Hitler? Per Mussolini era un Pulcinella

Angelo Forgione Benito Mussolini aveva nel suo studio un busto di Napoleone. Adolf Hitler, invece, ne aveva uno di Mussolini, di cui ammirava il modo in cui aveva conquistato il potere e come lo alimentava. Il Duce era il suo modello e ne copiò pedissequamente la politica e la propaganda prima che si invertissero le gerarchie.
I due si conobbero di persona nel giugno del 1934 e l’incontro fu davvero particolare. Hitler atterrò la mattina del 14 giugno all’aeroporto di Venezia e trovò ad attenderlo un abbronzato Mussolini in uniforme e camicia nera, con la sciaboletta appesa alla cintura, guanti e stivali fino alle ginocchia. Il Führer indossava invece un cappotto giallo sopra il classico cravattino, delle normalissime scarpe nere e un cappello di velluto. Un testimone lo definì “un operaio nel suo migliore vestito domenicale”. Il tedesco mostrò imbarazzo ma rispose al saluto romano che l’italiano gli fece andandogli incontro, e gli strinse la mano. I due si recarono presso la sede dell’incontro ufficiale, la Villa Pisani di Stra, sulla riviera del Brenta, dove Mussolini, al termine di un’intensa due giorni, si convinse che Hitler fosse matto, tutto intento ad affermare la superiorità della razza tedesca e a preannunciare i suoi piani di annessione dell’Austria. «Questo Hitler, che Pulcinella!», confidò il Duce a Fulvio Suvich, sottosegretario agli Esteri, mentre l’aereo decollò per riportare il Führer a Berlino. Hitler non fu da meno definendo «un pallone gonfiato» il suo “maestro”. Venne la guerra d’Africa e Benito chiese aiuti alla Germania, credendo di poter intimorire Gran Bretagna e Francia, ma finendo schiavo di un’alleanza fatale con Pulcinella.

 

