Tutta l’ignoranza d’Italia nella domenica del pallone

bandiera_francia_veronaAngelo Forgione Verona-Napoli la portano a casa gli azzurri. Una partita in cui si è specchiato un Paese che nel proprio campionato impone la bandiera francese in bella mostra e l’ascolto de “la Marsigliese”, in segno di solidarietà per le morti di Parigi. Giusto e sacrosanto commemorare delle vittime innocenti, ma quando ciò avviene solo in ricordo di un popolo e non di tutti quelli coinvolti in luttuosi eventi si finisce per esprimere un messaggio politico. Avremmo preferito la bandiera multicolore della pace e l’esecuzione di Imagine di John Lennon, ma evidentemente il cocchiere guida il carrozzone in una strada a senso unico. A Verona, poi, non per colpa degli innocenti ragazzini deputati a mostrarla, è venuto fuori persino un tricolore francese ribaltato (che nei paesi del Commonwealth significa arrendevolezza) e nessuno dei commissari di Lega ha pensato di far rettificare il senso. Sugli spalti, appena terminata l’ultima nota dell’inno di Francia sono ripresi i cori razzisti contro Napoli, e tutti a sdegnarsi, a partire da Paolo Condò su Sky, la cui denuncia veniva condivisa da Ilaria D’Amico. Ma ci vogliamo forse stupire per l’ipocrisia nazionale e per l’incoerenza dei tifosi del Verona, da sempre eccessivamente animosi nei confronti dei napoletani? Non un comportamento diverso dal solito, e certamente non peggiore di quello avuto dai bolognesi il 31 maggio 2013, durante Italia – San Marino, partita dedicata alla lotta al razzismo, quando intonarono a sproposito “stonati” cori contro il popolo partenopeo.
insigne_veronaSul campo del ‘Bentegodi’, il più bersagliato è stato, neanche a dirlo, il napoletanissimo Lorenzo Insigne. E proprio lui ha infilato il primo pertugio aperto nella difesa gialloblu, ha baciato più volte la maglia azzurra all’altezza dello stemma, è corso ad abbracciare il napoletano-toscano Sarri ed è stato travolto dai napoletani dello staff, a partire dal medico sociale De Nicola, passando per il massaggiatore Di Lullo, per finire con il magazziniere Tommaso Starace, lo stesso di trent’anni fa, quando fu Maradona a fargli giustizia sullo stesso campo. Lorenzo ha dedicato il goal alla sua città e la sua rivalsa da scudetto è finita in copertina, con più risalto di quanto non ne ebbe lui stesso due stagioni fa e, in Serie B, l’ex compagno di squadra a Pescara Ciro Immobile, che le offese dei veronesi se la legò al dito, così come l’altro conterraneo Aniello Cutolo, che restituì i ceffoni al ‘Bentegodi’ con tutto Mandorlini.
La domenica calcistica è finita come era iniziata. Nello stesso stadio in cui, nel 2007, fu sonoramente fischiato l’inno di Francia, a dieci minuti dal termine di Inter-Frosinone, con i padroni di casa in gloria, i tifosi nerazzurri si sono proiettati allo scontro al vertice di lunedì 30 al ‘San Paolo’ e hanno pensato bene di vomitare il loro repertorio razzista all’indirizzo dei napoletani. Tanto per non farsi mancare nulla.
Bandiere rovesciate, ipocrisie e scontri territoriali; questo è lo spettacolo che va in scena sui palcoscenici della Serie A. Non c’è affatto da meravigliarsi. Lo faccia chi non sa che l’Italia è un paese profondamente ignorante – tra i primi al mondo per odio razziale – che ignora la reale connotazione dei fenomeni immigratori e li rende negativi anche quando non lo sono. Insomma, Italia regno dei pregiudizi. C’è qualcuno – la Ipsos Mori in Gran Bretagna – che qualche tempo fa si è preoccupato di certificare il dato con una ricerca in 14 paesi del mondo con cui si evince che gli italiani hanno la più scarsa conoscenza di temi di pubblico interesse ed esprimono giudizi e sentimenti dalle deboli fondamenta. Insomma, italiani tutt’altro che brava gente. E allora non stupiamoci del razzismo negli stadi e nemmeno degli inciampi del presidente della FIGC Carlo Tavecchio. Ce lo meritiamo.