Quando in piena psicosi da “terra dei fuochi” dicevamo che l’agroalimentare campano era sicuro

Angelo Forgione – Striscia la Notizia torna sul prodotto agroalimentare della Campania, quello colpito dalla psicosi da inquinamento della “Terra dei fuochi”, per chiarire che anche in zone contaminate da inquinanti e metalli pesanti non è in discussione la qualità di frutta e verdura, e lo fa con il supporto degli esperti, per i quali anche in terreni che dovessero risultare contaminati le piante crescono sane.

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Peccato, perché ricordo bene quanto fosse scorretta l’informazione fornita in piena esplosione del fenomeno criminale che causò una drammatica flessione di domanda di prodotto e la chiusura di centinaia di piccole e medie imprese per un danno, calcolato per difetto, di circa cento milioni di euro.

In quel periodo in cui nessuno voleva più mangiare frutta e verdura campana, e mentre il pentito Carmine Schiavone, ex boss dei Casalesi, diventava ospite fisso delle trasmissioni radical-chic preconizzando un’ecotombe da guerra atomica in pochi anni, sarebbe bastato dare voce agli agronomi e agli scienziati, gli stessi che si interpellano oggi. Io lo feci e, sfidando tutti, risposi all’appello della ricercatrice Paola Dama per provare a far capire che i prodotti campani erano sicuri a tavola, perché i frutti sono capaci di assorbire dalle piante ciò che serve loro per crescere e in quantità tali da non risultare nocivi. Sarebbe bastato chiarire che il vero problema per la salute, nei territori tra Caserta e Napoli, era (ed è) respirarne l’aria o berne l’acqua se attinta da falde acquifere inquinate, non certo mangiare i prodotti coltivati.

A quel tempo mettemmo in piedi il Festival del Pomodoro a Caivano e fummo i “pazzi” che andavano controcorrente, mentre tutti si alimentavano più di terrore che di prodotti della terra, nonostante il RASFF (Rapid Alert System for Food and Feed), il sistema comunitario di allerta rapido per alimenti e mangimi, non lanciasse alcun tipo di allarme sui prodotti campani esportati.

Il nostro megafono non era né potente né sufficientemente amplificato, ma almeno continuammo a mangiare serenamente campano, e ci andava storto solo quando aziende come la cremonese Pomì pubblicavano l’immagine “pubblicitaria” dello Stivale italiano con un bel pomodoro tondo, lucido e rosso, a cavallo tra Lombardia ed Emilia, zona del comparto Nord del pomodoro da industria, nel bel mezzo della Pianura Padana, e il messaggio “Solo da qui. Solo Pomì”. E pazienza se la distesa padana era già stata indicata dall’Agenzia Comunitaria per l’Ambiente quale zona con l’aria più inquinata d’Europa, altro che fazzoletto di campagne tra Caserta e Napoli.
Proprio su quel palco di Caivano decisi di scrivere presto un libro sulla storia del pomodoro, veicolo di tanta insospettabile storia di Napoli, e che Dio benedica i napoletani per aver insegnato al mondo intero di quale ricchezza alimentare si trattasse, mentre un po’ tutti lo consideravano nocivo. Corsi e ricorsi storici.

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Luca Abete e Napoli a ‘Striscia’. Tutto autentico o alla milanese?

Angelo Forgione Striscia la Notizia e i servizi di Luca Abete da Napoli sono spesso oggetto di spaccatura tra napoletani che ne condividono i presupposti e altri che invece vi trovano forzature. Personalmente ne ho sempre fatto una questione milanese, nel senso che i servizi di tutti gli inviati passano al vaglio della redazione di Mediaset, e non è difficile pensare che dall’inviato campano ci si possa attendere una certa caratterizzazione dei contributi napoletani per renderli appetibili al pubblico nazionale e per soddisfare naturali esigenze di audience in prima serata. La penso in tal senso da qualche anno, cioè da quando (nel 2009) chiesi a Luca di realizzare un servizio sul maxischermo sotterraneo (abbandonato) e sull’illuminazione artistica (sabotata) in piazza del Plebiscito. Convocai Valerio Maioli, titolare dell’azienda ravennate che realizzò quel magnifico impianto, il quale venne direttamente da Ravenna per parlarne ai microfoni di Luca (foto). Ci recammo poi a palazzo San Giacomo per chiedere conto all’assessore competente dell’epoca. Risultato: il servizio fu montato il pomeriggio stesso a Napoli e poi inviato a Milano, dove fu bocciato perché ritenuto “poco interessante”. Per me, perché poco “napoletano”. Per Luca, perché lui non era stato all’altezza di renderlo interessante. Ne abbiamo parlato in un breve confronto radiofonico a La Radiazza di Gianni Simioli (Radio Marte) che non ha sgretolato le mie sensazioni. Ne riparleremo de visu.