105 anni di Alfa Romeo, cuore sportivo e cervello napoletano

Angelo Forgione – Era il 24 giugno 1910 e a Milano nasceva l’A.L.F.A., acronimo di “Anonima Lombarda Fabbrica Automobili”. Sono trascorsi 105 anni da quel giorno, anche se in realtà gli stabilimenti erano sorti nel 1906 sotto l’insegna della Società Anonima Italiana Darracq (SAID), sede produttiva italiana della casa francese di Alexandre Darracq. L’imprenditore transalpino aveva scelto Napoli come primo insediamento ma uno dei soci italiani, il milanese Ugo Stella, impose Portello, alle porte di Milano, in prossimità dei potenziali clienti e nel “triangolo industriale”, più vicino alla Francia, là dove si erano iniziate a concentrare l’offerta di lavoro e la conseguente immigrazione dalle altre zone del Paese. Nel 1909, Stella e i suoi consoci italiani fondarono una nuova società denominata A.L.F.A., inizialmente ancora in collaborazione con Darracq, estromesso un anno dopo, allorché iniziò la produzione del primo modello tutto milanese, la 24 HP. Ma l’azienda lombarda non avrebbe avuto lunga vita se non fosse intervenuto l’ingegnere napoletano Nicola Romeo da Sant’Antimo a salvarla dal fallimento nel 1915, quando ne fu nominato direttore dalla nuova proprietà, la Banca Italiana di Sconto, per poi diventare azionista nel 1918. Così l’A.L.F.A. divenne l’Alfa Romeo (clicca qui).
A 23 anni il giovane Nicola, classe 1876, si era laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Napoli (oggi Ignegneria), e se ne era andato a Liegi, in Belgio, per laurearsi anche in ingegneria elettromeccanica. Era rientrato che ne aveva 26, iniziando l’attività di rappresentanza per l’azienda britannica Blackwell, specializzata nella realizzazione di tranvie elettriche, introducendo in Italia dei sistemi all’avanguardia d’importazione. Nel 1906 si era messo in proprio e nel 1911 aveva fondato a Milano la società “Ing. Nicola Romeo & C.” per la produzione di macchinari per attività estrattiva e commercializzazione di materiali ferroviari provenienti dal Regno Unito e dagli USA. Grazie ai suoi contatti con l’estero, aveva ottenuto la licenza per la costruzione di camioncini di trasporto truppe militari dai vecchi “inquilini” di Portello della Darracq. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, l’ingegnere aveva offerto allo Stato italiano i mezzi militari francesi a un prezzo davvero vantaggioso ma gli fu era stato detto che l’esercito acquistava solo prodotto nazionale, dove per nazionale si intendeva ovviamente del Nord-Italia, quello dell’industria assistita e privilegiata dalle scelte della nazione unita. Fiat e Ansaldo prosperavano grazie alle commesse e agli aiuti pubblici mentre al Sud l’apparato esistente vedeva il precoce tramonto. Per questo il geniale ingegnere napoletano aveva accettato di rilevare la fallimentare A.L.F.A., incapace di convertire la produzione per scopi militari.
Finita la guerra, le difficoltà dovute alla riconversione per la produzione civile furono superate con l’aiuto del “Consorzio sovvenzioni sui valori industriali” e la prima vera produzione in serie di automobili col marchio Alfa Romeo fu nel 1919, in concorrenza con la Fiat. La qualità era decisamente alta, apprezzata pure da Henry Ford, l’inventore della catena di montaggio, il quale, per esternare la sua ammirazione, dichiarò: «Quando vedo un’Alfa Romeo mi tolgo il cappello».
pomiglianoIl temerario ingegner Romeo cercò di fare impresa anche nel suo territorio di origine e nel 1926, a Pomigliano d’Arco, mise su la O.F.M., Officine Ferroviarie Meridionali, una fabbrica dove avviò la produzione di trattori, locomotive, aeroplani e idrovolanti militari e civili. Ma il crollo di Wall Street e la conseguente recessione mondiale portarono all’accumulo di debiti enormi sia per la O.F.M. (la Circumvesuviana ordinò stranamente grandi quantitativi alle officine di Reggio Emilia invece che a quelle di Pomigliano, come avvenuto in passato) che per l’Alfa Romeo, azienda senza una rete di concessionari che vendeva auto in un’italia senza autostrade e con la forte concorrenza della privilegiata Fiat. In soccorso delle aziende e delle banche a esse vincolate accorse Benito Mussolini, che, per proteggere l’economia del Nord Italia, aprì un paracadute statale con la nuova Sezione speciale autonoma del Consorzio per Sovvenzioni sui Valori Industriali, con cui, per la prima volta, un ente pubblico rilevò azioni delle imprese industriali in difficoltà, tra cui l’Alfa Romeo, colpita dal tracollo della Banca Italiana di Sconto e rilevata dalla Banca Nazionale di Credito. Nicola Romeo fu affiancato da Pasquale Gallo, uomo di fiducia della nuova maggioranza, con cui entrò in conflitto, per essere poi estromesso nel 1928 e costretto a dedicarsi, negli ultimi anni della sua vita, allo sviluppo di alcune piccole linee ferroviarie nel Meridione di sua proprietà.
Nel 1933 il regime fascista creò l’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, col compito di finanziare il rilancio e di acquistare dagli istituti di credito le azioni delle imprese in difficoltà. Fu fatto a prezzi decisamente più alti dei valori effettivi, in modo da dare ossigeno sia alle banche che alle aziende. Lo Stato si accollò la crisi generale e la stessa Alfa Romeo diventò statale, cessando di rappresentare un serio pericolo per la Fiat. Nicola Romeo perse la sua creatura e morì logorato nel 1938 a Magreglio, sul lago di Como. Nonostante le sue automobili dal carattere sportivo fossero preferite alle più “semplici” Fiat dal Duce, gli interessi allacciati dal Regime fascista e da Giovanni Agnelli Senior erano talmente grandi che l’azienda milanese, anche se ormai di proprietà dello Stato, fu spodestata in alcune grandi forniture statali a beneficio dell’azienda torinese. Dopo la Seconda guerra mondiale l’indebitamento dell’Alfa Romeo divenne sempre più grave. Negli anni Ottanta fu consegnata proprio alla Fiat dal Governo Craxi e dall’IRI, guidato da Romano Prodi, il quale, tra le polemiche, ne impedì l’acquisto da parte della Ford, auspicato dagli operai meridionali ma tanto temuto da Gianni Agnelli junior (clicca qui). Storia dell’industria italiana, storia d’Italia.