L’eterna impalcatura senza lavori dove sei anni fa moriva Salvatore Giordano

galleria_ingresso_toledo_1Angelo Forgione Sono trascorsi sei anni dalla tragedia che ha travolto Salvatore Giordano, il quattordicenne napoletano colpito da un grosso frammento staccatosi dal frontone della monumentale Galleria Umberto I di Napoli, sul lato di via Toledo. Una tragedia annunciata dalle tante segnalazioni di crolli che si erano ripetute per anni prima dell’evento luttuoso ma sottovalutate da Comune e condomini. Il fatto è che la Galleria è privata e frammentata in più amministrazioni condominiali, che avrebbero dovuto osservare l’atto di riparto datato 1890 e provvedere periodicamente alla manutenzione interna ed esterna. Secondo l’articolo 24 del suddetto atto, il Municipio ha la facoltà di richiedere l’adempimento e, in caso di inadempienza, di eseguire i lavori in danno. Ma il Comune di Napoli era (ed è) alla canna del gas e allora nessuno mise mano alla tasca per sistemare quella porzione di Galleria.

galleria_ingresso_toledo_2È inaccettabile che i genitori di Salvatore attendano ancora giustizia, con il timore della prescrizione delle responsabilità. Tutto bloccato nell’accertamento delle colpe, così come nel ripristino del decoro di quella facciata della Galleria Umberto I, che versa esattamente nelle medesime condizioni di quel triste 5 luglio di sei anni fa. Nulla è stato fatto, a parte le impalcature che da allora furono innalzate. I napoletani, ormai, si sono abituati all’indecente catafalco, e i turisti credono magari che si tratti di una situazione momentanea, ma la realtà è che i lavori, lì, non sono mai davvero partiti per un contenzioso tra Comune e condomini. Ognuno dice che i lavori spettano all’altro, e di operai non se ne vedono. In ogni caso, così come prima del 2014, ancora oggi l’ente municipale non opera i lavori in danno, e l’ingresso resta indegnamente ingabbiato, mostrando il peggior volto dell’immobile e incurante popolo napoletano.
Nel frattempo altri pezzi si sono staccati, fortunatamente senza conseguenze solo perché rimasti “intrappolati” nell’eterne lamiere arrugginite. Ad oggi, il timpano superiore è ancora in condizioni di degrado preoccupante, come si evince dalla fotografie scattate lateralmente.

galleria_ingresso_toledo_3Stiamo parlando di un bene monumentale che dovrebbe stare a cuore a tutti, e invece resta tristemente impresentabile, anche considerando lo scempio del restauro parziale e inorganico operato all’interno. Squallida fotografia di una città che non spende neanche i fondi per il grande progetto Unesco, che prevede dal 2007 una serie di restauri e ristrutturazioni di monumenti e strade nel perimetro dell’antico insediamento greco-romano di Neapolis conosciuto come centro antico. Si tratta di un programma di iniziali 400 milioni poi ridotti a soli 100, già troppo pochi per un centro storico come quello di Napoli. Dopo più di dieci anni dall’avvio, la spesa rendicontata dal Comune di Napoli al 18 aprile 2019 aveva raggiunto circa 15 milioni, pari al 15% del totale delle risorse disponibili.
Inammissibili situazioni che umiliano la bellezza di una città unica (lo hanno sancito l’Unesco e l’Icomos) e offendono la memoria delle vittime dell’incuria.

