo.
Il “viceré urbanista”, al suo arrivo nel 1532, per migliorare l’aspetto della città, concepì un piano di sventramento, allargamento e fortificazione, e dispose la demolizione della murazione aragonese per farne alzare una nuova, con perimetro ben più allargato, coinvolgendo nello sviluppo urbano le pendici collinari. Il progetto ebbe nella nuova strada di Toledo uno dei cardini principali, realizzata nel 1536 per bonificare il Chiavicone, la fogna ad alveo aperto che da Montesanto che, convogliando le acque reflue e i liquami della collina del Vomero, proseguiva verso il mare, e per collegare agevolmente la vecchia città alla nuova residenza vicereale, che poi sarebbe stata demolita nel 1600 per fare spazio al nuovo Palazzo Reale di Domenico Fontana. La nuova strada, sul cui declivio della collina di San Martino furono edificati i nuovi quartieri militari, fu un vero successo e fu ben accolta dalla cittadinanza.
L’asse stradale venne iniziato da una porta edificata nel 1538 tra il Mercatello (attuale piazza Dante) e il largo dello Spirito Santo, segnando un nuovo ingresso in città da nord e dall’area collinare. Fu chiamata Porta Reale Nuova, per differenziarla dalla vecchia di età angioina, che era sita nella zona dove oggi si trova il liceo Genovesi. Sulla porta, semplice nella sua fattura, sul lato del Mercatello, fu apposta l’aquila bicipite di Carlo V d’Asburgo, sotto le cui ali erano lo scudo del viceré e un altro di dubbia decifrazione, e un’epigrafe latina che segnalava l’operato di Don Pedro. La costruzione fu in seguito abbellita da sculture e da una statua di San Gaetano da Thiene, accolto a Napoli nel 1533 proprio da Don Pedro, che gli concesse la basilica di San Paolo Maggiore, e morto in città nel ’47. In seguito alla costruzione della basilica dello Spirito Santo, nel 1562, la nuova porta fu riconosciuta anche come Porta dello Spirito Santo.
La murazione toledina fu abbattuta nel Settecento, inizialmente da Carlo di Borbone per la costruzione della nuova strada di Marina, e poi dall’erede Ferdinando per il nuovo Foro Carolino al largo del Mercatello e il largo delle Pigne (piazza Cavour). Il giovane Re, nel 1775, fece buttare a terra anche la Porta Reale, ormai fatiscente e di intralcio al traffico, e gli edifici attigui, allineati in asse con la strada di Toledo. Con l’incremento dell’Avvocata e il completamento del Foro Carolino, l’emiciclo vanvitelliano con cui fu sistemato il Mercatello, la porta divenne un imbuto d’intralcio alla vista prospettica della strada e al passaggio, soprattutto a tarda sera, al ritorno dalle passeggiate, orario in cui il popolo era costretto ad attendere per molto tempo il passaggio delle carrozze e infilarvisi con gran ressa. La statua di San Gaetano fu spostata all’apice della risistemata e ampliata Port’Alba e nel luogo della demolizione, sulla facciata di un palazzo all’ingresso di via Toledo, all’altezza dei civici 4 e 6, fu apposta una targa coronata dallo stemma cittadino che ricordava in latino l’atto sancito dagli uomini preposti alle mura e agli acquedotti, mentre più a destra, sul palazzo Pedagna, era possibile notare la lapide d’epoca vicereale prima sulla porta demolita e anche un’iscrizione d’epoca angioina in caratteri gallo-franchi, in ricordo della più antica porta abattuta nel Cinquecento.
Se vi inoltrate per via Toledo da piazza Dante alzate gli occhi. Le tracce di questo piccolo frammento di storia napoletana sono ancora lì.

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Reggia di Caserta, la meraviglia su Sky Arte

