Nino D’Angelo e la storia di Napoli, da ignorante a consapevole!

“La Juventus non può non essere odiata dai napoletani, è questione storica”.
Storia di un percorso di conoscenza, vittoria della diffusione culturale vigile

Angelo Forgione – E alla fine Nino D’Angelo studiò e divenne consapevole della storia di Napoli! E la cosa felicita perchè dimostra quanto sia efficace il lavoro di chi non accetta le falsità storiche e cerca di riattivare un senso di orgoglio in un popolo che è l’unico artefice del cambiamento o dell’immobilismo.
Nino D’Angelo è tornato a parlare attraverso le pagine de “Il Mattino” e ha spiegato perchè, secondo lui, i tifosi napoletani detestano la Juventus. Alla domanda “Perchè la Juve è antipatica ai tifosi del Napoli?”, il cantante ha così risposto: “Un vero sostenitore azzurro non può non odiarla, sportivamente. Fa parte del nostro dna, forse dipende anche dai retaggi derivanti dalla storia, con i piemontesi che vennero a saccheggiare il Sud”.
Dichiarazione frutto di una conoscenza da poco approfondita e sollecitata da tutti noi divulgatori delle verità storiche. Tutto comincia nel Febbraio di due anni fa, quando D’Angelo partecipa a Sanremo e sempre a “Il Mattino”, alla vigilia della kermesse, rilascia un’intervista-denuncia sulla condizione sociale di Napoli e del Sud che il quotidiano titola “D’Angelo, la camorra e i sottotitoli”. Tanti i temi toccati dibattendo il testo della sua canzone “Jammo jà”, compresa la questione meridionale, e D’Angelo scivola così: «Quella cartolina (Napoli) l’abbiamo inventata noi, a partire dalle canzoni. Le bandiere bianche, la resa evocata nei versi, sono colpa nostra quanto degli altri. Della destra come della sinistra. Di chi ci tratta con razzismo e di chi ha fatto tanto perché questo accadesse. Dei Borbone come dei Savoia». Insomma, chi aveva avviato un progresso di Napoli accomunato nelle colpe a chi gliel’aveva rubato. Tante le proteste dal fronte meridionalista, da diversi movimenti e associazioni, compresa quella di chi scrive: “Mi rammarico del fatto che siano stati accomunati i Borbone di Napoli ai Savoia, quest’ultimi capaci di invadere una terra ricca di monete d’oro e risorse per renderla schiava, costringendo i meridionali ad emigrare e facendo si che la camorra proliferasse. Esprimersi senza conoscenza delle vicende storiche rischia di far ancora più male alla città e fare il gioco di chi, 150 anni fa, ci ha rubato tutto”.
Nino D’Angelo fu cortese a rispondere, ammettendo la sua falla: “Non volevo dare giudizi, né prendere posizione, perchè la mia “ignoranza in materia” non me lo permette, quindi lascio a Voi, che conoscete bene la storia, la riflessione su chi abbia fatto più o meno meglio per il nostro amato Meridione. Credetemi, Nino D’Angelo è e resterà sempre uno del popolo, un “suddito”, a cui non piacciono a priori i Re….”.
Gli fu precisato che non si trattava di amare la monarchia ma di rispettare la storia di Napoli, ieri come oggi; che si trattava di guardarsi dal pericolo di vedere la sua pur bella canzone meridionalista sacrificata al cospetto di una canzone di chiaro stampo “fintopatriottico” di Emanuele Filiberto di Savoia (Italia amore mio) che faceva molto comodo alle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia.
Ci mise poco l’artista napoletano a scontrarsi con la realtà. Lui e Maria Nazionale eliminati al festival, il principe promosso fino alla finale. Ci mise poco anche a scoprire la verità e dopo soli pochi giorni, in una nuova intervista a “Il Mattino”, si scagliò contro Emanuele Filiberto e la sua canzone definita “molto più che una chiavica” che era arrivata fino in fondo. Eloquente lo sfogo: “È un altro schiaffo dei Savoia a Napoli. Mi sento un Masaniello bastonato. In questi giorni ho studiato, mi sono documentato, ora so meglio quello che hanno combinato a Napoli e all’Italia. Ma, a parte il fatto che uno venuto dal popolo come me non ha simpatia per nessun re, il problema è musicale. Ed è grave”.
A distanza di due anni arrivò Aldo Cazzullo a sondare l’identità meridionalista napoletana per il Corriere.it e nel suo reportage fu tirato in mezzo anche Nino D’Angelo che raccontò la sua conoscenza con il mondo meridionalista dichiarandosi ignorante in storia del Risorgimento e fecendo riferimento all’episodio sanremese che lo aveva visto oggetto di un “richiamo generale” per alcune affermazioni superficiali (guarda a -02:16). Ma nelle sue parole ancora un po’ di timidezza mista ad una ritrovata consapevolezza, con molta cautela nel parlare di monarchia. Oggi Nino D’Angelo spiega il motivo per cui i tifosi napoletani diventano sempre più insofferenti alla Juventus, e in chiave contemporanea ci prende in parte. Finalmente parlando di dinamiche di popolo, a prescindere dai re. “I piemontesi che vennero a saccheggiare il Sud”, prima non sapeva, ora sa. Se non è maturazione culturale questa?!

