––– scrittore e giornalista, opinionista, storicista, meridionalista, culturalmente unitarista ––– "Baciata da Dio, stuprata dall'uomo. È Napoli, sulla cui vita indago per parlare del mondo."
Angelo Forgione – “Più soldi alle scuole della Sud per colmare il gap con quelle del Nord? No! Voi meridionali vi dovete impegnare di più. Ci vuole più impegno, più lavoro e sacrificio per recuperare il gap con il Nord, non più fondi. Vi dovete impegnare forte, è questo che ci vuole”.
Queste le parole del Ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, indipendente leghista lombardo, in visita nell’hinterland napoletano. Parole condite da tono ed espressione beffardi, supponenti, superiori, mentre dietro annuisce la leghista campana Pina Castiello, con delega al Sud. Proprio la stessa Pina Castiello alla quale qualche giorno fa chiesi in diretta radiofonica quando sarebbe arrivato a Napoli quel centinaio di agenti di polizia promesso da #Salvini mesi fa “per combattere la camorra pianerottolo per pianerottolo”. Li stiamo ancora aspettando, ma senza particolare impazienza, per carità. Tanto non basterebbero di certo, figuriamoci.
Ma intanto arriva qualche soldino per le scuole. Giusto qualche. Il Viminale ha fatto sapere di aver sbloccato 400 milioni per la messa in sicurezza di scuole, strade ed edifici pubblici. Solo che leggendo il bollettino diramato dal ministero si apprende che dai fondi sono esclusi i capoluoghi di provincia e, in genere, tutti i comuni sopra i 20mila abitanti. Ora, si dà il caso che la maggioranza dei comuni oltre questa soglia sono al Sud, e infatti su 6834 enti beneficiari ve ne sono ben 4163 del Nord (61%) e 2671 del Sud (39%), da Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna in giù. Pazienza, vorrà dire che seguiremo il consiglio del lombardo filoleghista Bussetti e sopperiremo alla mancanza di fondi con l’impegno, il lavoro e il sacrificio. O meglio, periremo.
Angelo Forgione– “Italiano, italiano napoletano, italiano siciliano, sardo o altro italiano”. Sono queste le opzioni disponibili per indicare le provenienze linguistiche dei figli degli italiani in Gran Bretagna nei moduli d’iscrizione online di alcune scuole di Inghilterra e Galles. A evidenziarlo sono stati per primi alcuni genitori, trasaliti di fronte alla distinzione etnico-linguistica italiana, richiesta all’atto dell’iscrizione. Distinzione che ha innescato una pungente nota di protesta da parte dell’ambasciatore d’Italia a Londra,Pasquale Terracciano, che peraltro è napoletano: “L’Italia è unita dal 1861. Quella che è stata riproposta dai britannici è una visione tardo ottocentesca della nostra immigrazione”.
L’episodio s’inserisce in un momento delicato per la Gran Bretagna, alle prese con la prospettiva della Brexit e il dibattito sul flusso dei migranti e sull’apertura agli stranieri. Dopo la protesta ufficiale sono giunte le scuse del Foreign Office di Londra. L’incidente diplomatico era però evitabile perché si tratta di distinzione linguistica a scopo didattico e non di discriminazione, non solo per le specificità italiane. Nei moduli incriminati, compilati in base ai principali codici linguistici approvati, è elencato anche il sardo (senza italian), e poi il galiziano, il catalano, il gaelico irlandese e quello scozzese, le varie lingue greche, quelle curde, e altre ancora, in modo da definire la specifica provenienza etnica dei figli di immigrati per potergli fornire la necessaria assistenza linguistica nell’apprendimento dell’inglese. Altro che visione tardo ottocentesca. Insomma, una tempesta in un bicchier d’acqua.
E viene pure da chiedersi perché tanto stupore se è proprio l’Italia ad aver prodotto il peculiare fenomeno della discriminazione territoriale, prima in scia al Positivismo risorgimentale ottocentesco e poi, un secolo dopo, con le invettive di un partito xenofobo e anti-meridionale, tollerato dallo Stato italiano nonostante l’ECRI, la Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza, negli scorsi anni ci abbia più volte condannati per l’assenza di controllo dei sentimenti, dei linguaggi e delle attività razziste della Lega Nord. Nasce il caso quando i britannici si rendono responsabili di distinzione e non discriminazione; loro che si distinguono tra inglesi, scozzesi, irlandesi e gallesi; loro che sanno bene che l’Italia è unita dal 1861, ché la nostra unità l’hanno pilotata e sono coscienti delle peculiari differenze italiche. Non nasce alcun caso quando sono gli italiani – accade sovente – a fare cervellotica discriminazione tra loro e i napoletani. Se ne vedono di tutti i colori, un caso di cronaca nera sì e l’altro pure, leggendo la stampa locale e guardando i telegiornali nazionali.
