––– scrittore e giornalista, opinionista, storicista, meridionalista, culturalmente unitarista ––– "Baciata da Dio, stuprata dall'uomo. È Napoli, sulla cui vita indago per parlare del mondo."
Angelo Forgione– Lucio Dalla, da grande appassionato di cultura napoletana, una volta disse: «Quella napoletana è la musica più importante del Novecento, altro che Beatles! Dobbiamo tornare a noi, e non essere provinciali, scopiazzando all’estero». È innegabile che le radici della melodia e del belcanto nel mondo siano partenopee. Magari sfugge che nella Napoli sveva del XIII secolo iniziò a delinearsi quello che oggi chiamiamo genere pop, cioè popular, coi primi canti intonati delle lavandaie dell’agreste collina del Vomero. Nel successivo periodo angioino venne rappresentata in pubblico la primissima opera in musica folcloristica, firmata del fiammingo Adam de la Halle. Passando per le villanelle, diffuse in Europa dai fiamminghi Orlando Di Lasso, Adrian Willaert e Hubert Waelrant, l’evoluzione della melodia napoletana, legata a quella del dialetto, non si è mai interrotta, anche se la sua diffusione nel mondo ha subito un forte rallentamento per l’impatto avvenuto negli anni ’60 del ‘900 con la musica inglese e americana. Oggi, a girare per il mondo, è il grande repertorio classico della Canzone napoletana. Ma che influenza ha avuto tutta questa storia nella musica internazionale delle grandi band del Novecento? Proviamo a capirlo ascoltando qualche brano dei Beatles.
E no, caro Aurelio. Stavolta non mi sei piaciuto. Ho letto ciò che Anna Paola Merone del Corriere del Mezzogiorno ha carpito dalla tua bocca in occasione della presentazione del tuo nuovo “cinepanettone”. Alla domanda «Allestire un set in città?» pare che tu abbia risposto così:
È impossibile, come si fa? Io ho fatto qui La mazzetta con Nino Manfredi e mi è bastato. Ricordate Agostino ‘o pazzo? Si piazzava davanti alla telecamera pretendendo il pizzo. Io me lo portavo via, ci parlavo, chiedevo rispetto per le mie origini napoletane, per il lavoro che portavamo in città… Devo continuare? Pure Vittorio De Sica aveva fatto allestire i bassi a Cinecittà e ci aveva trasferito famiglie napoletane che vivevano lì giorno e notte per dare più verità al set»
Cerco di capire. Dici che Agostino ‘o pazzo, il diciottenne napoletano che per quattro notti, nell’estate del 1970, sfidò con la sua moto 125 la polizia sgommando a tutta velocità lungo via Toledo, dopo otto anni si era trasformato in Agostino ‘o pizzo? Non mi risulta, caro Aurelio. Antonio Mellino, questo il suo nome all’anagrafe, era un ragazzo cui piaceva la velocità e ci provò gusto a fare da lepre per le forze dell’ordine, entusiasmando la folla che ne fece un mito dalla sera alla mattina. Iniziò per caso, eludendo un posto di blocco perché stava andando dalla fidanzata contro il volere del padre. Durò pochi giorni, in cui se ne vedevano di tutti i colori alla sera. Lui, caro Aurelio, si rintanava serenamente in casa, in piazza dei Girolamini, mentre a via Toledo succedeva di tutto. Fu beccato, ma non braccato in un inseguimento. Lo fermarono in piazza del Gesù, fermo e tranquillo in auto con gli amici, e lo portarono al Filangieri. Gli scattarono una foto segnaletica con lo sguardo torvo e la camicia a pois, e gli diedero una severa condanna, ma lo trattennero solo per tre mesi. Poi lo riportarono a casa, dove viveva con la sua onesta e buona famiglia, perché fu presto chiaro che fosse solo un giovanotto sveglio con una forte passione delle due ruote. Erano i tempi di Giacomo Agostini, da cinque anni campione del mondo di Motociclismo, cui ci si ispirò per dargli un nome nello tsunami improvviso di fama che Antonio seppe alzare in quei giorni. E non mi risulta, caro Aurelio, che Antonio sia