Quel SILENZIO sui campi italiani che non c’è

Angelo Forgione – Mi sarebbe piaciuto che il minuto di SILENZIO chiesto dalla SSC Napoli per onorare la memoria di Pasquale Romano, il trentenne di Cardito vittima innocente della guerra tra clan prima di Napoli-Chievo, oltre a quella del Caporale Tiziano Chierotti, fosse durato un minuto e non 30 secondi. Mi sarebbe piaciuto che il minuto di SILENZIO fosse di raccoglimento, cioè SILENZIO assoluto, introspezione, concentrazione spirituale, e non di applausi che vanno benissimo se alla fine del SILENZIO. Mi sarebbe piaciuto che l’arbitro Celi avesse atteso che l’annuncio del minuto di SILENZIO fosse diffuso, invece di decretarne frettolosamente l’inizio (e la fine) e costringere lo speaker a parlaci su. Mi sarebbe piaciuto che, almeno per una volta, i telecronisti l’avessero chiamato minuto di ovazione e non di SILENZIO. Perchè il minuto di SILENZIO, in Italia, dovrebbe chiamarsi per come viene interpretato. È una questione di cultura, quella che ci manca in tante, troppe occasioni.
Ieri c’è cascata anche Napoli che avrebbe potuto dare migliore dimostrazione di coscienza e dolore rispetto ad una delle tante tristi vicende che colpiscono nel profondo la sua parte sana e vitale. Occasione sprecata. Ma chiariamoci, è un malcostume diffuso; in Italia non siamo capaci di onorare le vittime come in altri paesi dove il rispetto del tempo e del SILENZIO è vero raccoglimento (video).

Crollo palco Pausini, Ramazzotti sbaglia il tiro

Crollo palco Pausini, Ramazzotti sbaglia il tiro

«Amo il Sud ma li non c’è sicurezza». Eppure a Trieste e Milano…

Eros Ramazzotti, in un’intervista rilasciata a “La Repubblica”, ha commenta così la tragedia di Reggio Calabria in cui ha perso la vita Matteo Armellini di 31 anni durante l’allestimento del palco per il concerto di Laura Pausini«Innanzitutto il dolore, il dispiacere personale, perché io Matteo Armellini lo conoscevo, ha lavorato per me per tutti i tour, abbiamo giocato anche a pallone decine di volte nel backstage. Era un professionista. Dire che non c’è professionismo in questo campo è falso. In Italia purtroppo – ha detto Ramazzotti – le cose non funzionano come dovrebbero. Gli spazi per la musica, sono inadatti. Poi, più vai a sud più la situazione peggiora: menefreghismo, mancanza di professionalità, costruzioni di 40 anni mai ammodernate. Ci sono spazi in cui è impossibile montare una struttura per un concerto, ed è per questo che da molto tempo non faccio più date al sud, nonostante io ami quel pubblico e il suo calore. Ma la realtà è questa: vai all’estero e trovi spazi per concerti costruiti in modo perfetto, per accogliere sport e musica, poi torni in Italia e sembra un viaggio all’indietro nel tempo».
Il pensiero di Ramazzotti riguardo le strutture del Sud, certamente inadeguate, non è sindacabile ma bisogna ricordare che la questione non riguarda il solo Meridione e la testimonianza è arrivata subito dal Teatro “alla Scala” di Milano, il più importante della città meneghina e tra i primissimi in Italia, dove è crollata una scenografia di 12 metri per 16 schiantandosi sul palco durante l’allestimento del “Donna senz’ombra”. Tragedia sfiorata, ma i lavoratori denunciano la poca attenzione alla sicurezza e il lavoro organizzato secondo logiche di iperproduttività.
A Ramazzotti bisognerebbe poi ricordare che a Dicembre il morto, Francesco Pinna di 19 anni, ci è purtroppo scappato a Trieste durante l’allestimento del palco per il concerto di Jovanotti. E simili avvenimenti luttuosi o comunque gravi si ripetono in ogni parte del mondo, come ad esempio in Francia in occasione di un concerto di Madonna.
Va bene denunciare le carenze infrastrutturali al Sud, ma qui non si tratta tanto di spazi quanto di misure di sicurezza che non ci sono neanche nelle buone strutture del Nord. Quelle vanno denunciate così come le basse paghe, magari non nel caso di Armellini, ma certamente in quello di Pinna che guadagnava 5€ all’ora. E se il Sud deve rinunciare alla musica di Ramazzotti, questo non vale per l’Uzbekistan dove il cantautore ha suonato per una somma da capogiro lo scorso Ottobre al soldo della figlia del dittatore Islam Karimov; nulla di grave, ma eticamente forse qualcosa non quadra perchè in quel paese il regime locale sfrutta un milione di bambini-schiavi per la raccolta del cotone. Un po’ come montare palchi per pochi euro senza sicurezza, a Sud come a Nord.
Allora diciamocela tutta, caro Eros: forse non suoni al Sud perchè non ci sono strutture capienti disponibili per la tua dimensione artistica.