Un festival per affermare la sicurezza della produzione agro-alimentare campana

Un Festival del Pomodoro proprio a Caivano, sfidando la fobia per i prodotti coltivati nella cosiddetta Terra dei fuochi. Lo abbiamo fatto, guidati da Paola Dama, fondatrice del gruppo di studio Task Force Pandora e ricercatrice dell’Università di Chicago, per lanciare un messaggio chiaro: non è affatto vero che se si mangia campano si ingeriscono veleni. Lo abbiamo fatto per arginare i danni creati a una filiera agricola da chi non aveva alcun titolo per gridare all’inquinamento agro-alimentare in Campania e per mettere in crisi un intero comparto. Ne hanno approfittato in tanti, creando allarmismo strumentale, nonostante il RASFF, ovvero il Sistema di Allerta Rapido comunitario, non abbia mai lanciato alcun allarme in tal senso. Insomma, prodotto campano più boicottato che inquinato. Malainformazione e nulla più.
La serata all’auditorium Caivano Arte, presentata da Mary Aruta e Luca Riemma, ha goduto del sostegno di personalità politiche e diversi artisti di Made in Sud, ma i veri protagonisti sono stati i numerosi esperti e ricercatori che hanno fatto luce sulla potenziale tossicità dei prodotti campani. Il messaggio più importante è che le piante non accumulano sostanze tossiche nelle parti che mangiamo. L’ecosistema biologico le rende autodepurative, cioè capaci di assorbire ciò che gli serve e non tutto quello che si trova nel terreno. I frutti della terra assimilano in modo selettivo e tendono a rifiutare inquinanti e sostanze in eccesso. Il problema vero resta l’aria che si respira nel zone comprese tra Napoli e Caserta, ed è quella la vera responsabile dell’incidenza tumorale più alta che altrove.
La chiusura, dopo tre ore di dibattito, ha proposto una mia spiegazione della diffusione del pomodoro in Europa, partendo di fatto da Napoli, la città che, con una epocale rivoluzione agricola del Settecento, cambiò le abitudini alimentari. Un secolo fa un’industria fondata da un piemontese metteva il Golfo di Napoli nelle sue immagini pubblicitarie per dire al mondo che il proprio prodotto era di eccellenza. Oggi invece le aziende conserviere del Nord rivendicano la provenienza settentrionale delle materie prime. Qualcosa è cambiato.

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