Angelo Forgione – La trasmissione Report torna a occuparsi di un altro pilastro della cultura gastronomica napoletana: la pizza. L’indagine lungo tutta la penisola di Bernardo Iovene, che andrà in onda il 5 ottobre su Rai Tre, vuol dimostrare che il disco condito e cotto nel forno a legna può contenere elementi cancerogeni, a causa dei fumi, della farina carbonizzata e della cattiva manutenzione dei forni stessi, che i pizzaiuoli non puliscono. Insomma, un rischio per la salute. E non è che sia proprio una gran scoperta! Le pizze, anche a Napoli, non sono tutte della migliore qualità insegnata al mondo dai napoletani (come il caffè) ed è la stessa Coldiretti ad avvisare che la metà delle novecento milioni di pizze servite nelle venticinquemila pizzerie italiane, Napoli compresa, sono preparate, all’insaputa del consumatore, con farine canadesi e ucraine, pomodori cinesi, olio d’oliva tunisino o spagnolo e cagliate dell’Est-Europa in luogo della mozzarella. Report ne fa anche una questione di cottura, come del resto le associazioni di categoria che tutelano il marchio “Pizza Napoletana STG” e il suo disciplinare di preparazione, in cui è scritto che “il pizzaiolo deve controllare la cottura della pizza sollevandone un lembo, con l’aiuto di una pala metallica, e ruotando la pizza verso il fuoco, utilizzando sempre la stessa zona di platea iniziale per evitare che la pizza possa bruciarsi a causa di due differenti temperature”. Insomma, ognuno, prima di gustare una pizza servita al piatto, dovrebbe controllare se il suo fondo è bruciato; basta questo piccolo errore di preparazione per distinguerla da una vera pizza napoletana STG. I fumi? Sono un problema relativo, nel senso che questi tendono a salire per principio fisico, e stagnano sulla volta superiore del forno, mentre la pizza deve essere cotta e girata sempre sullo stesso punto della platea (fondo). Alzarla con la pala e cuocerla ad altezza fumi è un errore! È importante ricordare che il forno a legna raggiunge la temperatura di 485 gradi, e il manuale HACCP sull’igiene alimentare indica che già a 450 gradi viene distrutto ogni microrganismo potenzialmente patogeno. Il forno a legna, con tutte le sue incognite, non è particolarmente dannoso, a differenza di quello elettrico, che cuoce le pizze a un massimo di 300 gradi; anche perché “i tempi di cottura non devono superare i 60-90 secondi”, periodo molto ristretto che non consente al prodotto di “assorbire” sostanze di combustione nocive (nel forno elettrico, una pizza ci resta circa dieci minuti!). Di fronte a queste valutazioni più sottili si trovò qualche anno fa anche l’Unione Europea, che prima minacciò di bandire i forni a legna e poi tornò sui suoi passi.
Una vera Pizza Napoletana STG, se preparata secondo il disciplinare, non è affatto dannosa. Anzi, nell’iter che condusse al riconoscimento STG, furono riconosciute da autorevoli ricerche scientifiche le proprietà salutari del piatto principe della cucina napoletana, grazie al licopene del pomodoro che contrasta l’attività dei radicali liberi e ai polifenoli dell’olio extra-vergine d’oliva che funzionano come spazzini delle arterie, elementi che riducono il rischio di malattie cardiovascolari e dei tumori all’apparato digerente. Il consiglio scientifico è quello di gustare una volta a settimana una STG, che evidentemente si riconosce a vista e a digestione. Se quella della vostra pizzeria mostra evidenti parti annerite sul bordo e sul fondo, e non è facilmente digeribile (lievitazione incompleta), è meglio cambiare. È una questione di cultura della preparazione, così come della consumazione. In questo senso, e solo in questo, Report non andrebbe fuori strada.
Pizza cancerogena? Quella Napoletana STG è anticancro!
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