Angelo Forgione –
“Mafia de’ noantri”, “Mafia romana”, “Mafia capitale”… Chiamiamola pure come ci pare. È solo una questione di nome. Il fatto è che la nuova questione romana si annusava da decenni e non stupisce. La maestà del “cupolone“, nello specifico, è qualcosa che il capo-procura di Roma definisce «originario e originale, autoctono, con caratteri suoi propri rispetto alle altre organizzazioni mafiose cui è anche collegato». È una “Quarta Mafia” forse meno potente, sul piano militare, di quelle tradizionali perché poggia maggiormente su coperture politiche, e perciò più lacerante e invasiva, temuta e corteggiata, con grandi capacità di includere e condividere.
Scorretto però puntare il dito sulla sola Roma. Dove vi è politica vi è corruzione italiana, e se Roma, centro nevralgico del sistema nazionale, non poteva restarne immune lo stesso vale per ogni parte del Paese, zona più e zona meno. Le bande del MoSE e dell’Expo insegnano che certe organizzazioni hanno molteplici facce e diverse latitudini, ed è importante anche il loro contributo al non formidabile primato raggiunto quest’anno dal Belpaese: L’Italia è prima per corruzione tra i paesi dell’Ue. Il dato è fresco di notifica, consegnata da Transparency International, l’organizzazione internazionale non governativa che si occupa di stilare annualmente una classifica della corruzione percepita, il Corruption Perception Index, sulla scorta delle valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione di 175 paesi del mondo. L’indice 2014 vede l’Italia al posto 69, fanalino di coda per trasparenza tra i paesi membri dell’Unione Europea. È la stessa posizione della classifica 2013, pressoché identica anche ai risultati degli anni precedenti, a testimonianza di una poco invidiabile stabilità conseguita in argomento, e per giunta le uniche europee che la precedevano, Bulgaria e Grecia, l’hanno appaiata, migliorando la loro posizione. Sullo scenario mondiale, in una scala da zero (massima corruzione) a 100 (corruzione assente), l’Italia fa segnare 43 punti e si colloca tra le nazioni che non raggiungono la sufficienza in trasparenza.
Ci si affretta a parlare di “meridionalizzazione”, riprendendo l’ormai antica identificazione scorretta del solo Sud con la parola «corruzione». La storia recente ha detto invece che la “Tangentopoli” di “Mani Pulite” degli anni Novanta è nata nella Milano di Bettino Craxi, da inchieste sugli amministratori del capoluogo lombardo, preludio ai crac emiliani di Parmalat e Bipop Carire e alle più recenti e note vicende. «La corruzione non è confinata solo al Sud-Italia ma sempre più nazionale», disse il mezzobusto che conduceva il TG1 Economia del 29 settembre per lanciare un servizio sulla corruzione italiana. In quel servizio (guarda) il presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri precisava che «sostenere che il Sud sia il luogo dove la corruzione è maggiore è assolutamente falso».
L’impostazione conserva un certo retaggio storico della Nazione. Sembra che sia stato il Mezzogiorno a infettare il resto d’Italia, ma chi conosce la storia della corruzione in Italia sa bene che il teorema è facilmente sovvertibile, perché fu il governo del Regno d’Italia a delegare i politici meridionali a sostenere rapporti con le mafie per ricorrervi in occasione di tornate elettorali, mentre da Roma in su si verificava un’incredibile esplosione di scandali e fallimenti bancari che scandivano lo sviluppo politico post-unitario.
