Da Virgilio a noi, Napoli e il Sud efficaci antidepressivi

Angelo Forgione – Italia in ginocchio. Aumenta lo stress, aumenta la depressione e aumenta il consumo di psicofarmaci nel quarto paese in Europa per spesa relativa. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio Salute avverte che ogni giorno, in media, gli italiani assumono 39,87 dosi ogni mille abitanti, un dato decisamente in crescita rispetto a quello del 2006 quando erano 30,08 (-32,5%). La Regione che mostra il maggiore consumo di antidepressivi è la Toscana: 60,96 dosi giornaliere ogni mille persone, il doppio della meno depressa, la Campania (30,59 dosi/1000 ab).
Nello specifico, Napoli si conferma la città più felice, nonostante i cronici problemi esistenziali del suo popolo. Conferma di dati noti, che difficilmente cambieranno. Perché? Perché i napoletani sono dotati di anticorpi endemici: la socializzazione, il buono spirito, i valori della famiglia, gli odori e i sapori della buona cucina in strada e fuori, la ferrea identità, i rumori e i suoni, una cultura viva, i paesaggi, il mare e l’apertura di cielo, tutta roba che non conta per le sbandierate classifiche della qualità della vita.
Parlo di dati noti, sì, notissimi per me che in un passaggio di Napoli Capitale Morale ho scritto:

I giovani di Napoli non emigrerebbero in massa se la loro città offrisse prospettive di vita e opportunità di lavoro. Lo dicono le classifiche della qualità della morte, cioè dei suicidi, che raccontano di un basso coefficiente napoletano di morti volontarie in relazione al numero di abitanti e di un ridotto uso di farmaci antidepressivi, pur con tutti i problemi sociali che sulle rive del rasserenante Golfo difficilmente diventano esistenziali. Napoletani masochisti? Certo che no. Semmai residenti resilienti, consapevoli del loro disagio, capaci di sopportare le condizioni a tratti lancinanti e di resistere alle troppe avversità. Tra chi rimane, molti sono coloro che trovano rimedio a un tenore di vita spesso insoddisfacente con la socializzazione e il sorriso. Il ridotto numero di suicidi partenopei è esattamente l’indicatore di uno slancio vitale opposto alla frustrazione e alla disperazione, il segno tangibile di un’antropologia della speranza.
A Napoli, la città più giovane d’Italia, si alimenta un fiducioso approccio al futuro. È luogo dove la competizione sociale cede il passo alla conservazione individuale, dove i valori fondamentali dell’esistenza risultano primari, dove il salvifico modello culturale identitario respinge le ansie e non lascia sedimentare i prodromi della depressione. È resistenza alla sofferenza, serena sopravvivenza, che non vuol dire buona esistenza ma certamente neanche disprezzo per la vita. Se ne accorse anche papa Francesco, immergendosi nella realtà italiana, e lo attestò nelle parole di apertura della sua visita pastorale alla città nel marzo 2015 con cui salutò i napoletani:
“Appartenete a un popolo da una lunga storia, attraversata da vicende complesse e drammatiche. La vita a Napoli non è mai stata facile, e però non è mai stata triste. È la gioia la vostra grande risorsa!».

E allora ribadiamolo ancora una volta che Napoli è essa stessa un efficacissimo antidepressivo, un autentico luogo dell’anima. Del resto se ne accorse già in tempi antichissimi il lombardo Virgilio, che vi trovò riparo e soluzione alla crisi esistenziale sorta nella natìa Mantova.