finito nei guai in seguito. Abita ancora lì, nel centro antico di Napoli, dove gestisce pure una nota bottega antiquaria. Di problemi con la giustizia, più nessuno. Anzi, per restare in tema, nel 1971 ebbe anche un’esperienza da attore-stuntman in Un posto ideale per uccidere con Ornella Muti e Irene Papas, un film poi ripudiato dal suo regista Umberto Lenzi e dallo stesso Antonio Mellino, perché Napoli ne usciva raccontata ancora una volta in modo sbagliato. «Non mi piacque, Napoli usciva negativa come sempre. Pure nei film – disse Agostino ‘o pazzo – vengono a riprendere i soliti sfondi gratis e il resto lo fanno a Roma. Ma perché non fanno mai vedere le cose belle e vere che abbiamo?». Ora, tu, Aurelio, dici che Antonio Mellino, nel 1978, invadeva il tuo set come un camorrista e pretendeva soldi per farti proseguire o forse per essere ingaggiato. Forse sarà proprio Antonio a chiarire e a dire la sua, ma in ogni caso sono passati 37 anni, di cui tu, Aurelio, ne hai trascorsi 11, gli ultimi, da presidente della squadra di Calcio della città. E da presidente del Napoli hai parlato alla nazione di napoletanità, di uno stile di vita che non può essere capito da chi non è napoletano, di una sofferenza nata dall’impoverimento esogeno. Proprio tu, Aurelio, hai detto che i napoletani sono «i vessati per eccellenza», e poi ci racconti di una Napoli impossibile? I film girati a Napoli neanche si riescono a contare da quando, sul finire dell’Ottocento, i fratelli Lumière vennero a riprendere le meraviglie della città e, soprattutto, da quando – nel 1919 – il napoletano Gustavo Lombardo fondò la Titanus e i primi studios sulla collina del Vomero. Tu dirai che sto parlando di un secolo fa, ma negli anni in cui hai potuto vivere Napoli più da vicino il “sipario” napoletano è rimasto tutt’altro che chiuso. Pure per i musicisti, se è vero che Amedeo Minghi girò qualche anno fa il videoclip del suo brano Vicerè nei “quartieri spagnoli”, anzichè riprodurli a Cinecittà. Una notte intera, fino all’alba, circondato dai napoletani che portavano ciambelle e caffè. I Manetti Bros, romani anche loro, hanno girato recentemente Song ‘e Napule, a Napoli, non a Cinecittà, e non ebbero problemi. E anche loro non sono d’accordo con quello che hai detto. Vuoi che ti parli di Passione di John Turturro, girato interamente a Napoli, compresi i Campi Flegrei, nel 2009? Non mi risulta neanche che il regista-attore newyorchese abbia trovato difficoltà per i suoi ciack e per tradurre in pellicola il suo amore per Napoli. “Ci sono luoghi dove uno va una volta e basta. E poi c’è Napoli”, ha detto Turturro. E dai teleschermi Rai ha pure precisato: «Napoli è un luogo incredibilmente vibrante e vivo dove tornerò a lavorare con estrema facilità». Estrema facilità, Aurelio. Non mi pare poco. Forse sei tu che a Napoli sei andato a girare una volta e basta, mentre gli altri non vedono l’ora di tornare a farlo. Magari tu e Antonio Mellino ci chiarirete la tua dichiarazione, che però non aiuta Napoli a recuperare la sua immagine, quella che le spetta, quella che tu hai definito “vessata”. Sei un bravo imprenditore e sai come muoverti, hai portato il Napoli a grandi livelli, facendolo competere con gli squadroni del Nord, e per tutto questo ti auguro lunga vita sotto il Vesuvio. Hai la mia stima, e perciò ti ho regalato di persona i miei libri, al MAGNA. Ma tu sai benissimo che Napoli è un set, tra i più belli che ci siano, ed è ambito dal cinema comico e d’autore. Sai bene che Napoli è un laboratoro d’avanguardia nel campo dell’animazione. Quello che hai dato in pasto ai detrattori non mi è affatto piaciuto. Forse i miei libri non li hai ancora letti. Sono certo che se lo farai, poi, ci penserai due volte a vessare anche tu la napoletanità.