Da allora, nella capitale non è cambiato molto, ma poco è cambiato pure a nord e a sud del cupolone. Oggi il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ci racconta che Roma non è marcia, e che va punito chi ha rubato senza criminalizzare la città, forse allontanando l’ipotesi dello scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazione mafiosa. Atto che in un altra città sarebbe già scattato automaticamente, ma che per la capitale prefigura un gravissimo danno per la sua immagine all’estero, e per quella dell’Italia tutta. È la stessa dinamica dell’abolizione della chiusura degli stadi per discriminazione territoriale, sanzione cancellata per evitare ulteriori figuracce mondiali dopo lo scivolone estivo sulla buccia di banana del candidato presidente della FIGC Carlo Tavecchio, poi eletto. Alfano ridimensiona il fenomeno della corruzione romana e usa parole diverse rispetto a quelle che normalmente si adoperano per definire Napoli, Palermo, Reggio Calabria e tutte le città del Sud in cui il mondo imprenditoriale che conta non investe più per evidente massacro mediatico, vera metastasi del meridione. Da Roma in su invece sembra esserci sempre una cura per eliminare il tumore senza lasciare tracce dell’infezione. Il fatto è che, proprio come sui Rom e sui profughi che fruttano più della droga, anche sui meridionali – che non producono e comprano merci del Nord – poggiano i privilegi della ricchezza prodotta, e chi la detiene non intende perderla.
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Napoli ultima per qualità della vita? Ma facìteme ‘o piacere!
Napoli ultima per qualità della vita? Ma facìteme ‘o piacere!
di Angelo Forgione
Il Sole 24 Ore, come ogni anno, ha pubblicato le statistiche del 2010 sulla qualità della vita in Italia secondo le quali Napoli è inchiodata all’ultimissimo posto, chiaramente penalizzata dalla situazione igienica che ha peggiorato la già poco felice posizione degli scorsi anni.
Ho sempre avuto un mio personale pensiero su questo cimento della testata che tiene in considerazione dati reali ma ne tralascia molti altri non riducibili a freddi numeri. È verissimo, a Napoli si vive male per moltissimi aspetti, ma per altri si vive bene, decisamente meglio che altrove. E sono questi ultimi aspetti non quantizzabili dietro una statistica a rendere il Napoletano che emigra il più nostalgico dei nostalgici. E a rendere chi come me, che ho scelto di restare, comunque felice e orgoglioso… nonostante l’immondizia che pure addolora, nonostante l’Unesco che minaccia di depennarci dalla lista dei siti patrimoni dell’umanità, cosa che angoscia fin troppo, e nonostante la malavita che condiziona ogni nostro intento.
Per fortuna, in mio soccorso è arrivato lo scrittore Erri De Luca, napoletano come me, ma emigrato. E con le sue parole ha espresso esattamente il mio pensiero.
L’idea di essere il solo a pensarla così mi rendeva “muto”, ma ora so che siamo in due e quindi “parlo” tramite il pensiero di De Luca. E magari poi saremo in tre, quattro, cinque…
Io ho deciso di restare, perchè sono fiero della mia storia, del mio sangue, e di ciò che Napoli ha dato al mondo contribuendo alla fondazione della cultura Europea in ogni campo. E perchè so che Napoli è una donna stuprata da una storia minore.
Ho deciso di restare, ma non con le mani in mano.
Una falsa classifica
di Erri De Luca
Il Sole 24 ore pubblica una statistica sulla qualità della vita secondo la quale Napoli è all’ultimo posto. Ignoro i criteri di valutazione ma dubito che siano adeguati allo scopo. C’è qualità di vita in una città che vive anche di notte, con bar, negozi, locali aperti e frequentati, a differenza di molte città che alle nove di sera sono deserte senza coprifuoco. Considero qualità della vita poter mangiare ovunque cose squisite e semplici a prezzi bassi, che altrove sarebbero irreali. Considero qualità della vita il mare che si aggira nella stanza del golfo tra Capri, Sorrento e Posillipo. Considero qualità della vita il vento che spazza il golfo dai quattro punti cardinali e fa l’aria leggera. Considero qualità della vita l’eccellenza del caffè napoletano e della pizza. Considero qualità di vita la cortesia e il sorriso entrando in un negozio, la musica per strada. Considero qualità della vita la storia che affiora dappertutto. Considero qualità della vita la geografia che consola a prima vista, e considero qualità della vita l’ironia diffusa che permette di accogliere queste graduatorie con un “Ma faciteme ‘o piacere”.
Per consiglio, nelle prossime statistiche eliminate Napoli, è troppo fuori scala, esagerata, per poterla misurare.