psicofarmaci_2006-2016.jpg

Campania “felix” consuma meno antidepressivi

Angelo Forgione – E chi li ammazza questi campani! Perché loro non ci pensano proprio. Nonostante la mancanza di lavoro, l’avvelenamento della terra, la camorra che invade la quotidianità e tutti i problemi che li travolgono, resistono e vanno avanti. L’osservatorio sull’impiego dei medicinali dell’Agenzia italiana del farmaco (A.I.F.A.) ha prodotto un rapporto sull’uso dei farmaci antidepressivi e psicofarmaci, confermando quello che un dato costante: la Campania è la regione che ne fa meno uso, in controtendenza con il costante aumento del dato nazionale. L’A.I.F.A., infatti, evidenzia un aumento del 4,5% dal 2004 al 2012.
Qualcuno potrebbe pensare che meno soldi ci sono e meno farmaci si acquistano, ma il ragionamento è subito smontato dalla classifica dei suicidi e dei tentati suicidi, completamente gratuiti, che vedono la Campania “serenamente” all’ultimo posto in entrambe le graduatorie (Napoli meglio di tutte le altre province campane). Se ci fosse un’esigenza non soddisfatta, l’effetto sarebbe devastante e si concretizzerebbe in un maggior numero di suicidi tentati e riusciti. Le vere motivazioni vanno invece ricercate nelle abitudini e nelle attitudini del popolo campano, che, per evidenti motivi, vive in una società meno competitiva di quella settentrionale (in cui i suicidi abbondano), più allenato a destreggiarsi tra i problemi della vita quotidiana che non diventano esistenziali. Questo è il ragionamento da fare per confrontare i diversi stati d’ansia tra Nord e Sud del nostro Paese, e per averne conferma va inquadrato in una visione più ampia: l’Organizzazione Mondiale della Sanità monitora costantemente i dati dei suicidi nell’area dell’OCSE, dai quali si evince che l’area del Mediterraneo compresa tra Portogallo, Spagna, Italia (più Sud che Nord, evidentemente) e Grecia ha tassi di suicidio nettamente inferiori a paesi come Germania, Austria, Finlandia, Islanda, Irlanda, Estonia, Ungheria e Slovenia. Inferiori persino alle decantatissime Australia e Canada che sono notoriamente i paesi in cui la “qualità della vità” raggiunge i più alti livelli. Per non parlare poi di Stati Uniti e, soprattutto, Giappone.
E allora, alla prossima pubblicazione della classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita ricordiamoci tutti che è stilata senza tener conto di certi dati che concernono problemi esistenziali e si limitano a scattare una fotografia dei servizi al cittadino. E non contemplano neanche la concentrazione paesaggistica e monumentale, la qualità e la varietà del cibo e il tempo medio speso a contatto con le persone, magari sorridendo.

Campania: il “far-west” che non c’è.

Campania: il “far-west” che non c’è

I mass-media falsano la percezione del pericolo
ma il territorio campano è tra i meno pericolosi d’Italia

leggi su napoli.com

di Angelo Forgione

Agguati di camorra, microcriminalità e violenza urbana. I telegiornali si riempiono di Napoli in chiave negativa e i quotidiani sparano titoli sensazionali che umiliano la comunità partenopea. La Campania è, secondo il Rapporto sulla criminalità del Ministero degli Interni, la regione con il maggior numero di omicidi. La parte del leone la fa, manco a dirlo, la criminalità organizzata, e non potrebbe essere altrimenti con la frammentata galassia di clan e famiglie malavitose che gestiscono il malaffare. Un dato certamente sconfortante che fa molto rumore ed impatta violentemente, più di ogni altra piaga. La Campania e il suo capoluogo sono proiettati come territorio pericoloso, il più pericoloso. Ma è una proiezione quanto mai fuorviante perché non è così che si evince un giudizio approfondito sulla reale pericolosità di Napoli rispetto alle altre città italiane ed europee.

La Campania è certamente terra di malaffare che blocca lo sviluppo e la crescita sociale, non c’è dubbio, ma la pericolosità di un territorio va analizzata nell’ampiezza di un quadro completo che comprenda non solo il fattore criminoso costituito dai morti per omicidio volontario ma anche da quello sociale di cui fanno parte i morti per incidenti stradali e i suicidi. Questo perché un ambiente può essere più o meno pericoloso anche in base alla rischiosità delle proprie strade e del proprio stile di vita.

Tanto per cominciare un’analisi realistica, il numero di omicidi, che in Campania è il più alto, non indica necessariamente la triste leadership perché il dato va spalmato sulla popolazione per ottenerne un coefficiente di media. E la Campania non si salva, ma viene però superata dalla Calabria e, udite udite, dalla Val d’Aosta.
Per avere una reale indicazione sulla pericolosità del territorio campano è sufficiente  affiancare il Rapporto Eu.R.E.S. Ansa sugli omicidi volontari, il Rapporto ACI Istat sulla mortalità automobilistica e i dati Istat sulla Giustizia che indicano i suicidi sul territorio nazionale; basta quindi sommare i dati sulle morti, rapportare i totali alla popolazione di ogni singola regione e il gioco è fatto.

È così si scopre che in Campania, nonostante la camorra pesi sensibilmente sul totale degli omicidi volontari, si registrano una scarsissima mortalità stradale e una bassa propensione al suicidio. I coefficienti che si evincono dimostrano che la Campania è di fatto una delle regioni più sicure insieme alle tranquille Molise e Basilicata.
È vero che in Trentino c’è un rischio di morte per omicidio dieci volte inferiore che in Campania, ma è altrettanto vero che i trentini sono soggetti ad una vera e propria strage sulle strade e ad un’autentica “suicidiomania” da brividi. Impressionanti tassi di mortalità in auto si registrano in tutte le regioni del Nord, Lombardia, Piemonte e Veneto su tutte, e città come Mantova, Cuneo e Treviso forniscono dati di più di 10 volte peggiori di Napoli che, tra l’altro, è anche soggetta ad un salasso da parte delle compagnie assicurative che tacciono sul dato dei sinistri al nord quando parlano di truffe assicurative al sud.