Bellissima iniziativa di valorizzazione del magnifico Centro Storico di Napoli, patrimonio mondiale dell’Umanità. Sabato sera andrà in scena una “Notte d’arte” e Cultura. La seconda municipalità di Napoli, dopo il successo dello scorso anno, ha riproposto l’iniziativa ampliando la zona interessata all’evento che partirà, quindi, dai Quartieri Spagnoli fino ad arrivare a Piazza Mercato, proponendo come tema “la cultura delle differenze”, accostata allo slogan in napoletano “Nun restà ‘o scuro”, per esaltare il mix di culture che caratterizza da sempre il cuore urbano di Napoli. Un misto di arte, cultura, musica e cucina che inizierà alle 18 per finire alle 4 del mattino, e sarà supportato dal potenziamento dei mezzi pubblici: metropolitane e funicolari chiuderano alle ore 3, mentre il traffico veicolare prevede la chiusura al traffico dalle 18 nella zona delimitata da via Pessina angolo via Broggia, via Monteoliveto, via Gesù e Maria, Calata Trinità delle Monache altezza corso Vittorio Emanuele.
A margine va evidenziato, per amore della lingua napoletana, che lo slogan “NUN RESTA’ O’ SCURO” è scritto male. Sull’articolo LO si pone l’aferesi che fa cadere la consonante L, e non l’accento (‘O SCURO). Può apparire una facezia, ma l’iniziativa è culturale e un errore del genere è un autogoal.
Nella notte tra il 15 e il 16 luglio il campanile della Basilica del Carmine ha preso fuoco in un suggestivo spettacolo che ha riaccenso l’antica celebrazione religiosa della Festa in onore della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo. Ma il 16 luglio segna anche il culmine e la fine della rivolta di Masaniello, assassinato nella piazza della chiesa nel 1647. Di lui, tra ieri e oggi, parla Jean-Noël Schifano che ne è sempre stato affascinato, ponendolo al centro del suo romanzo “La danza degli ardenti” pubblicato negli anni ottanta.
Persone e circostanze che avrebbero fatto inorridire Masaniello.
Il busto di Enrico Cialdini all’ingresso della Camera di Commercio di Napoli. Il generale assassino, inviato dai Savoia nel 1861 nell’ex regno delle due Sicilie per reprimere il brigantaggio, firmò un massacro che lo avrebbe fatto passare alle cronache come “criminale di guerra”.
Sotto inchiesta per riciclaggio di denaro, il salernitano Nunzio Scarano, addetto all’Apsa, considerata la cassaforte del Vaticano. Lo chiamavano Monsignor cinquecento per il taglio delle banconote che era solito portare in tasca.
C’è un piemontese alla guida del Madre a Napoli. Ma c’è un napoletano a dirigere un museo d’arte contemporanea a Torino?
Durante la trasmissione la zanzara su radio 24, fa lo sgambetto a se stesso, don Luigi Merola, prete anticamorra, dichiarando a sorpresa che Berlusconi è un perseguitato e Cosentino non è un camorrista, non ci sono le prove per affermarlo.
Roberto Saviano parlando di mafia a Castel Capuano con il ministro Cancellieri, ha sottolineato che Napoli deve rompere con il passato. Il segno della febbre
Ha la voce un po’ raffreddata al telefono, Jean-Noël Schifano – colpa del capricci metereologici parigini – ma l’amore per Napoli, di cui è orgogliosamente cittadino onorario (e a cui ha dedicato, in qualche modo, tutti i suoi libri, anche quando lei non ne è protagonista) è talmente grande da ridargli un vigore che non risparmia fendenti.
