L’influenza della Canzone napoletana nella musica internazionale

Angelo Forgione Lucio Dalla, da grande appassionato di cultura napoletana, una volta disse: «Quella napoletana è la musica più importante del Novecento, altro che Beatles! Dobbiamo tornare a noi, e non essere provinciali, scopiazzando all’estero». È innegabile che le radici della melodia e del belcanto nel mondo siano partenopee. Magari sfugge che nella Napoli sveva del XIII secolo iniziò a delinearsi quello che oggi chiamiamo genere pop, cioè popular, coi primi canti intonati delle lavandaie dell’agreste collina del Vomero. Nel successivo periodo angioino venne rappresentata in pubblico la primissima opera in musica folcloristica, firmata del fiammingo Adam de la Halle. Passando per le villanelle, diffuse in Europa dai fiamminghi Orlando Di Lasso, Adrian Willaert e Hubert Waelrant, l’evoluzione della melodia napoletana, legata a quella del dialetto, non si è mai interrotta, anche se la sua diffusione nel mondo ha subito un forte rallentamento per l’impatto avvenuto negli anni ’60 del ‘900 con la musica inglese e americana. Oggi, a girare per il mondo, è il grande repertorio classico della Canzone napoletana. Ma che influenza ha avuto tutta questa storia nella musica internazionale delle grandi band del Novecento? Proviamo a capirlo ascoltando qualche brano dei Beatles.

Enzo Coccia e la fallace vulgata della pizza ‘margherita’

Il pizzaiuolo consapevole Enzo Coccia, intervistato da storienogastronomiche.it, dice la sua sulle vere origini della pizza ‘margherita’, sottolineando che la storia che la lega a Margherita di Savoia è un’operazione di marketing di fine Ottocento ma non la verità sull’origine della pizza con pomodoro, mozzarella e basilico, risalente alla fine del Settecento.

leggi la vera storia della nascita della pizza ‘Margherita’

Restaurati i lampioni di ghisa del “Risanamento”

lampioni_1Angelo Forgione – Il Museo Italiano della Ghisa ha effettuato qualche tempo fa delle ricerche sugli stabilimenti metallurgici dell’Italia meridionale nel periodo compreso tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, evidenziando la presenza di pregiate fonderie capaci di produrre oggetti artistici di alta qualità e fattura. Testimonianze di quelle produzioni sono presenti a Napoli, città in cui proprio recentemente sono stati restaurati i pregevoli lampioni in ghisa di Corso Umberto e via Sanfelice a Napoli, (basi identiche si trovano anche in piazza del Plebiscito e altre zone della città), ora corredati di una nuova lampada di tipo autostradale, in sostituzione di quella che aveva già a sua volta preso il posto delle lampade a lampioni_3sfera napoletana, e mutati anche nel colore, adesso grigio antico, in luogo del verde scuro dell’ultimo periodo.
I lampioni furono fusi durante i lavori del “Risanamento”, nella realizzazione del nuovo asse viario che dalla stazione conduceva al centro e con cui si diede un nuovo decoro alla zona interessata (mettendo in atto un’enorme speculazione edilizia delle banche piemontesi e romane che condussero allo scandalo della Banca Romana). Per la realizzazione dei manufatti, l’ingegner Enrico Treichler della fonderia De Lamorte di Napoli si ispirò ai tre basamenti portastendardo di piazza San Marco a Venezia, fusi in bronzo nel 1505 dalla scultore lampioni_2Alessandro Leopardi e ancora oggi collocati davanti la basilica di San Marco. I decori furono in gran parte modificati, ma la forma era la stessa, in particolare la sezione centrale coi leoni alati. Identiche basi, sempre realizzate dalla stessa fonderia napoletana, si trovano anche nella bella piazza Duomo a Catania, attorno alla celebre fontana dell’elefante, ancora terminanti con lampade a sfera napoletana.
lampioni_5Le basi, di dimensioni imponenti, sono arricchite da festoni sostenuti da nastri con perle, da corone di foglie d’acanto e di alloro e dalle tre figure leonine alate, raccordate tra loro da elementi floreali e vegetali. I candelabri presentano delle colonna prima scanalate e poi lisce, impreziosite in alto da delle statue femminili che indossano drappi annodati in vita (nella foto a destra un esemplare custodito nel Museo Italiano delle Ghisa), rielaborazione di esempi scultorei tratti probabilmente da Francesco Jerace.
Va detto che Enrico Treichler, dopo l’esperienza maturata nella fonderia De Lamorte, ne fondò una tutta sua, dalla quale uscirono anche gli orologi dell’ora unica, quelli storici dell’Ente Autonomo Volturno, restaurati qualche anno fa con qualche modifica (e con sparizione di un paio di esemplari).

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