Donizetti e Capurro “vicini” di casa

Donizetti e Capurro “vicini” di casa

storia di residenti illustri del Vomero

Angelo Forgione per napoli.com Era chiamata salita de “l’Infrascata” l’attuale Via Salvator Rosa che andava dal Museo fino a San Gennaro ad Antignano. Il sapore bucolico di una volta non c’è più, è solo un ricordo delle pitture dell’Ottocento la scalata attraverso gli alberi, i giardini e le aiuole fiorite che i più fortunati facevano in carrozza e i meno coi ciucci. Fino agli inizi del ‘900 era in vigore il noleggio di somarelli e cavallucci in partenza da alcuni locali-stalle all’inizio della via nei pressi del museo. Giunti a destinazione, i viaggiatori abbandonavano i quadrupedi che tornavano da soli alla partenza, dando vita alla bellissima visione di schiere di asini in libertà. La chiesa della Cesarea, sostanzialmente l’attuale Piazza Mazzini, indicava il limite fra la città e la campagna, e da lì la strada diveniva più impervia. Da li si potevano ammirare le ville di villeggiatura dei nobili e aristocratici napoletani e non. In tutta la collina sono presenti numerose tracce di costruzioni neoclassiche dell’epoca, immerse tra nuove costruzioni e palazzi di costruzione post-unitaria per affare della Banca Tiberina di Torino che edificò il nuovo quartiere.
Nel triangolo compreso tra le attuali Via Salvator Rosa, Piazza Leonardo e Via Girolamo Santacroce
, immersa in un fazzoletto di verde sopravvissuto al cemento (foto), è la Villa de Majo, già Villa Genzano dal nome del Marchese Andrea de Marinis di Genzano che quel podere fece edificare tra Sette o Ottocento avvalendosi dell’opera di Antonio Niccolini, autore della facciata del Real Teatro di San Carlo e della Villa Floridiana. Ben visibili le colonne piatte con capitelli di ispirazione vanvitelliana e, seppur nell’abbandono, i tempietti (foto) e i riposi da cui si godeva, e si gode ancora, l’incantevole panorama di Napoli verso Sorrento. Vi dimorò anche Gaetano Donizetti nel suo soggiorno napoletano durante il quale musicò la “Lucia di Lammermoor” la cui prima assoluta andò in scena nel Settembre 1835 al San Carlo; poi, tra le altre, una collezione di 4 ariette e 2 duetti con accompagnamento da pianoforte chiamata Soirées d’Automne à l’Infrascata. Ma pure celebri canzoni napoletane come Me voglio fà na casa e, forse, la barcarola Te voglio bene assaje che una certa vulgata storica non accertabile attribuisce in maniera controversa al compositore bergamasco che dalle mura napoletane, tra il 1828 e il 1838, contribuì a dare una nuova connotazione alla canzone napoletana e di conseguenza italiana. Nel 1871, Giuseppe Verdi lo definì “il più napoletano tra i musicisti”.
Poco più giù venne edificato qualche decennio dopo il palazzo (foto) dove visse Giovanni Capurro, il poeta che scrisse le parole di ‘O sole mio. Lo ricorda una lapide all’interno della costruzione, replicata anche all’esterno (foto) in occasione della riqualificazione relativa alla costruzione dell’uscita della metropolitana. L’intero palazzo è infatti rivestito da una scenografica pioggia di raggi dorati (di sole), opera dell’artista napoletano Mimmo Paladino.

Non solo Donizetti e Capurro; al Vomero, nella stessa Villa Ricciardi in Via San Domenico, dimorarono anche Giacomo Leopardi e Dumas padre, quest’ultimo
prima di avere in dono da Garibaldi la regia Casina del Chiatamone. E ancora Eduardo Scarpetta alla Villa Santarella sulla cui facciata fece scrivere “qui rido io”. Tanti i residenti illustri nelle Ville Salve, Leonetti, Carafa di Belvedere, etc. Ma il più celebre di tutti fu quel Ferdinando di Borbone che visse gli ultimi anni della sua vita nella Villa Floridiana insieme alla moglie morganatica Lucia Migliaccio.

