Con un tal cibo, che rallegra gli animi,
qual cibo v’è che possa mai competere?
Dunque tra i più famosi e più magnanimi eroi
s’innalzi Pulcinella a l’etere.
Tacque, ciò detto, e i commensali unanimi fecero plauso,
anzi godean ripetere: muojan le droghe,
che di vita privano, e i Maccheroni eternamente vivano.
È il finale di un peometto giocoso I Maccheroni composto dal poeta veneto Iacopo Vittorelli e pubblicato nel 1784 a Bassano del Grappa nelle sue Rime. Così l’autore fece sapere ai Veneti che dall’altra parte della Penisola, dalle parti del Vesuvio, era in atto la rivoluzione della pastasciutta, i cui meriti erano da attribuire a Pulcinella, cioè ai napoletani.
La pastasciutta si stava facendo imprescindibile per la gente di Napoli, allorché la Capitale settecentesca si espandeva e invadeva gli orti, e allora i “mangiafoglia” divennero i “mangiamaccheroni”, e la cucina di Napoli prese a definirsi nella sua configurazione moderna. Il binomio verdure-carne fu pian piano sostituito da quello maccheroni-formaggio, in grado di fornire il necessario supporto proteico e nutrizionale, anche se meno nobile rispetto al primo.
Il piatto di spaghetti, elemento centrale nella Natura morta con piatto di maccheroni dipinta intorno al 1760 da Giacomo Nani ed esposto negli appartamenti storici del Palazzo Reale di Napoli, è una delle migliori testimonianze dei maccheroni del Settecento, così come si mangiavano prima che il pomodoro invadesse la cucina partenopea.
Il Nani morì nel 1770, proprio l’anno in cui nel Regno di Napoli giunsero dal Perù i semi di pomodoro a bacca lunga. Ci volle però ancora una trentina d’anni perché finisse l’epoca dei maccheroni in bianco con solo formaggio grattugiato, del tipo nolano, molto simile al pecorino romano, o caciocavallo.
Goethe, nella primavera del 1787, nel corso della tappa napoletana del suo Viaggio in Italia, riportò l’usanza locale di cuocere e mangiare maccheroni nelle strade:
[…] I maccheroni formati di una pasta fina, lavorata a lungo, molto compressa, e fatta passare a traverso forme apposite, sono di varie qualità, e si trovano dovunque a modico prezzo. Si fanno in generale cuocere semplicemente nell’acqua, quindi si condiscono con il cacio sul piatto stesso.
La prima ricetta scritta di pasta con il pomodoro, i Maccaroni alla Napolitana, sostanzialmente una pasta al forno, risale al 1807, firmata da Francesco Leonardi, cuoco romano alle dipendenze napoletane prima del Principe di Francavilla e poi del Duca di Gravina:
Fate cuocere dei maccaroni con acqua e sale, allorché saranno cotti tre quarti scolateli, e conditeli nella Terrina con parmigiano grattato, pepe schiacciato, e Sugo di vitella, o di manzo, ovvero un buon brodo di Stufato, o Garofanato fatto con sugo di pomidoro, e passato per il passabrodo. Coprite la Terrina, ponetela sopra la cenera calda, o alla bocca del forno acciò i maccaroni prendano sapore, e serviteli che siano alquanto sugosi.
per approndimenti: il Re di Napoli – Angelo Forgione, Magenes (2019)