Accoglie ogni anno quasi migliaia di visitatori, attratti dal fascino del suo giardino all’italiana e di quello all’inglese, dai marmi e dagli stucchi, dalle linee di sublime eleganza di un luogo da sogno, “degno invero d’un re”, come disse con ammirazione Goethe, viaggiatore innamorato di un luogo unico nel suo genere. La Reggia di Caserta è la protagonista di un episodio della nuova stagione delle Sette Meraviglie, serie che vede Sky Arte HD svelare le ricchezze più affascinanti del Bel Paese. Un’impresa faraonica quella voluta da Carlo di Borbone e pensata da Luigi Vanvitelli, che segna il canto del cigno del barocco e da il là al Neoclassicismo.
Il calendario torna al 1750: nelle campagne nei pressi della città campana fervono i lavori per la costruzione di quella che diventerà, con i suoi due milioni di metri cubi e i quasi cinquantamila metri quadri di superficie, la reggia più grande al mondo. Più imponente dell’Escorial, divina dimora dei re di Spagna; persino più vasta di Versailles, casa di un sovrano sui cui possedimenti non tramontava mai il sole…
Le telecamere si attardano nelle milleduecento stanze di un sublime labirinto, occhieggiando dalle quasi duemila finestre aperte su un parco lussureggiante, semplicemente fiabesco. Svelano le incredibili soluzioni tecniche escogitate da Luigi Vanvitelli per permettere al suo avveniristico acquedotto di alimentare le spettacolari fontane e la maestosa Grande Cascata, frammento di arcadia in terra.
C’è spazio anche per il più curioso ambiente del palazzo, il bagno della regina Maria Carolina, luogo di privacy assoluta e sede dell’ormai famoso “oggetto per uso sconosciuto a forma di chitarra”, così come i solerti burocrati del neonato Regno d’Italia, prendendo possesso del Real Palazzo, censirono il bidet, il primo mai usato in Italia.

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Per scoprire tutti i segreti e i significati della Reggia vanvitelliana è consigliata la lettura di Made in Naples (Magenes, 2013)

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La sartoria partenopea, al top nel mondo

Angelo Forgione giaccaLe giacche napoletane «zompano arrèto», cioè sono più corte sul dietro; hanno le maniche «a mappina», cioè con le pieghe all’attaccatura; hanno la «spalla napoletana», senza imbottitura per seguire la forma del cliente; hanno «il tre bottoni strappato a due», con il primo dei tre che resta sempre slacciato e quasi nascosto; hanno «lo scollo a martiello» con l’apertura sulla camicia. E poi c’è la la cravatta «a sette pieghe», un pezzo unico di seta che viene ripiegato 7 volte senza aggiungere imbottitura.
È piena di particolarità la sartoria partenopea, uno stile originale e antico di interpretare l’eleganza in modo disinvolto, morbido e piacevole, anche in quelli che possono essere considerati difetti. Le pieghe, per esempio, sono motivo di comodità e segno di vita in continuo movimento capace di eliminare l’aria da manichino in chi indossa un abito made in Naples. Tutto il contrario della giacca inglese, molto più strutturata, dura e segnata in vita.
Già nel Settecento Napoli era considerata la città più importante per la sartoria maschile. Lungo la via Toledo e le strade di Chiaja si aprirono negli anni numerose sartorie per abiti da uomo, frequentate dall’alta borghesia e dai viaggiatori stranieri, che si facevano confezionare abiti artigianali su misura e sceglievano scarpe e guanti di fattura locale, richiestissimi in ogni dove.
Ancora oggi, grazie alla tradizione che si è tramandata negli anni, Napoli vanta il più alto numero di maison maschili per abiti su misura che esportano nel Globo e dettano i canoni dell’eleganza. La sartoria partnopea, poco valorizzata, è indiscutibilmente una delle migliori al mondo.

L’orologio è sparito e nessuno ne sa nulla

L’orologio è sparito e nessuno ne sa nulla

Piazza VII Settembre, un mistero napoletano continua

La vicenda dell’orologio storico dell’Ente Autonomo Volturno rimosso da Piazza VII Settembre per far posto al cantiere della Metropolitana e mai più rinvenuto alla chiusura dello stesso continua ad essere rivestita di mistero. Lo staff del sindaco De Magistris ci informa che “nessuno ne sa nulla”, mentre Metropolitana di Napoli e Sovrintendenza non rispondono sull’argomento.
Intanto, da una pubblicazione editoriale sui palazzi nobili di Napoli, recuperiamo una foto del “Doria D’Angri” che testimonia sulla presenza e sull’esistenza di un oggetto in piazza di cui forse qualcuno sperava ci si dimenticasse.

intervista del Dicembre 2011

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intervista del Dicembre 2008, prima che orologio e lampioni tornassero a mostrarsi…

Sulle tracce dell’orologio storico di P.zza VII Settembre

Sulle tracce dell’orologio storico di P.zza VII Settembre

intervista per CapriNews sul mistero dell’orologio scomparso

Angelo Forgione – Dopo la denuncia del 19 Dicembre circa la scomparsa dell’orologio storico di Piazza Sette Settembre liberata finalmente del cantiere della metropolitana, ecco un’intervista per TeleCapriNews in cui si fa il punto della situazione partendo dai carteggi del 2008 custoditi all’epoca della “battaglia” per il recupero dei 12 esemplari, allorchè furono tutti rimossi.

p.s.: nell’intervista non si fa riferimento al fatto che gli orologi restaurati, una volta detti “dell’ora unica” e sempre puntualissimi, non sono più sincronizzati a tal punto che non prevedono neanche il cambio d’ora solare/legale (basti vedere l’esemplare in Piazza Duca D’Aosta/Funicolare centrale). Di questa situazione stiamo collaborando, come in passato per gli orologi, con Assoutenti Napoli.

intervista del Dicembre 2011

intervista del Dicembre 2008, prima che orologio e lampioni tornassero a mostrarsi…

Che fine ha fatto l’orologio EAV di P.zza VII Settembre?