Anche da Parigi, dove è tornato dal 1998, dopo aver acceso la vita culturale partenopea per anni, alla guida dell’istituto francese di via Crispi, non ha mai smesso di amarla e di seguirla, come un trepido e premuroso compagno fedele fino all’ultimo respiro, ferito quando s’infanga l’immagine della sua donna con l’artificio delle menzogne che cominciano il loro cammino dall’Unità d’Italia.
Masaniello, invece, è il segno della febbre, il testimone e anche il giocattolo in un momento storico in cui la città era affamata da un’aristocrazia avida che viveva a spese della plebe. Lui è “l’archetipo del personaggio storico napoletano”: non si ribella all’autorità spagnola, ma si rivolta contro la nobiltà partenopea e la sua è un’azione che parte dallo stomaco, dalla mancanza di cibo, dalla miseria. Napoli, capitale della tolleranza
La “nazione” Napoli non è luogo delle rivoluzioni, ma capitale della tolleranza, qui dovrebbe celebrarsi ogni anno la festa universale in suo nome, il 16 luglio ricordando quel giorno del 1547 (giusto un secolo prima che fosse assassinato il capopopolo della sommossa) quando i popolani si mescolarono agli aristocratici, confluendo in unico flusso di gente e scesero in strada contro la decisione del viceré don Pedro di Toledo d’istituire il tribunale dell’Inquisizione. Un movimento compatto, guidato da Bernardo Tasso, padre del poeta e drammaturgo Torquato. E dalla loro parte si schierò anche un futuro cardinale, il nobile Annibale Bozzuto. La pizza “Fior di margherita”
La festa della tolleranza renderebbe giustizia alla storia napoletana che è stata falsificata, “scuntraffatta”, svuotata della sua identità in un presente in cui le istituzioni non fanno nulla per recuperarla, eccetto la Provincia di Napoli. Che per Jean-Noël compie un lavoro culturale importante attraverso convegni e iniziative come il Premio Masaniello (nato per valorizzare il patrimonio di Partenope), offrendo un esempio di armoniosa tolleranza. E a proposito di storia scuntraffatta, chiude il suo “ragionamento masaniellano” citando un altro caso di manipolazione. Quello della pizza Margherita. «Non lo sapevo nemmeno io. L’ho scoperto leggendo il libro Made in Naples di Angelo Forgione, di cui ho scritto la prefazione. Non è mai stata una pizza in onore della regina Margherita, ma era dedicata al fiore, un secolo e mezzo prima del 1860. Con i petali, che all’origine erano grandi, e la foglia, il basilico. Quindi proporrei di chiamarla pizza “Fior di margherita”, così si saprà che c’è un’altra menzogna storica in un alimento conosciuto dal mondo intero».
Per ristabilire la verità. E pensare al futuro. Masaniello ne sarebbe contento.
Un brasiliano che “luntano ‘a Napule nun se po’ sta!”
Luis Vinicio e l’amore di Napoli corrisposto
Luis Vinicio è un simbolo del Napoli e di un calcio sentimentale che non c’è più. Oltre la retorica, lui e Pesaola rappresentano gli stranieri catapultati in Italia dal Sudamerica negli anni Cinquanta e mai più staccatisi da Napoli. ‘O Lione si divide tra Belo Horizonte, dove ha ancora i fratelli, Bologna e soprattutto Napoli, dove ha la sua vita. La confessione d’amore ben noto per la città partenopea alla trasmissione “Sottovoce” della RAI evidenzia il perchè Napoli sa entrare nel cuore degli stranieri, e non solo calciatori. Vinicio racconta che quando va in Brasile ci mette poco a sentire la mancanza di Napoli. Il perchè non lo spiega direttamente ma lo si capisce nel corso di tutta l’intervista: ad un uomo abituato a godere dell’affetto della gente per strada da sessanta anni, le passeggiate brasiliane non sono esattamente uguali a quelle napoletane, e neanche bolognesi. Napoli è per lui il sentirsi vivo.