Angelo Forgione – Mandolinisti sul piede di guerra per chiedere che anche il mandolino possa essere studiato nelle scuole medie con indirizzo musicale. Il Decreto Ministeriale n. 201 del 6 agosto 1999, infatti, dispone l’insegnamento di diversi strumenti, tra i quali però non c’è il mandolino. E così, i mandolinisti di tutta Italia si ritrovano impossibilitati a impiegare il proprio titolo di studio, di livello universitario, al pari degli altri colleghi, e vedono preclusa loro un’importante possibilità professionale. E i ragazzi neanche possono avviarsi a questo strumento, ormai ghettizzato e boicottato.
Ma come è possibile che l’Italia voglia cancellare in tutti i modi la sua cultura? In questo caso, quella musicale. Il mandolino non è solo uno strumento della tradizione napoletana, come il decreto vuole intendere, ma più ampiamente italiana. Oltre al napoletano, esiste anche il milanese, il romano, il siciliano, il padovano e il senese. È uno strumento nobilissimo e apprezzatissimo nel mondo, studiato e suonato con passione in Giappone, Germania, Francia, Spagna e altri paesi in cui esistono orchestre di mandolino, valorizzato nelle scuole di ogni ordine e grado. Per mandolino hanno scritto Vivaldi, Beethoven, Mozart, Paisiello, Verdi, Rossini, solo per citare compositori tra i più noti. E invece accade che l’Italia lo consideri uno strumento folkloristico di Serie B, napoletano. Provate ad assistere dal vivo a un concerto per mandolini, e capirete che suono nobile e romantico possono ascoltare le vostre orecchie.
Il mandolino, come la pizza e gli spaghetti, è apprezzato nel mondo. Ma sono tutti elementi folclorizzati, e quindi sottoposti a un indegno vilipendio. Senza il mandolino, la musica napoletana non sarebbe la stessa, e non lo sarebbe quella italiana che da essa deriva. Cancellarlo è da stolti, da ignoranti. Perchè già la discriminazione è ignoranza, e quella anti-Napoli è ancor più grave.
Il Senato fa confusione sui valori dell’identità nazionale.
L’inno che nasconde la “Lega Campana” fu davvero scritto da Mameli?
Angelo Forgione per napoli.com – L’Inno di Mameli, conosciuto anche come “Fratelli d’Italia” dal suo verso introduttivo, dovrà esser studiato e cantato nelle scuole italiane. Il Senato ha approvato in via definitiva il DDL che impone nei programmi scolastici il canto risorgimentale scritto da Goffredo Mameli (forse, ndr) e musicato da Michele Novaro. Legge incompatibile con la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” perchè il testo dell’inno è anti-straniero e il suo insegnamento contravviene agli articoli 10 e 11 della stessa Carta relativi alla libertà di coscienza, alla libertà di pensiero, alla libertà di opinione e a quella di “di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.
Istituito anche il festeggiamento della data del 17 Marzo, in continuità con il festeggiamento dei 150 anni che sarà il “Giorno dell’unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera”.
