Koulibaly, napoletano prima che senegalese

Angelo Forgione Il tutto è falso, cantava Giorgio Gaber da Milano. È falsa la competizione a cui stiamo assistendo, viziata da spinte ripetute e continue al club che ha investito su uno dei calciatori più decisivi del pianeta e vola in classifica ben oltre i suoi effettivi meriti.
È falsa anche l’analisi del clima di San Siro, purtroppo luttuoso, e fortemente discriminatorio, di cui ne ha fatto le spese Koulibaly, non tanto perché nero ma soprattutto perché napoletano. Già, perché il calciatore senegalese è bersagliato da qualche tempo per il colore della maglia che indossa più che per quello della pelle. Roma, Torino, Bergamo, Milano… non vi è altro calciatore della più recente Serie A che abbia dovuto subire una simile sequela di ostilità ripetuta, e non stiamo parlando di un uomo chiacchierato e criticato come lo fu Balotelli ma di un professionista esemplare, oltre che di un elemento di assoluto valore che spicca nella mediocrità del calcio italiano.
Bando alle sciocche e comode accuse di vittimismo, e diciamolo che l’accanimento nei confronti di Koulibaly è sempre stato accompagnato da un accanimento concettuale nei confronti di Napoli. Non si è mai udito un verso di scimmia senza che non vi fosse prima un’invocazione al Vesuvio. Così a Milano, il primo stadio, nella storia del nostro pallone, colpito nel 2007 da chiusura di un settore per discriminazione territoriale, e Koulibaly non c’era, buon per lui. Il Napoli è poi cresciuto anche con lui, e lui col Napoli, fino a farsi uno dei calciatori simbolo della squadra, alfiere di un club fattosi seconda forza d’Italia, scalzando le blasonate e beneamate meneghine, e avvicinandosi al gran potere torinese.
L’accanimento nei confronti del forte omone nero del Napoli è espressione di timore rabbioso per una squadra del Sud che da anni precede in classifica il calcio milanese e guerreggia onorevolmente con quello torinese e romano. È il sud “africano” che infastidisce il consolidato asse Torino-Milano; è Napoli chiacchierata fuori dagli stadi, nella società italiana, che dà fastidio sui campi di calcio.
Kalidou, in fondo, l’ha anche capito che i versacci al suo indirizzo sono sempre accompagnati da offese a Napoli, e non a caso scrive di sentirsi fieramente francese, senegalese e napoletano.
E però, a bocce ferme, il malcostume indirizzato ai napoletani, che è il vero motivo del malcostume medesimo, sembra dissolversi nel nulla. La narrazione giornalistica e degli addetti ai lavori vari si concentra sul razzismo, sull’esclusiva discriminazione di razza, tralasciando completamente quello di territorio. Fiumi di inutili parole nei telegiornali a nascondere il vero problema del calcio italiano: Napoli! Esattamente questo, perché a Roma, Milano e Torino, dal 2007, è tutto un susseguirsi di provvedimenti disciplinari, di chiusure di settori per discriminazione territoriale prima ancora che per razzismo, mentre a Napoli, la comune bersagliata – alla faccia del vittimismo – volgarità come dappertutto ma vergogne del genere mai.
È un problema, Napoli, per chi non sa come risolvere i problemi. Norme inasprite e poi blandite, e allora via alle solite chiacchiere, ed è meglio parlare di razzismo contro i neri per nascondere la discriminazione contro i napoletani, che non è roba limitata ai pessimi stadi italiani, e viene dal principio della malaunità, allorché gli “affricani”. con due effe rafforzative del disprezzo, erano i nazionali napolitani, ovvero i meridionali. Alla vigilia del taroccato plebiscito di annessione, il piemontese Massimo d’Azeglio, governatore di Milano, scrisse:
“Ma in tutti i modi la fusione coi napoletani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaiuoloso!”.
Il retaggio di certo razzismo, che lo vogliate o no, è ancora alimentato dal leghismo dei d’Azeglio del Duemila, ed espresso, in parte individualmente e in più rumorosa parte collettivamente, nel rozzo comportamento delle folle d’Italia.

 

Un po’ di calcio a LineaCalcio (Canale 8)

A LineaCalcio (Canale 8) dell’8/11 per parlare di:
– Juventini meridionali che chiamano alle trasmissioni campane;
– giornalismo d’inchiesta per ripulire il calcio;
– l’inchiesta di Report e “gli anticorpi” della Juventus;
– giornalismo buono e meno buono nelle emittenti campane;
– i margini di crescita del Napoli di De Laurentiis;
– l’insofferenza dei giornalisti del Nord nei confronti del Napoli;
– il caso Mourinho;
– il rush finale nel girone C della Champions League.