Magari si può discutere della “degenerazione” dell’affetto dei napoletani per i propri idoli, sfociato col tempo nel fanatismo, ma anche questo è il segno dei tempi, la conferma di un calcio sempre più esasperato in ogni manifestazione, dentro e fuori campo, e di una città un po’ più smodata.
la passione azzurra in musica di quattro Napoletani
Quattro meridionalisti che si incontrano e finiscono per scrivere una canzone dedicata alla loro passione azzurra: Eddy Napoli, Angelo Forgione, Salvatore Lanza e Paolo Serretiello. Non un inno, di quelli che si lanciano quando l’euforia è tanta, ma una spinta per il Napoli in una delicata settimana che porta alla finale di Coppa Italia dello sponsor in camicia rossa contro la Juventus a Roma. Una partita dall’alto significato simbolico oltre che sportivo. “Un sogno azzurro” accompagnerà le trasmissioni sportive dell’emittente radiofonica ufficiale del Calcio Napoli Radio Marte, per tutta la settimana che condurrà alla finalissima dello stadio Olimpico. L’idea nasce negli studi di Radio Marte: una canzone propiziatoria per la finale di Coppa Italia di Domenica prossima. Il brano è già disponibile su YouTube ed è programmato in alta rotazione su Radio Marte. «Si tratta di un brano che esalta il nostro senso di appartenenza – spiega Paolo Serretiello – che nei confronti della squadra del Napoli, diventa sfida, passione e motivo di orgoglio, oltre che di riscatto per chi crede ancora nel Sud e nelle nostre risorse». «Non è un altro inno tra i tanti ma una semplice canzone spontanea per mettere in musica la nostra passione e le nostra identità, le nostre “bandiere” su cui ci confrontiamo continuamente, nell’approssimarsi di una finale nella capitale tra due capitali storiche», dice Angelo Forgione che ha anche realizzato un video ad-hoc, mentre la musica è stata composta da Eddy Napoli, che dichiara: «Ci auguriamo di sentirla sempre di più, e che faccia presto breccia nei cuori dei napoletani, e non solo: ci auguriamo che diventi una bandiera in più, quella bandiera che manca da troppo tempo nei nostri venti».
Musica e Voce: Eddy Napoli
Testo: Angelo Forgione – Salvatore Lanza – Eddy Napoli – Paolo Serretiello
Tanti cuori che battono insieme uno solo diventa perché, uno stadio si tinge d’azzurro e la nostra passione s’accende per te.
Tu ci dai sempre mille emozioni e per questo cantiamo con te: “vita mia, si stata ‘o primmo ammore e ‘o primmo e ll’urdemo sarraie pe’ mme”.
Con una canzone tu ci fai sognare, con un calcio ad un pallone tu ci fai volare come un aquilone alto su nel cielo, sei l’ amore unico il più grande il più sincero.
Napoli, Napoli, Napoli, l’unica fede che c’è ! Napoli, Napoli, Napoli, io sono pazzo di te ! Napoli, Napoli, Napoli, un sogno azzurro per noi ! Napoli, Napoli, Napoli, Napoli vinci per Napoli !
Una maglia una sciarpa e un amico quante corse affannate per te. Sono qui da quand’ero bambino e la voce mi trema tutt’oggi perché:
per il mondo noi siamo milioni sei l’orgoglio di ognuno di noi. Nell’azzurro tra il cielo e gli Dei con l’orgoglio di essere partenopei.
Sventola bandiera fino ad impazzire se non sei napoletano non lo puoi capire, sventola bandiera basta una vittoria che una città intera vive i suoi sogni di gloria.
Napoli, Napoli, Napoli, l’unica fede che c’è ! Napoli, Napoli, Napoli, io sono pazzo di te ! Napoli, Napoli, Napoli, un sogno azzurro per noi ! Napoli, Napoli, Napoli, Napoli vinci per Napoli !