Che fine ha fatto l’orologio EAV di P.zza VII Settembre?

e la facciata Dora D’Angri deturpata

Finalmente Piazza Sette Settembre è stata liberata dal cantiere della Metropolitana Linea 1. A questo punto, dopo tre anni anni dall’avvio della nostra “battaglia” pro-orologi storici dell’Ente Autonomo Volturno, deve ripartire per capire che fine abbia fatto quello che era installato sul posto.
V.A.N.T.O. si è battuto per il recupero dei dodici (12) esemplari sopravvissuti ai quaranta (40) installati intorno agli anni ’20 dall’EAV denominato “dell’ora unica”. Museo, Piazzetta Augusteo, Piazza Vanvitelli, Piazza Cavour, Via Santa Lucia, Via Filangieri, Via Mezzocannone, Via del Sole, Via Duomo, Montesanto, Via Diaz e Piazzetta Sette Settembre.
Il risultato è che dieci (10) orologi sono stati recuperati dalla precedente amministrazione comunale con l’approvazione della Sovrintendenza (nonostante la sostituzione dei quadranti originali). Gli altri due (2), ovvero quelli di Piazza Sette Settembre e Via Diaz, come risulta da comunicazioni scritte, sarebbero stati trasferiti nei depositi della società “Metropolitana di Napoli SpA” una volta rimossi per i due cantieri.
Ci chiediamo ora se quei due esemplari siano stati restaurati insieme agli altri dieci (10) già restituiti alla cittadinanza. E di conseguenza, se è previsto il riposizionamento di quello di Piazza Sette Settembre ora che una nuovissima rotatoria vuota fa bella mostra di se al posto del cantiere che non preclude più la vista dello splendido palazzo vanvitelliano Doria D’Angri.
Tempo fa lanciammo l’idea di una stata dedicata al grande architetto Luigi Vanvitelli al posto della palma morta nell’omonima piazza vomerese, ma fu piantumato un alberello che resta tuttora insignificante nelle dimensioni e nell’aspetto. Dunque la rotonda realizzata alla confluenza tra Toledo e Monteoliveto potrebbe essere una nuova opportunità per arricchire il decoro della città. Ma ci “accontenteremmo” di rivedere l’orologio storico EAV al suo posto. E che non salti in mente a nessuno di deturpare la vista periferica dello splendido palazzo con l’installazione di totem pubblicitari o orologi rossi da fast-food.
Cogliamo l’occasione per chiedere alla Sovrintendenza chi ha consentito che si deturpasse la facciata dell’importantissimo Palazzo Doria D’Angri con insegne e luci “fuori contesto” di un bar. Altresì. come sia possibile che sulla stessa facciata vengano issati teloni pubblicitari

Angelo Forgione
Movimento V.A.N.T.O.
(Valorizzazione Autentica Napoletanità a Tutela dell’Orgoglio)

video / Vesuvio, la meraviglia abbandonata

video / Vesuvio, la meraviglia abbandonata

perchè il vulcano è stato escluso dalle 7 meraviglie della natura

Angelo Forgione – Non è la lagna del giorno dopo, ma di ciò che stava accadendo avevo scritto manifestando un “fastidioso sospetto” a qualche ora dalla chiusura del concorso internazionale per la designazione delle nuove sette meraviglie della natura.
A soli cinque giorni dal termine, il Comitato organizzatore aveva dato il Vesuvio nella rosa delle prime dieci meraviglie in classifica ma nessuno da quel momento in poi aveva accelerato per spingere il vulcano negli ultimi giorni. Non i media da cui non si irradiava alcun servizio televisivo o videogiornalistico, e tantomeno la Provincia di Napoli che aveva fatto da madrina alla candidatura per poi sparire nel nulla.
Solo i cittadini si davano da fare attraverso il passaparola sui social network che investiva anche chi cadeva dalle nuvole, non sapendo neanche dell’esistenza del concorso partito nel 2007.
V.A.N.T.O. da allora si era attivato, e negli ultimi giorni coinvolgeva la trasmissione “La Radiazza” di Gianni Simioli su Radio Marte e la Rete di informazione della Due Sicilie di Alessandro Romano.