Juventini “napoletani” contro “torinesi”

juve_sudAngelo ForgioneL’inchiesta Alto Piemonte, di cui si occuperà la trasmissione Report il 22 ottobre, ha reso noti i rapporti tra alcuni dirigenti della società Juventus, tra cui Andrea Andrea Agnelli, ed esponenti della ‘ndrangheta piemontese, in particolare Rocco Dominello, anche capo-ultra del gruppo “I Drughi”, per la vendita di biglietti dei match allo Juventus Stadium attraverso il bagarinaggio. Il processo penale che ne è conseguito ha prodotto la condanna di Saverio e Rocco Dominello per aver fatto da intermediari all’attività di bagarinaggio, mentre il processo sportivo ha portato a una squalifica di Andrea Agnelli per un anno, poi convertita in multa.Un’informativa della Digos ha chiarito che i rapporti tra i vari gruppi della tifoseria organizzata della Juve sono davvero aspri e conflittuali da anni, tra aggressioni, regolamenti di conti e infiltrazioni della criminalità organizzata. È un risiko che si disputa conquistando pezzi di curva, in un tutti contro tutti che ha trovato una sorta di tregua quando Rocco Dominello, utilizzando una certa diplomazia, si è accreditato come affidabile interfaccia tra i gruppi ultrà e la società. Ma ora Dominello è fuori gioco e ogni gruppo, evidentemente, cerca di guadagnare campo.
Difficile capire se in questo scenario si inserisca una faida scoppiata tra un giovane gruppo di tifosi juventini, i “True Boys”, nati di recente in Germania e già con numerosi delegazioni in Italia e a Malta, e uno storico gruppo di juventini di Torino del gruppo “Tradizione”. Motivo o, chissà, forse il pretesto della guerra intestina, i cori razzisti contro la città di Napoli.
Prima del match Juve-Napoli i “napoletani” dei “True Boys” avevano chiesto ai “torinesi” di non cantare cori razzisti contro la loro terra, in nome del comune amore bianconero. Gli ultrà sabaudi se ne sono infischiati e hanno urlato ancora una volta «Napoli colera» e roba del genere, finendo per far chiudere la curva per decisione del giudice sportivo. E così quelli dei “True Boys” hanno protestato, prendendosi una sorta di espulsione dalla Curva Sud da parte dei torinesi di “Tradizione”, autori di un comunicato sui social con il quale il gruppo è stato dichiarato “inesistente” e Salvatore Licciardi, il referente di Casalnuovo di Napoli, il più impavido nel confronto-scontro, definito un “pulcinella”. Costui ha sfidato i “torinesi” e ci ha messo la faccia con una serie di lunghi video in diretta su Facebook. Rilevanti due conversazioni telefoniche a dir poco infuocate, la prima con Umberto Toja, uno dei capi storici di “Tradizione”, qualche tempo fa aggredito a colpi di spranga presso il suo bar torinese per la ritrosia a destinare parte dei proventi del bagarinaggio a una famiglia a capo della mafia calabrese radicata a Torino, e la seconda con un anonimo sgherro dall’accento calabrese o forse siciliano.

Per quel che può contare, la pagina Facebook dei giovani “True Boys” conta 145mila iscritti, mentre i più radicati di “Tradizione” non arrivano a 14mila. Conta certamente che nella curva juventina, in cui sempre più alte sono le tensioni tra le diverse fazioni, prenda posto gente di tutt’Italia, isole comprese, e ognuno, evidentemente, pretende rispetto e, soprattutto, spazio.
Nel frattempo, l’avvocato della Juventus, Luigi Chiappero, ha presentato ricorso contro la chiusura della Curva Sud dello Stadium per i cori razzisti contro Napoli definendo il comportamento dei tifosi bianconeri “indifendibile”, sì… e però lui lo difende indirettamente perché il giudice sportivo non ha applicato la condizionale prevista dal Codice di Giustizia Sportiva. Non l’ha fatto perché il fatto è reiterato ed aggravato dalla recidiva specifica.
Altro che interpretazione creativa… Lo stesso Codice, all’articolo 12 comma 6, infatti, dice chiaramente che “nei casi più gravi, da valutare in modo particolare con riguardo alla recidiva, sono inflitte (…) anche le sanzioni previste dalle lettera e dell’art. 18, comma 1 (obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori).
Tradotto in soldoni, anche il Giudice Sportivo ha valutato, precedenti alla mano, che ormai non c’è più da sospendere la pena per i cori razzisti contro Napoli allo Stadium perché, è dimostrato, scattano in automatico.
Ma Chiappero parla di disparità di trattamento e chiede l’annullamento della sanzione, invece di costituire il club parte civile contro chi lede la sua immagine. La strategia difensiva è la stessa adoperata durante lo scandalo doping e quello di Calciopoli. Così fan tutti, dissero in casa Juve. Più o meno tutti usavano farmaci, non accadeva mica solo nello spogliatoio bianconero. Più o meno tutti contattavano gli arbitri, mica solo i dirigenti juventini. Più o meno tutti cantano cori contro Napoli, mica solo i tifosi della Juve. Il che è in parte vero, come è vero che allo Stadium accade più spesso, troppo spesso, e non solo quando è di scena il Napoli.