La tua storia non finirà mai e vivranno per sempre gli eroi, quelli che non tradiscono mai perché son figli tuoi, forza Napoli. Napoli !!!
Venticinque anni oggi da quel giorno in cui Napoli si tinse d’azzurro ed esplose di gioia. 60 anni di speranza, un campionato di attesa, 1 settimana di passione. Immagini che vivono nei ricordi di chi c’era e nelle speranze dei più giovani che sognano di poter vivere quella emozione. È questo l’obiettivo che il Napoli deve perseguire, a prescindere dagli uomini che lo rappresentano.
Rivediamo insieme un video che i più giovani amano perchè capace di trasferire, a loro che lo scudetto non l’hanno mai assaporato, le emozioni di quel Maggio del 1987. Questo è ciò che i tifosi vogliono! Tutto il resto è noia.
Angelo Forgione per napoli.com – Era chiamata salita de “l’Infrascata” l’attuale Via Salvator Rosa che andava dal Museo fino a San Gennaro ad Antignano. Il sapore bucolico di una volta non c’è più, è solo un ricordo delle pitture dell’Ottocento la scalata attraverso gli alberi, i giardini e le aiuole fiorite che i più fortunati facevano in carrozza e i meno coi ciucci. Fino agli inizi del ‘900 era in vigore il noleggio di somarelli e cavallucci in partenza da alcuni locali-stalle all’inizio della via nei pressi del museo. Giunti a destinazione, i viaggiatori abbandonavano i quadrupedi che tornavano da soli alla partenza, dando vita alla bellissima visione di schiere di asini in libertà. La chiesa della Cesarea, sostanzialmente l’attuale Piazza Mazzini, indicava il limite fra la città e la campagna, e da lì la strada diveniva più impervia. Da li si potevano ammirare le ville di villeggiatura dei nobili e aristocratici napoletani e non. In tutta la collina sono presenti numerose tracce di costruzioni neoclassiche dell’epoca, immerse tra nuove costruzioni e palazzi di costruzione post-unitaria per affare della Banca Tiberina di Torino che edificò il nuovo quartiere. Nel triangolo compreso tra le attuali Via Salvator Rosa, Piazza Leonardo e Via Girolamo Santacroce, immersa in un fazzoletto di verde sopravvissuto al cemento (foto), è la Villa de Majo, già Villa Genzano dal nome del Marchese Andrea de Marinis di Genzano che quel podere fece edificare tra Sette o Ottocento avvalendosi dell’opera di Antonio Niccolini, autore della facciata del Real Teatro di San Carlo e della Villa Floridiana. Ben visibili le colonne piatte con capitelli di ispirazione vanvitelliana e, seppur nell’abbandono, i tempietti (foto) e i riposi da cui si godeva, e si gode ancora, l’incantevole panorama di Napoli verso Sorrento. Vi dimorò anche Gaetano Donizetti nel suo soggiorno napoletano durante il quale musicò la “Lucia di Lammermoor” la cui prima assoluta andò in scena nel Settembre 1835 al San Carlo; poi, tra le altre, una collezione di 4 ariette e 2 duetti con accompagnamento da pianoforte chiamata Soirées d’Automne à l’Infrascata. Ma pure celebri canzoni napoletane come Me voglio fà na casa e, forse, la barcarola Te voglio bene assaje che una certa vulgata storica non accertabile attribuisce in maniera controversa al compositore bergamasco che dalle mura napoletane, tra il 1828 e il 1838, contribuì a dare una nuova connotazione alla canzone napoletana e di conseguenza italiana. Nel 1871, Giuseppe Verdi lo definì “il più napoletano tra i musicisti”. Poco più giù venne edificato qualche decennio dopo il palazzo (foto) dove visse Giovanni Capurro, il poeta che scrisse le parole di ‘O sole mio. Lo ricorda una lapide all’interno della costruzione, replicata anche all’esterno (foto) in occasione della riqualificazione relativa alla costruzione dell’uscita della metropolitana. L’intero palazzo è infatti rivestito da una scenografica pioggia di raggi dorati (di sole), opera dell’artista napoletano Mimmo Paladino. Non solo Donizetti e Capurro; al Vomero, nella stessa Villa Ricciardi in Via San Domenico, dimorarono anche Giacomo Leopardi e Dumas padre, quest’ultimoprima di avere in dono da Garibaldila regia Casina del Chiatamone. E ancora Eduardo Scarpetta alla Villa Santarella sulla cui facciata fece scrivere “qui rido io”. Tanti i residenti illustri nelle Ville Salve, Leonetti, Carafadi Belvedere, etc. Ma il più celebre di tutti fu quel Ferdinando di Borbone che visse gli ultimi anni della sua vita nella Villa Floridiana insieme alla moglie morganatica Lucia Migliaccio.