Che pastrocchio! Partiamo dal presupposto che l’inno di Mameli si chiama “Canto degli Italiani” e non “Fratelli d’Italia”. Ma questo è niente a confronto della totale confusione che i senatori della Repubblica stanno generando nelle teste degli italiani, preparandosi a deviare anche quelle dei bambini. L’inno nazionale non può essere accoppiato al 17 Marzo perchè quella è la data dell’auto-incoronazione di Vittorio Emanuele II di Savoia quale “Roi d’Italie” cioè re d’Italia in rigorosa lingua francese, non italiana, con la quale il sovrano piemontese estese la sua sovranità. “Victor Emmanuel II assume, pour lui et pour ses successeurs, le titre de Roi d’Italie”, così si legge nell’atto di incoronazione del parlamento di Torino. L’unità d’Italia, al 17 Marzo, non esisteva perchè mancavano il Veneto, la Venezia Giulia, il Friuli, il Trentino Alto Adige e Roma con i territori pontifici che, completando una certa unificazione, fu conquistata con la breccia di Porta Pia il 20 Settembre 1870. È quella semmai la data da celebrare per dare risalto all’unità territoriale se proprio non vogliamo tardare fino al 2 Giugno 1946, ricorrenza dell’istituzione della Repubblica. Mai il 17 Marzo 1861 che equivale alla celebrazione dell’auto-proclamazione della monarchia sabauda, antitetica rispetto alla Repubblica. Chissà se i senatori tutto questo lo sanno visto che l’ignoranza circa le vicende storiche della storia d’Italia è stata smascherata dalla trasmissione “Le Iene” nel giorno delle celebrazioni del “150esimo”, quando all’esterno di Montecitorio i politici, italiani, andarono nel panico per le domande di storia italiana (guarda il video). Bisognerebbe che imparassero loro la storia prima di decidere cosa mettere nella testa dei nostri figli a scuola.
Ma non è tutto. L’inno di Mameli è un canto risorgimentale che celebra i valori repubblicani, non quelli monarchici. E infatti non era l’inno nazionale del Regno d’Italia nato il 17 Marzo a Torino che invece, estendendo i possedimenti sabaudi, applicò la “Marcia Reale del Regno di Sardegna” al nuovo Regno d’Italia”. Tant’è che nel periodo bellico di transizione tra la monarchia e la repubblica fu istituita come inno nazionale “La canzone del Piave” scritta dal napoletano E. A. Mario. Il “Canto degli italiani” di Mameli e Novaro è divenuto inno nazionale italiano nel 1946, ben 85 anni dopo il 17 Marzo da celebrare.
Continua dunque la confusione forzata da parte delle istituzioni, sulla falsa riga delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità, non ancora compiuti di fatto (succederà solo nel 2020, ndr) condotte in maniera antirepubblicana dal Presidente della Repubblica che ha festeggiato il giorno della monarchia e non quello della Repubblica (2 Giugno) rendendo persino omaggio alla tomba del re Vittorio Emanuele II.
La retorica mischiata alla disinformazione finirà ora sui banchi di scuola affinchè anche i bambini sappiano a memoria un inno che nutre sentimenti bellici antistranieri, in contraddizione con la fratellanza della civiltà europea e senza valorizzare quella italiana, dal Sud di Federico II alla “Serenissima” di Venezia. Un inno per giunta settentrionalista che promuove a simbolo di unità nazionale la battaglia di Legnano. “Dall’alpi a Sicilia ovunque è Legnano” esaltainfattile gesta della “Lega Lombarda” che mise insieme il conflittuale Nord contro Federico Barbarossa, scacciando i germanici nel 1176. Ma La “Lega Lombarda” non è il primo esempio di identità nazionale perché è al Sud che ciò si verificò intorno all’850 quando Cesario Console, ammiraglio del ducato di Napoli, coalizzò le armate di mare di Napoli, Sorrento, Amalfi e Gaeta formando la “Lega Campana” per respingere, vittoriosamente, i Saraceni che volevano invadere Roma per poi impossessarsi dei territori del Sud. Ultimo particolare da non tralasciare: da come si legge da un articolo del Corriere della Sera del 24 Dicembre 2002 firmato da Ottavio Rossani, pare che le parole dell’inno italiano non siano state scritte da Goffredo Mameli bensì da Atanasio Canata, un padre scolopio di cui proprio Mameli fu allievo. Padre Canata lo avrebbe inviato nel Novembre del 1847 a Michele Novaro per farlo musicare e quando l’allievo divenne un eroe risorgimentale avrebbe taciuto sulla paternità del testo per non offuscarne l’immagine. Ma prima di morire rivendicò indirettamente, ma con precisa volontà, la paternità di quel testo che gli sarebbe stato «sottratto». Nella poesia “Il vate” scrisse: “A destar quell’alme imbelli meditò robusto un canto; ma venali menestrelli si rapina dell’arpe un vanto: sulla sorte dei fratelli non profuse allor che pianto, e, aspettando, nel suo core si rinchiuse il pio Cantore”. E anche sulla pubblicazione “Gazzetta letterata” lanciò un’altra freccia: “E scrittore sei tu? Ciò non ti quadra… Una gazza sei tu garrula e ladra”. Mameli “menestrello” ladro? In perfetto “Italian style”. Detto da un italiano.