Il Napoli dopo Juventus e Liverpool

La splendida vittoria del Napoli contro il Liverpool. La sconfitta contro la Juventus. I meridionali juventini. Le prospettive degli azzurri.
Questi i contenuti nella sintesi della puntata di Lineacalcio (Canale 8) del 4/10/18.

Nasce BirTa, la birra alla mela annurca campana

Sta arrivando BirTa, la birra del Taburno aromatizzata alla mela annurca, una nuova specialità del territorio campano. Mele annurche campane IGP stagionate in botti usate per affinare il vino aglianico; orzo e luppolo coltivati da sei imprese agricole del territori di Frasso Telesino, Dugenta e Sant’Agata dei Goti (Benevento); acqua delle sorgenti del Monte Taburno. Questi gli ingredienti della prima birra artigianale realizzata con la filiera corta. Quattro diverse tipologie, tutte che impiegano malto base Pilsner e mele annurche aggiunte in fase di fermentazione come purea.
BirTa, la birra che si fonde a “la regina delle mele”, sarà disponibile sul mercato a fine settembre 2014.

Cagliari più a Sud di Napoli ma grida «terroni»… per “colpa” di Fonseca

Angelo Forgione Ci risiamo! Ogni volta che si approssima il match calcistico tra Cagliari e Napoli, l’ambiente sardo carica la partita di significati particolari, mentre nella città partenopea la vigilia è vissuta con assoluta serenità. Gli isolani chiedono la vittoria ad ogni costo e, complici i media locali, definiscono il confronto come “la partita dell’anno”, fino a trasformare il loro campo in una polveriera. I motivi si annidano dietro uno stupido dissidio tra le due tifoserie, scoppiato attorno al pomo della discordia, il calciatore uruguaiano Daniel Fonseca, passato dal Cagliari al Napoli nel 1992. Accade che tornò in Sardegna da ex, d’azzurro vestito, e fu ricoperto di fischi. Il nervosismo lo tradì, si fece espellere e il rapporto coi suoi ex tifosi si ruppe definitivamente. Nel campionato successivo, invece, realizzò una doppietta che consentì al suo Napoli, guidato da Marcello Lippi, di espugnare il Sant’Elia. Il bomber, ancora fischiato, si sfogò indirizzando il gestaccio dell’ombrello alla curva cagliaritana. I supporters azzurri inneggiano al loro beniamino, ormai integrato perfettamente nella realtà partenopea, e iniziò la tensione tra le due tifoserie. A fine partita gli ultras sardi attesero i napoletani per aggredirli mentre si dirigevano al porto. Da quel giorno, ogni ritorno del Napoli a Cagliari si trasformò in una chiamata alle ostilità fatta di cori razzisti e offese. Fino al Giugno del 1997, quando proprio lo stadio di Napoli fu designato come sede neutra per lo spareggio salvezza tra Cagliari e Piacenza. Gli ultras azzurri, quelli presenti, presero la palla al balzo, e parteggiarono per il Piacenza. I supporter della squadra della città più importante del Sud a sostenere la nordica squadra emiliana, invece che la *meridionale” isolana. Ne seguirono provocazioni reciproche (tra cui uno striscione “Napoli colera”), piccoli tafferugli e una dolorosa retrocessione sul campo del Cagliari in serie B, a Napoli, nello stadio di quei tifosi cui i sardi giurarono odio eterno, presidente Cellino compreso.
C’è poco da pretendere ragioni quando si parla di rivalità di campanile da stadio. Quel che conta è la distorsione della realtà che i luoghi comuni e gli stereotipi generano. Quando Fonseca causò la rottura dei rapporti tra le due fazioni, i tifosi del Cagliari indirizzarono i soliti cori privi d’intelletto all’indirizzo dei napoletani, colpevoli di inneggiare al loro idolo in campo. «Terroni.. terroni…», gridarono, e ancora oggi accade. Loro che magari non sapevano, forse, e non sanno, che all’epoca dello scudetto di Riva, venivano accolti a Milano e Torino al grido di «pecorari… banditi». E però le coordinate geografiche dei due capoluoghi parlano chiaro: Cagliari è più a sud di Napoli, meridionale quanto Cosenza o Crotone, e non solo geograficamente. Eppure l’offesa geografica si ripete da allora, in maniera cervellotica, tant’è che il giornalista della RAI Antonio Capitta, sardo, che nel 1993 confezionò il servizio per “La Domenica Sportiva”, pose proprio questo quesito: «Perchè gli ultrà del Cagliari chiamano “terroni” i loro colleghi napoletani?».
Il brutto clima è persistito negli anni. Sarebbe anche ora di finirla con certe stupidità che non fanno onore a due popoli e due splendide città del Sud, ricche di cultura, le cui squadre sono peraltro le uniche vere meridionali ad aver vinto il tricolore, sovvertendo gli effetti della questione meridionale nel calcio.