La verità sull’astio dei tifosi del Cagliari per i napoletani

Angelo Forgione Cagliari più a Sud di Napoli, eppure i tifosi sardi gridano «terroni» ai napoletani. Ogni volta che nel capoluogo isolano si approssima il match tra la locale squadra di calcio e quella partenopea, l’ambiente sardo carica la partita di significati particolari, mentre nella città partenopea la vigilia è vissuta con assoluta serenità. Gli ultras rossoblù chiedono la vittoria ad ogni costo ai loro calciatori e, complici i media locali, definiscono il confronto come “la partita dell’anno”, soprattutto quella casalinga, pronti a trasformare il loro stadio in una polveriera. I motivi sono radicati in uno stupido dissidio attorno al pomo della discordia, il calciatore uruguaiano Daniel Fonseca, passato dal Cagliari al Napoli nel 1992. Accade che tornò in Sardegna da ex, d’azzurro vestito e fu travolto dai fischi dei sostenitori sardi finché il nervosismo non gli procurò un’espulsione. Il rapporto coi suoi ex tifosi si ruppe irreparabilmente, e nel campionato successivo tornò in Sardegna con il dente avvelenato. Realizzò una doppietta che consentì al suo Napoli, guidato da Marcello Lippi, di espugnare il Sant’Elia. Il bomber, ancora fischiatissimo, si sfogò indirizzando il gestaccio dell’ombrello alla curva cagliaritana. I supporters azzurri inneggiarono al loro beniamino, perfettamente integrato nella realtà partenopea, e così si accese la tensione tra le due tifoserie. A fine partita gli ultras sardi attesero i napoletani per aggredirli mentre si dirigevano al porto. Da quel giorno, ogni ritorno del Napoli a Cagliari si trasformò in una chiamata alle ostilità fatta di cori razzisti e offese. Fino al Giugno del 1997, quando proprio lo stadio di Napoli fu designato come sede neutra per lo spareggio salvezza tra Cagliari e Piacenza. Gli emiliani erano guidati da Bortolo Mutti, in procinto di passare sulla panchina del Napoli, e alcuni ultras azzurri in cerca di vendetta colsero l’occasione per presentarsi a Fuorigrotta e parteggiare per il Piacenza. I supporter della squadra della città più importante del Sud a sostenere una nordica squadra emiliana contro un del Mezzogiorno isolano. Ne seguirono provocazioni reciproche (tra cui uno striscione “Napoli colera”), piccoli tafferugli e una dolorosa retrocessione sul campo del Cagliari in serie B, proprio a Napoli, nello stadio di quei tifosi cui i sardi giurarono odio eterno, presidente Cellino in primis.

Dalla doppietta di Fonseca in poi, i tifosi del Cagliari indirizzano i soliti cori privi d’intelletto all’indirizzo dei napoletani, colpevoli di inneggiare al loro idolo in campo. «Terroni.. terroni…», gridarono, e ancora oggi accade. Loro che magari non sapevano, forse, e non sanno, che all’epoca dello scudetto di Riva, venivano accolti a Milano e Torino al grido di «pecorari… banditi». E però le coordinate geografiche dei due capoluoghi parlano chiaro: Cagliari è più a sud di Napoli, meridionale quanto Cosenza o Crotone, e non solo geograficamente. Eppure l’offesa geografica si ripete da allora, in maniera cervellotica, tant’è che il giornalista della RAI Antonio Capitta, sardo verace, che nel 1993 confezionò il servizio per “La Domenica Sportiva”, pose proprio questo quesito: «Perchè gli ultrà del Cagliari chiamano “terroni” i loro colleghi napoletani?».

Il brutto clima è persistito negli anni. Sarebbe anche ora di finirla con certe stupidità che non fanno onore a due popoli e due splendide città del Sud, ricche di cultura, le cui squadre sono peraltro le uniche vere meridionali ad aver vinto il tricolore, sovvertendo gli effetti della questione meridionale nel calcio.