La città di Pulcinella sarà pure caotica e rumorosa ma probabilmente in tutto questo si nasconde una propensione alla socializzazione che è poi motivo di tanti più sorrisi, in antitesi con molti luoghi desolati del nord in cui gli stati d’ansia sono automatici al solo camminare per strada di sera. E sebbene nel suicidio vi sia una componente volontaria, è pur vero che il territorio in cui si vive incide fortemente sui disturbi psichici che portano all’atto estremo. E allora non è un caso che la Campania sia allegramente ultima nella classifica dei suicidi, con una proporzione di 1 a 3 rispetto a tutte le regioni del centro e del nord.

Forse l’ansia da passeggio centro-settentrionale non è poi così immotivata se pensiamo che i serial killer non sono un prodotto tipico campano, e neanche un fenomeno prettamente meridionale, anzi: Alessandro Mariacci, Olindo Romano e Rosa Bazzi, Mario Alessi, il mostro di Firenze, il killer di Padova, Michele Profeta, Erika e Omar, Annamaria Franzoni, le bestie di Satana, Guglielmo Gatti, Acquabomber, Unabomber, i delitti di Garlasco e di Perugia sono solo una parte del lungo elenco di una follia che pervade i territori del nord e del centro Italia. Non è una teoria ma un dato effettivo fornito dal Ministero della salute che indica le regioni del nord e del centro in testa per numero di ricoveri dovuti a disturbi mentali organici indotti, nevrosi depressive e dipendenze da alcol e droghe, mentre la Campania è invece felicemente tra le ultime.
A rinforzare questi dati quelli di Federfarma riguardanti l’assunzione di antidepressivi di cui in Campania si fa un uso davvero minimo, così come di Viagra che in altre regioni del nord è abusato. Tutto ciò a conferma di una comunità campana tutt’altro che sull’orlo di una crisi di nervi.

L’O.M.S., l’organizzazione mondiale della sanità, ha previsto che nel 2020 una persona su cinque sarà affetta da disturbi mentali e, visto che i dati in Campania sono stabili mentre al centro-nord si registra un costante aumento, risuona profetico il monito di Beppe Grillo in un suo spettacolo: “Napoli è l’unica speranza per l’umanità”.
Campania Felix? Per molti versi non più ma per altri decisamente più che altrove. La verità è che le mafie hanno un nome e dietro il nome “camorra” si può catalogare ogni fenomeno macabro che non è meno cronico al nord laddove però non è etichettabile ed è per questo più silenzioso. Il raptus di follia fa meno notizia del regolamento di conti e i mass-media si affannano a sviscerarlo cercando di capirne il movente e le dinamiche rivestendolo di un alone di umanità che non può essere conferito all’omicidio malavitoso, il cui movente è notoriamente deprecabile e lascia spazio solo alla condanna per l’intera comunità che lo subisce dall’interno.

Alla vigilia del match Napoli-Milan del 25 Ottobre 2010, sul Corriere della Sera appare un’intervista al bomber della squadra azzurra Edinson Cavani. Una domanda recita così: «Ha letto “Gomorra”?» – Il calciatore risponde argutamente: «No. A Palermo, dove sono stato benissimo, so che c’è la mafia. Mi sono informato, poi ho deciso che della città volevo solo prendere le cose belle».
Chi si sognerebbe di intervistare Ronaldinho e chiedergli cosa ne pensa dei numerosi delitti tra le mura domestiche di Milano? Eppure, sempre secondo il Rapporto Eu.R.E.S. Ansa, i delitti in famiglia uccidono più delle mafie e il dramma è più frequente tra le mura domestiche che per strada. Un omicidio su tre è familiare, frutto di disturbi psichici o comunque di rapporti umani poco concreti che sono, come dimostrato, prerogative del nord laddove, statisticamente, ogni dieci giorni un componente di famiglia pianifica il proprio “suicidio allargato”, trascinando con sé il coniuge, i figli o altri familiari.

Napoli e Campania alla facile gogna, ma quanto mai sicure al confronto con molte regioni. Le statistiche complessive dicono che le regioni davvero pericolose sono il Friuli, il Trentino, la Val D’Aosta, la Liguria, il Veneto, l’Emilia Romagna. E tutto questo smonta l’associazione pericolosa dei luoghi comuni e la deviazione mass-mediologica tutta italiana, ma non il loro pernicioso effetto a danno dei Napoletani, dei Campani e dei Meridionali in generale.
Gli stessi Napoletani ne risultano condizionati, convivendo con la sensazione di trovarsi in un  territorio in cui il pericolo sia dietro l’angolo. Eppure nessun cittadino partenopeo o campano risulta essersi mai barricato in casa per evitare i pericoli di un far-west che di fatto non esiste ma è, allo stato dei fatti, indotto dai mass-media.

dal libro “And so what…?” di Pasquale Russiello

immagine: L’Ottimista di Marco Adinolfi