La vergogna di “manifesto selvaggio”

Col “milleproroghe” manifesto selvaggio si può
art. 42-bis, una vergogna tutta italiana

Manifesto abusivo, fenomeno inarrestabile. A Napoli i volti dei candidati fanno a gara a chi sta più in alto, l’uno sull’altro, e non risparmiano neanche i monumenti. Ma cosa andiamo a guardare? Il pelo nell’uovo, in una città stuprata dai cumuli di immondizia che si sparge lungo le strade senza che neanche il minimo servizio di spazzamento argini lo scempio. Dove sono finiti gli operatori ecologici dell’ASIA?

Una vergogna senza fine, il peggiore dei biglietti da visita per chi è a caccia di voti, ma si sa, la società incivile non va molto per il sottile, guarda, passa e poi magari pure vota.

Nella corsa allo spazio migliore vince chi ha un po’ di creatività e al Vomero il favorito è venuto fuori a Piazza Leonardo laddove, sull’albero che fa da rotatoria, sono spuntati dei manifesti elettorali dalla sera alla mattina. Tre, per la precisione, ben posizionati per essere sbattuti in faccia a chi arriva da Via Girolamo Santacroce, Viale Michelangelo e Via Suarez. Complimenti davvero!

Protestare non serve a nulla e i cittadini che ancora si indignano devono rassegnarsi; meglio non uscir più di casa al mattino piuttosto, perché nottetempo accade di tutto, e qualche volta anche alla luce del sole. 

Ma non è che ci sia troppo da sforzarsi per capire il perché accada tutto ciò impunemente. Come si dice a Napoli, ‘o pesce feta d’a capa, e se il manifesto è selvaggio è perché chi vi è raffigurato lo vuole così. Le sanzioni per chi attacca fuori gli spazi elettorali sono previste e sono anche salate in relazione al cumulo di infrazioni, ma è come se non ci fossero. Il colpo di spugna è nel decreto “Milleproroghe”, una serie di provvedimenti relativi ad una serie sterminata di materie.

Tra le mille proroghe, appunto, se ne nasconde una che consente per legge un condono per le affissioni abusive. È l’articolo 42-bis per “Affissione e pubblicità”, una vera panacea studiata a tavolino per i partiti e per i candidati che possono serenamente violare le regole in materia. Chiunque può apporre il suo volto ovunque, dove vuole e come vuole, tanto poi si saldano i debiti pagando alla tesoreria del Comune e della Provincia di competenza soli mille euro per anno di infrazione. Perché tra l’altro la sanatoria è finanche retroattiva e quieta le infrazioni dal 2005 sin qui. 

Con una simile nefandezza, chiunque può “incartare” la città, imbrattare monumenti, muri, pensiline, cavalcavia, sottopassi, e persino gli alberi! Tutto al costo modico di soli euro 1.000. Migliaia e migliaia di euro diventano una piccola somma da devolvere ai servizi ecologici dei comuni. Il malcostume è così tollerato, anzi, alimentato con una sorta di licenza a delinquere. I cittadini insofferenti strappano i manifesti barbari che con la crisi dei rifiuti non vengono neanche alzati da terra e il Senato li condona; come dire che i partiti si autoassolvono dalle loro condotte immorali, illegali, incivili. È così che va in Italia.

Alcuni cittadini stufi si organizzano per staccare i manifesti; si arriva quindi al paradosso che loro fanno rispettare la legge e lo Stato fa il possibile per violarla.

Tutto ciò genera poi reazioni negative a cascata perché un aspetto che ne consegue è quello della delegittimazione dei Comuni nel contrasto al fenomeno.  L’azione delle squadre di controllo comunali ha evidentemente un costo e la certezza che la censura non comporti una sanzione equa fa si che il controllo stesso si allenti e diventi blando. Senza contare che il Governo, così facendo, sgambetta quelle amministrazioni comunali che inseriscono a bilancio le sanzioni e le spese per la defissione dei manifesti.

Gongolano anche le agenzie che forniscono servizi elettorali e che propongono senza pudore le cosiddette affissioni killer, come dimostrato da un servizio televisivo de “Le Iene” di qualche tempo fa.

Che paese è questo che foraggia l’illegalità? Che esempio dà ai cittadini? Come ci si può poi scandalizzare se un ragazzino imbratta un monumento con una bomboletta? Abituare il popolo italiano alla degenerazione del decoro e all’illegalità è il peggiore degli esempi che possa venire dall’alto. 

Lo Stato dice: “Sporcate gente… sporcate”. Noi urliamo la nostra vergogna per essere italiani in questa maniera!