La vittoria della Juventus, la sconfitta degli juventini
inciviltà esasperata de’ ‘o surdato assatanato
Angelo Forgione – Ci avete annientati in campo e complimenti al vostro allenatore che, dopo i ripetuti fallimenti degli anni scorsi, vi ha ridato un’anima. Ci avete dato una lezione calcistica in campo e lo riconosciamo, agevolati da un Napoli che non ha incarnato alcuno spirito utile a scongiurare l’offesa di un intero popolo. Vi siete tolti lo sfizio di batterci dopo anni di sonore batoste, di vedere persino Quagliarella infilarci. Complimenti meritati! Ma fuori, come al solito, avete mostrato il peggio di voi, che è molto peggio del peggio di noi. Soliti sacchetti di immondizia, soliti cori non oltre il buongusto di cui anche i nostri sono soliti ma oltre il consentito, ovvero oltre la soglia della tolleranza che è ben diverso. “La vergogna dell’Italia siete voi… Vesuvio lavali col fuoco… benvenuti in Italia”, insomma, il solito razzismo non torinese ma italiano perchè il pubblico juventino è in buona parte meridionale. Ma ne siamo abituati tutti, non perchè siamo arrendevoli ma perchè chi dovrebbe agire non agisce; questa è l’Italia. E forse avete ragione ad accoglierci nella vostra splendida e colta terra, a noi che facciamo parte di una città-nazione a parte da voi conquistata. Per fortuna ci avete pensato voi stessi a consacrare il vostro lignaggio, non solo coi vostri cori e con le vostre “coreografie” ma soprattutto con quella che intendevate come la più grande presa per i fondelli nei nostri confronti: tutto lo “Juventus Stadium” che si permette il lusso di cantare ‘O surdato nnammurato. Si, è stata una zappa sui piedi, anche se in un primo momento ci avete lasciati tutti interdetti. Ma è durato poco perchè, dopo il primo momento di smarrimento mentale, la ragione ha preso il sopravvento. Alla vostra schiacciante vittoria calcistica avete accostato la nostra schiacciante vittoria culturale. Può mai accadere che il San Paolo canti una canzone piemontese? Si tratta di supremazia culturale di Napoli, lo ha detto anche il presidente De Laurentiis con grande sarcasmo. Quello sabaudo, ‘o surdato assatanato, è un popolo di cultura militare dedita alla conquista che per fare regge e cultura ha dovuto chiamare i meridionali a corte. E allora grazie al popolo juventino che si è costituito certificando di essere culturalmente inferiore ai Napoletani. Avevate fatto le prove generali al San Paolo dopo aver strappato il pareggio, quando la delegazione juventina delle province di Napoli e Salerno avevano anche mostrato lo striscione “Pulcinella è bianconero”. E anche la vostra stampa sportiva aveva titolato “‘O sole mio” dopo il discusso rinvio della gara d’andata non causa tempo ma causa morte e ordine pubblico. Insomma, vi abbiamo insegnato a scrivere e cantare in napoletano… o forse neanche tanto perchè la maggior parte di voi è meridionale. E meno male che prima di fare “cantanapoli” urlavate “noi non siamo napoletani”. Il vostro Tuttojuve.com, colpito e affondato dalle parole di chi scrive, dice che non l’abbiamo presa bene e ora ci sentiamo culturalmente superiori. Sbagliato due volte perchè sappiamo perdere, siamo abituati storicamente, e