Questo piccolo-grande sforzo avveniva mentre in altre nazioni si muovevano calciatori, capi di stato e ministeri locali. In Italia, il silenzio. Eppure si trattava di un simbolo turistico italiano, del vulcano più famoso del mondo, per giunta anche parco nazionale.
Esclusione inevitabile, perchè la lotta era impari già in partenza considerando le densità di popolazione degli altri continenti. Ma la dinamica di come è arrivata lascia forti sospetti. Un governo che non spinge, i media che snobbano, la Provincia di Napoli che, dopo aver consentito la realizzazione di una mega-discarica sul Vesuvio (Parco Nazionale), realizza uno spot ingabbiato nel solo sito dell’ente locale. E nonostante questo, il Vesuvio, coi soli voti dei napoletani e dei suoi estimatori nel mondo, c’era. Poi è sparito.
Dunque il vulcano più famoso e più ritratto del mondo, ricco di una storia millenaria, resta una meraviglia di fatto, l’unica italiana,  senza certificazione, e ce lo godiamo noi campani.
E adesso, sotto con le preselezioni delle prossime 7 Meraviglie: le città. Noi, per la nostra amata Napoli, ci risiamo!

Spingiamo il Vesuvio tra le 7 meraviglie della natura

Spingiamo il Vesuvio tra le 7 meraviglie della natura
votate… votate, ’a muntagna ha bisogno di noi!

Immaginate se il Vesuvio fosse designato tra le “7 meraviglie della natura”. Immaginate quale possa essere il messaggio internazionale per le bellezze della nostra città e dei suoi luoghi. Pensate a quanto è famosa Napoli nel mondo e quanto lo possa diventare sempre più con il suo simbolo tra i simboli della natura. Pensate quanto importante possa essere una designazione del genere dopo una crisi igienica che ha minato l’immagine della città e la sua capacità attrattiva, e proprio a beneficio di un luogo stuprato negli ultimi anni da cave e discariche a dispetto della sua specificità.
Immaginate tutto questo e pensate che dipende da noi trasformare il sogno in realtà, solo ed esclusivamente da noi. Basta perdere (o meglio guadagnare), due minuti per votare per il Vesuvio e spingerlo all’ambito traguardo. E poi a gioire saremmo noi. Ma bisogna far presto perchè le votazioni online termineranno l’11 Novembre 2011!
L’organizzazione internazionale “New Open World Corporation / World of New Wonders”  ha già ufficializzato nel 2007, con le stesse modalità, le nuove “7 meraviglie del mondo”. Tra queste il Colosseo di Roma, meraviglia donata dall’uomo al mondo duemila anni fa. Ora il concorso riguarda le meraviglie che la natura ha regalato all’umanità e l’Italia è in concorso col vulcano napoletano che potrebbe affiancare Napoli a Roma nell’iconografia turistica del mondo.
Il concorso ha preso il via nel 2008 e, all’inizio, il Vesuvio ha dovuto sgomitare tra le 440 località mondiali in corsa. Grazie anche al supporto di napoli.com (in comitato col Comune di Ercolano) e di V.A.N.T.O., oltre che di quello di altre associazioni e movimenti che hanno a cuore il territorio, il vulcano ha superato le prime due serie di votazioni planetarie, riuscendo ad entrare tra le 28 finaliste. La terza votazione, quella finale in corso, è ripartita a Luglio 2009 e solo ultimamente le istituzioni locali hanno preso a cuore l’opportunità, con la Provincia di Napoli che ha avviato un battage pubblicitario e informativo con interessamento dei media.
E così, a pochi giorni dalla chiusura delle votazioni, il nostro “sterminator” è tra i primi 10 e vicino ad entrare nel gruppo dei sette vincitori. Ora è il momento di insistere e votare, anche più di una volta. Votate, condividete, diffondete!
Abbiamo la possibilità di dare il senso giusto all’esortazione “FORZA VESUVIO!” 

Come si vota

– andare al sito: www.new7wonders.com/voto?lang=it

– selezionare il Vesuvio e altri sei condidati tra i 28 in concorso

– compilare il form e inviare il voto

– attendere il messaggio di posta contenente il link su cui cliccare
per convalidare il voto

– un ulteriore voto si può dare anche con l’account di Facebook da qui

È possibile votare più volte con diversi indirizzi E-Mail. Non esitate a farlo!

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Bacco amò le colline del Vesuvio più di quelle native e persino Cristo pianse di meraviglia alla vista del Golfo di Napoli. Più meraviglia di così?!
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