non siamo di certo noi quelli che pretendono indietro quanto rubato. E non ci sentiamo culturalmente superiori ma ce lo dimostrate voi continuamente; noi non ci saremmo mai azzardati a pretenderlo. Non l’abbiamo presa bene? Era sottolineato nell’incipit della dichiarazione del sottoscritto che la Juve era stata superiore. Ma voi tirate fuori come sempre il conto degli scudetti, pompandolo con i due che non vi appartengono ostentando le vostre ignominie invece di nasconderle, perchè la Procura di Napoli ve li ha fatti togliere dalla bacheca macchiando per sempre la vostra storia che neanche “l’oggetto sconosciuto a forma di chitarra” può lavare. Il vostro palmares lo conosciamo benissimo ma, noi che abbiamo cultura e conoscenza storica, sappiamo benissimo cosa significa la questione meridionale che voi fate finta di ignorare, che hanno creato i vostri antenati e che esiste anche nel calcio italiano creato “ad hoc” a Torino per disputare per circa 30 anni un campionato italiano ad uso e consumo piemontese-ligure e lombardo-veneto. Volete che, conoscendo da dove veniamo, noi e voi, possiamo mai soffrire di complesso di inferiorità di fronte al palmares bianconero? Suvvia! Vi rendiamo di nuovo gli onori della vittoria schiacciante in campo, ma basta così, altrimenti il nostro dibattito identitario rischia di essere confuso con un inutile botta e risposta da ultrà tra uomini con i tasca il tesserino dell’ordine dei giornalisti. Quest’anno lo scudetto ve lo giocherete con Milano, tanto per cambiare, e sarà il 100° scudetto del Nord a fronte dei soli 8 del Sud. La cosa non ci stupisce. Avete accantonato la faida con gli interisti e ne avete aperta una nuova con i milanisti. Beghe vostre, a noi restano le briciole che toccherà strapparvi dalla bocca avida, quel tricolore tondo a Roma sponsorizzato da Garibaldi, quando magari a fine partita potremo darvi ripasso di dizione napoletana. Sempre con la certezza di essere identitari, consapevoli e fieri, senza contaminazione, ignoranza e presunzione. Siamo pur sempre la Capitale dell’orgoglio, non dell’imbroglio, e tanto ci basta… anzi, è davvero tanta roba.
Auguri a Luis Vinicio che oggicompie oggi 80 anni. Una grande bandiera della storia del Napoli, uno degli attaccanti più prolifici del nostro calcio con le sue 155 reti in Serie A, capocannoniere nella stagione 1965-66 (con la maglia del Vicenza). Vinicio è legato indissolubilmente al Napoli in bianco e nero, quello che giocava al Vomero. Detto «’O lione», ha giocato in maglia azzurra dal ’55 al ’60 realizzando 69 reti. Poi anche allenatore dei partenopei dal ’73 al ’76, innovando il calcio italiano con l’introduzione del gioco a zona e portando la squadra capitanata da Antonio Juliano (in basso) ad uno storico secondo posto alle spalle della Juve nel 1975. Era il Napoli frizzante che rialzò il morale dei napoletani dopo la piaga delcolera e le ingiuste etichette.
Innamorato di Napoli dove risiede (come Pesaola e Canè), dopo aver giocato e allenato anche a Bologna, Milano, Brindisi, Terni, Roma, Avellino, Pisa, Udine e appunto Vicenza (ma anche a Castellammare di Stabia), si è sempre considerato un napoletano a tutti gli effetti. E lo è! Auguri, Napo…Lione.